martedì 1 giugno 2021

Un anno senza sprechi - Leo Hickman

 

Questo articolo è stato pubblicato il 16 febbraio 2007 nel numero 680 di Internazionale.

 

Negli stati uniti ai detenuti nel braccio della morte viene concesso di scegliere il loro ultimo pasto. L’imminente incontro con il boia dovrebbe distrarli dal cibo, e invece molti decidono di cogliere l’occasione per abbuffarsi. E perché no? Quando non ha più senso agitarsi per il livello del colesterolo e le maniglie dell’amore, che male c’è a ingozzarsi a più non posso di sale, grassi, zucchero, carne rossa e carboidrati?

La sera prima del nostro incontro con i consulenti etici, chiedo a Jane cosa dovremmo mangiare nell’ultima cena prima che le nostre vite siano rivoltate come calzini. Le propongo di ricordare il momento con un festino a base di tutte quelle cose che probabilmente saranno bandite dalla nostra cucina. Per ispirarci, cerchiamo su internet cosa hanno ordinato per cena gli ultimi condannati a morte. Lo so, è un gesto di cattivo gusto, ma ci sentiamo vulnerabili. Dopo un’occhiata alle richieste, è chiaro che chi sta per affrontare un’esecuzione sogna una sola cosa: fast food in quantità industriali. Prendete John Hooker, giustiziato il 25 marzo 2003 in Oklahoma. Sapeva benissimo quello che voleva: dopotutto aveva avuto molti anni per pensarci, e la sua richiesta era molto dettagliata:

Tre petti e tre ali di pollo di Kentucky Fried Chicken

Cime di broccoli con salsa al formaggio

Una patata al forno con panna acida ed erba cipollina

Due bacon cheeseburger

Due fette di cheesecake alla ciliegia

Due 7-Up

In effetti, delle sessantacinque persone giustiziate negli Stati Uniti nel 2003, tredici hanno ordinato hamburger, dodici pollo fritto e diciannove patate fritte. Se c’è qualcosa da imparare da queste ultime cene, è che nei momenti di massima tensione la gente cerca consolazione nel cibo. Non c’è da meravigliarsi: tutto sembra suggerire che più alta è la tensione, più aumenta la quantità di cibo.

Interpretate come volete i nostri livelli di stress, ma l’ansia sull’incombente ispezione etica ci porta a rompere la nostra routine settimanale di chili con carne, insalate in busta, lasagne, patate al forno, costolette d’agnello, salsicce con purè e simili, e a chiamare invece un take-away indiano: poppadom, Peshwari naan, pasanda di agnello, samosa, shish kebab, pollo tikka masala, bhaji di cipolle, riso. Mangiamo tutto con entusiasmo, tranne l’insalata di lattuga e cipolle della casa: quella non la tocchiamo mai.

 

Agitati per gli ospiti
Aspettando l’arrivo dei consulenti, ci prende il panico: cosa gli offriamo per pranzo? Insomma, cosa mangiano i consulenti etici? Sono vegetariani, vegani o quella cosa per cui mangi solo frutti caduti per il vento? Dev’essere tutto biologico? Oppure del commercio equo? E cosa vorranno bere?

C’è sempre un po’ di agitazione prima dell’arrivo degli ospiti: vai in giro a sprimacciare cuscini, controlli la vasca in cerca di tracce di sporco, tiri fuori un asciugamano pulito e una “saponetta per ospiti” per rendere presentabile il bagno, annusi in giro per capire se è il caso di dare una spruzzata di deodorante, metti via il bucato appeso ad asciugare e fai altri gesti paranoici come questi con un certo orgoglio casalingo. Jane di solito se ne preoccupa molto più di me, ma stavolta anch’io vago inquieto per la casa.

“Credi che dovremmo nascondere qualche telecomando?”, chiedo. “Non mi va che pensino che stiamo tutto il giorno davanti al televisore, visto che non è vero”. “No, lascia tutto dov’è. Devono vedere esattamente come viviamo”.

“E tutti quei pacchi di pannolini nella stanza di Esme?”. “Lasciali là”.

Anche Jane è nervosa, ma vuole dimostrare che non abbiamo niente di cui vergognarci. E proprio mentre stiamo per cominciare un’altra discussione sul pranzo, bussano alla porta.

La prima ad arrivare è Hannah Berry. Lavora per Ethical Consumer, un bimestrale che informa i suoi lettori “sull’impatto sociale e ambientale dei prodotti, e l’eticità delle aziende che li fabbricano”. Anche Hannah sembra leggermente nervosa quando si accomoda nel nostro soggiorno. Il maglione con il cappuccio, i capelli corti e i jeans fanno pensare ai centri sociali, ai gatti e allo sformato di lenticchie. Le chiedo se vuole tè o caffè, sapendo che così i dettagli della nostra vita cominceranno a subire l’esame della sua analisi critica.

