Chi è Tigro? Un vecchio gatto di 15 anni
un po’ malfermo in salute. D’accordo, ma cosa c’entra con il TAV? C’entra,
c’entra. È, però, una lunga storia.
Al principio c’è la vicenda giudiziaria
di Dana, militante No Tav, condannata a due anni di reclusione perché, nel
corso di una manifestazione nella quale veniva «occupata l’area del casello di
accesso all’autostrada Torino-Bardonecchia e venivano bloccate con nastro
adesivo le sbarre di pedaggio, ponendosi alla testa dei manifestanti, con
l’utilizzo di un megafono intimava agli automobilisti di transitare ai caselli
senza pagare il pedaggio indicando le ragioni della protesta» (così la sentenza
28 marzo 2017 del Tribunale di Torino) (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2020/09/18/dana-la-vendetta-del-tav/):
condanna per un’imputazione (violenza privata) piuttosto fantasiosa e,
comunque, di entità assolutamente abnorme (https://volerelaluna.it/tav/2020/11/02/dana-i-giudici-e-lordine-costituito/).
Ma non basta. Come abbiamo più volte scritto su queste pagine, la vicenda si è
arricchita, in fase di esecuzione, di altri aspetti a dir poco kafkiani. A Dana
infatti, seppur incensurata e dedita a un lavoro stabile e documentato, è stata
inizialmente negata ogni misura alternativa con la singolare motivazione della
sua mancata presa di distanza dal Movimento No TAV (pur in un quadro di
revisione critica «delle modalità con le quali porre in essere la lotta per le
finalità indicate») e del fatto che il suo luogo di residenza era prossimo
all’epicentro dell’opposizione alla linea ferroviaria Torino-Lione (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2020/09/18/dana-la-vendetta-del-tav/).
Solo dopo oltre sette mesi di carcere, poi, Dana ha ottenuto la detenzione
domiciliare a Torino, con possibilità di uscire dall’abitazione per recarsi al
lavoro, ma con espresso divieto di «frequentare persone che le Forze
dell’ordine indichino come esponenti del centro sociale Askatasuna o del
Movimento No Tav» (così l’ordinanza 14-15 aprile 2021 del Tribunale di
sorveglianza di Torino). Dana si è dunque trasferita da Bussoleno a Torino,
dove oggi vive e lavora.
E qui entra in scena Tigro. Dana ha,
infatti, due gatti, che ha portato con sé a Torino. Uno di loro è, appunto,
Tigro che, oltre ad essere anziano, soffre di disturbi alla tiroide. Al
manifestarsi di episodi di sofferenza, Dana ha chiamato il suo veterinario, che
si è dichiarato disponibile a venirlo a visitare, fissando anche la data. A ciò
ha fatto seguito la richiesta di autorizzazione all’assistente sociale
dell’Ufficio esecuzione penale esterna che, a sua volta, l’ha girata al giudice
competente. Tutto semplice e lineare, sembrerebbe, salva la macchinosità dei
passaggi previsti per una questione di minima entità rispetto alle molte che –
è dato pensare – incombono quotidianamente su un magistrato di sorveglianza. E
invece no. Il veterinario di Tigro ha, infatti, un difetto insuperabile: lavora
e abita in Val Susa! E questo vizio di origine non gli consente di visitare e
curare il suo paziente a quattro zampe. Il magistrato di sorveglianza, infatti,
è inflessibile e, con provvedimento vergato a mano in calce alla richiesta,
«autorizza unicamente la detenuta domiciliare a uscire dal domicilio previo
avviso alle FF.OO circa l’orario di uscita e di rientro per portare il proprio
animale domestico in un ambulatorio di sua scelta nel comune di
domicilio». Proprio così! La notizia la dà Dana che posta sui social questo
messaggio:
Come siamo messi… Il Tribunale di sorveglianza boccia la mia richiesta di
far entrare in casa il veterinario di Tigro (uno dei miei due gatti). La
richiesta è stata fatta perché il mio piccolo peloso non sta molto bene. Il
magistrato (sempre lei) afferma che posso trovarmi un veterinario a Torino, e
portarcelo (il veterinario ovviamente è valsusino e gentilmente sarebbe sceso
in città per visitare il suo paziente). Ora che mi è ben chiaro, alla luce
degli ultimi mesi, quale sia stato l’accanimento a me riservato in quanto
pericolosa No Tav, non riesco a concepire come tale atteggiamento possa venir
applicato anche a un animale domestico. Un gatto, per di più anziano (15 anni),
che quindi di reati contro l’ordine e la sicurezza difficilmente ne commetterà.
