Guardate la foto qui sopra.
Un figlio consola il padre. Piange, il padre, probabilmente perché ha
sempre sperato di poter garantire la dignità, almeno. Almeno la dignità. Dando
per scontato che la sopravvivenza sia il risultato minimo per un genitore. Sia
con la guerra, la tempesta, il sole, il caldo, lo scirocco, le pallottole, le
malattie ogni genitore nel mondo, qualsiasi legge e qualsiasi religione,
qualsiasi genitore ha il dovere di preservare i propri figli, è un bisogno che
sente connaturato com il respiro, la sete e il sangue. Qui il padre
cede il posto alla disperazione, che non è altro che l’esaurirsi della
produzione della speranza, e si arrende, chiedendo scusa al suo dio, se ne ha
uno e con qualsiasi nome lo chiami. Questa foto è la sindone di una sconfitta
collettiva.
Il figlio, lui, ha uno sguardo preoccupato ma nemmeno troppo. I bambini
hanno una bilancia tutta loro dei dolori, delle gioie e delle sconfitte e
spesso ci insegnano a noi adulti a non prendersi mai troppo sul serio, a non
disabituarsi a vedere la bellezza intorno. Quel bambino sta pensando
probabilmente che niente di così terribile può succedere finché suo padre è lì.
E lui con lui, e anche qualcosa da mangiare.
Per questo mettere su una barca dalla morte probabile il proprio figlio è
un gesto che condanna tutti gli stati della terra ferma: quando un genitore
gioca a carte con la vita dei figli e quando i padri e i figli sono così
numerosi significa che s’è perso il limite potabile delle possibilità,
significa che da qualche parte rischiare è l’unico atto di protezione
possibile. Roba da perderci la testa. Roba da restarci secchi per la distanza
tra il dolore che si arriva a scrivere e quello che ci sbrodola in giro. Senza
nemmeno il vocabolario per poterle scrivere.
E allora mi chiedo, e me lo chiedo senza provocazioni, me lo chiedo in
questo tempo di preoccupazione pelosissima per ogni bambino del mondo, ecco
sarebbe bello, mettiamola così, riversare tutta questa polifonica
preoccupazione su questo bambino qui e su tutti quelli (sono tantissimi) come
lui. Quelli che hanno passato la notte con le ortiche nel naso per i
fumogeni della polizia oppure quelli che hanno avuto una scarpa impigliata nel
filo spinato. Ecco, io penso che se davvero fosse diventato di moda
preoccuparsi di tutti i bambini del mondo, se davvero lasciassimo da parte le
posizioni pregiudiziali e decidessimo che tutti, davvero tutti, laici o
cristiani o cattolici o islamici o evangelisti, tutti per davvero, se tutti ci
interessassimo come ci interessiamo in queste ore dei bambini, ecco credo che
sapremmo bene che Paese desolato è quel Paese in cui i figli consolano i padri
e mica il contrario. E sarebbe già un profumo di primavera. Prima del tempo.
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