“Caffè, grazie”, dice Hannah.

“Se preferisci posso farti un caffè vero, invece di quello solubile”. Per qualche motivo immagino che Hannah ci dia dei punti in più perché abbiamo caffè fresco. Jane mi lancia un’occhiataccia.

Mentre vado in cucina a mettere su l’acqua, rifletto sulle etichette che senza dubbio Hannah ci ha già affibbiato in base ai nostri nomi, all’indirizzo, al lavoro che facciamo e così via: ceto medio, professionisti urbani che probabilmente fanno la spesa da Sainsbury’s, possiedono una station wagon, vanno in vacanza spesso e per brevi periodi, bevono pinot grigio spiluccando anacardi e guardando documentari sull’arte in tv.

Mentre l’acqua bolle, arriva Mike Childs. È il direttore per la Gran Bretagna delle campagne di Friends of the earth, una rete internazionale di gruppi ambientalisti, ed è venuto in treno a Londra dalla sua casa nello Yorkshire. Con la maglietta e la camicia verde portata fuori dai jeans, ha l’aria rilassata e noncurante di un militante ambientalista. Lo presento ad Hannah e gli offro da bere, poi Jane e io ci ritiriamo in cucina e ricominciamo con il panico sul pranzo. Rovistiamo nel frigo e nelle credenze, in cerca di qualcosa che trasudi classe e sofisticatezza e allo stesso tempo ci faccia guadagnare punti etici, ma non facciamo che tirare fuori scatole di fagioli, pacchi di pasta e barattoli di chutney di mango (colpevole memento dell’indiano di ieri sera). Jane mi sgrida perché non ho programmato in anticipo il pranzo. Faccio capolino in soggiorno e chiedo se hanno delle preferenze, ma loro, con grande gentilezza (e senza venirmi minimamente incontro) cercano di metterci a nostro agio chiedendoci di preparare ciò che mangeremmo normalmente. Perciò decidiamo per un’insalata nizzarda: lattuga, qualche uovo, fagiolini, una scatola di tonno e olive. Almeno è cibo sano, pensiamo. Sento un taxi che si ferma davanti a casa. I consulenti etici non viaggiano in taxi, giusto? Non dovrebbero attenersi alla bici, alle camminate o ai mezzi pubblici? Sbircio dalla finestra e vedo scendere dal taxi una donna elegante, con i capelli biondi lunghi fino alle spalle. Mi sembra un po’ troppo glamour per essere un consulente etico, ma sta venendo da noi.

“Salve, tu devi essere Leo”, dice Renée Elliott, consigliera della Soil association e fondatrice della catena di negozi Planet Organic a Londra. La sua sicurezza leggera, gli abiti e i modi fanno pensare a una tosta donna d’affari, e il suo accento americano della east coast consolida l’impressione. Sarebbe difficile immaginare qualcuno più diverso da Hannah, timida e leggermente nervosa, che è seduta nella stanza accanto. Se qualcuno dovrà essere brutalmente sincero sul modo in cui Jane e io viviamo, credo proprio che Renée non si farà pregare.

 

Stanza per stanza
Visto che ora sono tutti qui, dichiaro ufficialmente aperta la seduta.

“Grazie per essere venuti. Innanzitutto, Jane e io siamo ovviamente un po’ nervosi sugli orrori che state per scoprire, quindi vi prego di andarci piano. Almeno all’inizio. Non so bene come procedere, ma immagino che sarebbe logico andare stanza per stanza, e che voi prendiate appunti e ci facciate domande su ciò che compriamo, come viviamo e così via. Poi pranzeremo. Da dove cominciamo?”.

“Senz’altro dalla cucina”, dice immediatamente Renée. “Si capisce molto guardando la cucina di una persona”.

Gli altri due annuiscono, e così andiamo sul retro della nostra casa a schiera vittoriana.

Non c’è molto da dire sulla nostra cucina. È molto piccola e un po’ scialba, visto che non l’abbiamo ridipinta quando ci siamo trasferiti qui sei mesi fa. I precedenti proprietari l’avevano arredata con quello che ha tutta l’aria di un modulo Ikea, con piani di lavoro in legno e pavimento di piastrelle. Abbiamo gli elettrodomestici standard: un grande frigo-congelatore, doppio forno elettrico, piano di cottura a gas, lava-asciugatrice e lavastoviglie. La stanza non è abbastanza grande per un tavolo, perciò in genere ceniamo davanti alla tv. Nelle rare occasioni in cui abbiamo ospiti, tiriamo fuori un piccolo tavolo d’antiquariato allungabile e mangiamo nel soggiorno. Vorremmo abbattere la parete tra la cucina e il bagno del pianoterra, spostare il bagno di sopra, allargare la cucina e farne una stanza più familiare, con porte e finestre sul nostro piccolo giardino… così che Esme non debba più stare nel suo seggiolone in splendido isolamento.

