giovedì 3 marzo 2016

Qui, dove i figli consolano i padri – Giulio Cavalli



Guardate la foto qui sopra.
Un figlio consola il padre. Piange, il padre, probabilmente perché ha sempre sperato di poter garantire la dignità, almeno. Almeno la dignità. Dando per scontato che la sopravvivenza sia il risultato minimo per un genitore. Sia con la guerra, la tempesta, il sole, il caldo, lo scirocco, le pallottole, le malattie ogni genitore nel mondo, qualsiasi legge e qualsiasi religione, qualsiasi genitore ha il dovere di preservare i propri figli, è un bisogno che sente connaturato com il respiro, la sete e il sangue. Qui il padre cede il posto alla disperazione, che non è altro che l’esaurirsi della produzione della speranza, e si arrende, chiedendo scusa al suo dio, se ne ha uno e con qualsiasi nome lo chiami. Questa foto è la sindone di una sconfitta collettiva.
Il figlio, lui, ha uno sguardo preoccupato ma nemmeno troppo. I bambini hanno una bilancia tutta loro dei dolori, delle gioie e delle sconfitte e spesso ci insegnano a noi adulti a non prendersi mai troppo sul serio, a non disabituarsi a vedere la bellezza intorno. Quel bambino sta pensando probabilmente che niente di così terribile può succedere finché suo padre è lì. E lui con lui, e anche qualcosa da mangiare.
Per questo mettere su una barca dalla morte probabile il proprio figlio è un gesto che condanna tutti gli stati della terra ferma: quando un genitore gioca a carte con la vita dei figli e quando i padri e i figli sono così numerosi significa che s’è perso il limite potabile delle possibilità, significa che da qualche parte rischiare è l’unico atto di protezione possibile. Roba da perderci la testa. Roba da restarci secchi per la distanza tra il dolore che si arriva a scrivere e quello che ci sbrodola in giro. Senza nemmeno il vocabolario per poterle scrivere.
E allora mi chiedo, e me lo chiedo senza provocazioni, me lo chiedo in questo tempo di preoccupazione pelosissima per ogni bambino del mondo, ecco sarebbe bello, mettiamola così, riversare tutta questa polifonica preoccupazione su questo bambino qui e su tutti quelli (sono tantissimi) come lui. Quelli che hanno passato la notte con le ortiche nel naso per i fumogeni della polizia oppure quelli che hanno avuto una scarpa impigliata nel filo spinato. Ecco, io penso che se davvero fosse diventato di moda preoccuparsi di tutti i bambini del mondo, se davvero lasciassimo da parte le posizioni pregiudiziali e decidessimo che tutti, davvero tutti, laici o cristiani o cattolici o islamici o evangelisti, tutti per davvero, se tutti ci interessassimo come ci interessiamo in queste ore dei bambini, ecco credo che sapremmo bene che Paese desolato è quel Paese in cui i figli consolano i padri e mica il contrario. E sarebbe già un profumo di primavera. Prima del tempo.
da qui

(grazie a Daniela per la segnalazione)

Nessun commento:

Posta un commento