giovedì 10 marzo 2016

Dindim e João

…Siamo nel 2011, è il 20 marzo, João Pereira De Souza ha 66 anni, è uno di quei pescatori brasiliani che si godono la vecchiaia in riva al mare, con il volto perennemente abbronzato e i solchi sul viso a far da pergamena a una vita faticosa ma felice. Mentre scruta l’orizzonte, però, si accorge di un piccolo grumo nero che si muove. Una smorfia, l’occhio che si sforza di vedere più chiaro. Si accorge dopo qualche secondo che quello è un pinguino intriso di petrolio. Non ci pensa un attimo, lo prende in braccio, senza curarsi delle macchie sui vestiti, e lo porta a casa. Ci mette più di una settimana a pulirlo dal catrame, poi prova a liberarlo. L’animaletto vuole rimanere con lui. Capisce che ha ancora bisogno del suo aiuto e ci mette qualche mese (undici) a farlo tornare all’antico splendore con tanto affetto e ancora più sardine. Poi, di nuovo il mare. João con le lacrime agli occhi lo porta lì, nel luogo del loro primo incontro, e lo spinge via. Deve tornare alla sua vita, in Patagonia. Ma Dindim, così lo aveva chiamato il pescatore, non è d’accordo. Se ne va, ma lo guarda e sembra dirgli “tornerò”. E così è stato. Ogni estate quel pinguino arriva su quella spiaggia. Cerca quel sorriso sdentato, quella pelle ambrata, il cappellino da cui João non si separa mai. E corre – insomma, saltella basculando – verso di lui. Baci, abbracci, pinnate. E tutto (e tutti), attorno a loro, svanisce. E per otto mesi sono inseparabili. João considera Dindim un figlio, mentre Dindim, come dice un biologo che ha “intervistato” entrambi, considera João un pinguino. E per lui, che considera la sua famiglia, è disposto a fare 5000 miglia, 8000 chilometri e tornare, ogni anno. E appena arriva, si addormenta sul grembo di quell’uomo 71enne. L’unico autorizzato a coccolarlo. Compagni inseparabili – Dindim becca e “aggredisce”.
da qui

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