I consulenti valutano le risorse con cui è prodotto un oggetto e l’efficienza energetica del suo uso

Sveliamo i nostri piani strutturali ai consulenti mentre entrano in cucina, ognuno armato di penna e taccuino. A questo punto Esme si sveglia dal pisolino del mattino e si unisce al giro in braccio a Jane. “Vi dispiace se guardiamo nel frigo?”, chiede Renée senza mezzi termini. “Ehm, accomodatevi”, mormoro.

Mentre esamina il contenuto, mi sento come se stesse leggendo il mio diario. Siamo una famiglia da burro o da margarina? Mangiamo cibi precotti? Da quanto tempo sta lì quella scatoletta di tonno coperta dalla pellicola trasparente? Non sapevate che il cibo cotto e quello crudo vanno tenuti separati? Dopo un po’ tirano fuori i pacchetti di piselli e scuotono la testa sulla provenienza. Poi notano che il latte è biologico, ma le uova no, anche se non sono di batteria.

Ogni cosa che tirano fuori dal frigo sembra avere qualche problema: provenienza, residui di pesticidi, additivi… Una questione chiave è se Jane e io dobbiamo diventare vegetariani. Hannah, che lo è da quando aveva nove anni, spiega cosa succede nelle fattorie e nei mattatoi con dettagli raccapriccianti, che farebbero desistere anche il più ardente appassionato di salsicce e hamburger. Tuttavia Renée (che pure è vegetariana) ci tiene a sottolineare che si tratta di una scelta personale alla quale dobbiamo arrivare da soli. Mi rivolgo a Mike e gli chiedo se mangia carne. “Solo se viene dagli animali allevati sulle colline e nelle valli della mia zona”, dice. Guardo fuori dalla finestra e vedo un piccione allevato a Londra che plana nel nostro giardino.

Tutto questo non fa che rendermi ancora più nervoso per il pranzo. Cosa diranno del tonno e delle uova? Forse dobbiamo rapidamente mettere in piedi qualcos’altro con gli ingredienti che ci rimangono? Un’insalata di lattuga e fagiolini? Non lo direi proprio un pranzo. E della pasta, invece? Mentre penso a cosa potremmo usare come salsa, Renée apre uno dei pensili della cucina.

E lancia un gridolino di piacere: “Adoro ficcare il naso nelle credenze degli altri”. Mi sembra che si stia divertendo un po’ troppo.

Mike e Hannah sembrano meno entusiasti mentre osservano Renée che svuota la credenza. Forse sono le noccioline scadute o la busta rotta di farina autolievitante che frenano il loro entusiasmo?

Dopo qualche minuto di vigoroso saccheggio, esclamazioni soffocate e sguardi d’intesa, davanti a noi è schierato quello che a me pare una sagra paesana, ma agli altri sembra più probabilmente lo scaffale delle offerte al supermercato. Ci sono decine di articoli, da scatole di fagioli e polpa di pomodoro a pacchi di pasta (in sette formati diversi, benché io giuri che alterniamo solo spaghetti, fusilli e penne), barattoli di spezie e succhi di frutta. Ci sono anche pane, riso, bottiglie di vino, birra, vari condimenti, pacchetti di noci e frutta secca, e vari tipi di tè e caffè. Mi rendo conto di quanta roba resta intatta per mesi, confinata in fondo alla credenza.

Lo schema è questo: i consulenti violano ogni angolo e ogni fessura prima di elencare i molti modi in cui quello che trovano danneggia noi, gli altri, o l’ambiente. Non si salva nulla: vino, scatole di tonno, uova, pasta surgelata, frutta fresca, scatole di riso, biscotti, perfino macinasale e macinapepe.

 

Non so Jane, ma io ho già bisogno di qualcosa di forte, e non siamo nemmeno usciti dalla cucina. Guardo il brandy sul piano di lavoro della cucina, che senza dubbio si sente sotto accusa come noi. Ma non è ancora ora di pranzo, perciò metto su il bollitore per un altro caffè. Errore.

“Forse è il momento giusto per parlare di come usate gli elettrodomestici”, dice Renée, vedendomi accendere il fornello a gas per scaldare l’acqua. Non possono mica criticare anche questo… non ha nemmeno la spina. Mike e Renée discutono su come si risparmia più energia, se facendo bollire l’acqua sul gas o usando un bollitore elettrico.