Il veterinario di valle farà i dovuti passaggi di consegne con un nuovo
veterinario, ma resta il fatto che per Tigro sarebbe stata l’opzione migliore
continuare ad essere curato da chi conosce e nell’ultimo periodo ha avuto cura
della sua malattia. Inoltre, chi lo ha incrociato, sa quanto sia stressante per
Tigro indomito essere spostato, trasportato ecc…Vivo un forte senso di
impotenza di fronte a queste ingiustizie, che si accumulano senza possibilità
di ricorso.
Confesso che, leggendo il messaggio, ho
inizialmente pensato a una di quelle forzature ironiche a cui il movimento No
Tav, ricorre, a volte, per irridere pratiche vessatorie di cui continua ad
essere vittima. Della serie, insomma, «una risata vi seppellirà». Tanto che ho
chiesto di vedere il provvedimento. E così ho scoperto che è tutto vero.
Incredibilmente vero.
Per i giuristi si potrebbero aprire
infinite e sottili questioni esegetiche, con buona pace dell’ingolfamento della
giustizia e della salute del povero gatto. Alcune tra le altre. La visita
richiesta da Dana è stata, evidentemente, ritenuta pericolosa (ché,
altrimenti, non ci sarebbe stato motivo per negarla), ma dove sta la fonte del
pericolo: nel veterinario o nel gatto? Ed è una pericolosità sorretta da una
presunzione invincibile o superabile dall’esito di una approfondita indagine
magari demandata alla Digos (ovviamente sulle abitudini del professionista e
dell’animale)? E, ancora, è sufficiente che la visita autorizzata si svolga in
un ambulatorio torinese o anche la residenza del veterinario – e magari il
luogo di sua nascita – deve essere nel capoluogo sabaudo (e, comunque, non in
Val Susa)? Di più, potrà il veterinario torinese ospitare nel suo ambulatorio,
per l’esecuzione della visita, un collega valsusino?
Potrei continuare ma, essendoci un
limite a tutto, mi fermo e concludo con una considerazione. La caduta verticale
in atto della credibilità della magistratura ha molte ragioni e sono in molti
ad alimentarla gettando olio sul fuoco. Ma spesso non ce n’è bisogno. Ci
pensano, da sole, anche nelle cose minime, l’istituzione e chi la rappresenta.
Post Scriptum
Grazie a questa vicenda, Tigro ha avuto
il suo momento di gloria. Scrivo di ritorno dalla marcia da Bussoleno a San
Didero di sabato 12 giugno con cui il movimento No Tav ha manifestato la sua
opposizione all’autoporto che si vorrebbe costruire a integrazione della linea
ferroviaria Torino-Lione. Una manifestazione imponente, vivace, piena di vita e
di determinazione, allegra a dispetto di tutto. Un fiume di 15.000 persone
(persino la questura ha ammesso che erano più di 6.000…), soprattutto giovani,
che, da tempo, stanno prendendo il testimone dalla vecchia guardia garantendo
che la protesta non si fermerà e, alla fine, avrà ragione di calcoli politici e
interessi (https://volerelaluna.it/tav/2020/07/29/il-movimento-no-tav-e-giovane/).
Ebbene, tra i molti cartelli, arrabbiati o ironici, c’erano anche quelli con la
scritta «Tigro libero!». Appunto: «Una risata vi seppellirà».
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