Dopo un breve dibattito su quanta fiamma dovrebbe spuntare da sotto il bollitore, Hannah interviene: “L’inefficienza intrinseca della produzione convenzionale di elettricità rende preferibile il gas in termini di emissioni di carbonio. A meno che il fornitore non si affidi completamente a fonti rinnovabili, nel qual caso consiglierei un bollitore d’acciaio prodotto nel nostro paese, come quelli con la resistenza nascosta della Russell Hobbs. L’acciaio dura di più, non rilascia sostanze chimiche nell’acqua e puoi bollire anche poca acqua alla volta”.

Comincio a capire come funziona: i consulenti valutano l’energia e le risorse impiegate per produrre un oggetto, come usarlo al meglio in termini di efficienza energetica, e poi quanto inquina. In altri termini, eseguono quella che chiamano “un’analisi del ciclo di vita” di tutto ciò che abbiamo in casa.

Poi esaminano la lavatrice e la lavastoviglie, quindi le pentole, le padelle e gli accessori da cucina. Scoprono velocemente un bruciatore per crème brûlé, un tostapane e uno spremiagrumi, tutti mai usati. Hannah alza gli occhi al cielo quando apre un cassetto e trova un groviglio di spiedi, bacchette, passaverdure, cavatappi, scavini, bollitori per uova e tutto ciò che abbiamo comprato in quei momenti di delirio in cui, ispirati dall’amica di turno, ci siamo precipitati nel negozio più vicino per assicurarci l’ultimo gadget indispensabile.

“Una sola batteria di pentole e padelle è più che sufficiente”, dice Hannah. “E quando avete bisogno di sostituirle, scegliete qualcosa di solido, per esempio in ghisa con il fondo piatto, un coperchio che chiude bene e manici saldati. Ed è meglio comprare stoviglie di seconda mano o di fabbricazione locale… ricordatevi che la porcellana bone china (inventata in Inghilterra con polvere di ossa bovine) può creare dei problemi ai vostri ospiti vegetariani”.

La sicurezza dei microonde
Comincio a sentirmi come un bambino e cerco disperatamente qualcosa con cui dimostrare che non tutto, nella nostra vita, contribuisce al cambiamento climatico, al riscaldamento globale, alla distruzione dell’ecosistema o a una combinazione di tutti e tre. “Non abbiamo il microonde”, faccio notare. “È una buona cosa, no?”.

Sì, è vero, dicono… ma fino a un certo punto. La sicurezza dei microonde è ancora in discussione, e la fabbricazione e la spedizione richiedono molte risorse, però se si usano per scaldare il cibo al posto dei forni convenzionali si risparmia energia.

“Ma non ti direi di comprarne uno”, aggiunge Hannah.

Offro a tutti un secondo giro di caffè, ma questo riporta la conversazione su quanta energia usiamo in casa. Parliamo del consumo del nostro frigo-congelatore, della nostra caldaia a gas, dei cicli della lavatrice, perfino dei vantaggi di tenere sempre acceso il piccolo orologio del forno.

Renée continua a rovistare nei pensili. Emette un altro gridolino. Oh dio, ha trovato uno dei topini che a quanto pare hanno preso in affitto lo spazio dietro il lavello? Ma no, è la bottiglia di candeggina.

“Guarda”, dice. “Ci sono anche Cif, anticalcare, ammorbidente, pastiglie per lavastoviglie e pastiglie sterilizzanti Milton per una ‘completa protezione dai germi’. Qui c’è la prova che il nostro paese è ossessionato dall’eliminazione totale dei germi”. Ora tutti e tre esaminano i detersivi. “Perché tenere tanti veleni nella stanza in cui prepari da mangiare, Leo?”, chiede Hannah, sollevando un flacone di detergente per il forno. Sono tutti d’accordo: questa credenza è altamente tossica e il suo contenuto necessita di un’urgente revisione etica.

La candeggina è una sostanza particolarmente pericolosa da riversare nelle fogne, dice Mike. “Evidentemente usate un candeggiante per pulire i pavimenti e il bagno. La candeggina contiene alcune sostanze tossiche, per questo uccide i germi. È roba potente e dovrebbe essere usata con parsimonia”.

 

Jane ne ha chiaramente avuto abbastanza. È seduta in silenzio sul gradino che separa il corridoio dalla cucina, con Esme stretta al petto, e senza dubbio si chiede perché diavolo ci siamo cacciati in questa situazione. Per darle una tregua dall’assalto, propongo di fare un giro in giardino mentre lei prepara l’insalata, anche se dalla sua faccia direi che preferirebbe preparare un giro di cicuta. Appena usciamo mi rendo conto che non sono molto colpiti da ciò che vedono, anche se questa giornata di tarda primavera riempie di sole il piccolo giardino, che dà a sud. Lo spiazzo è quasi completamente coperto da un rivestimento di legno installato dai precedenti proprietari, e l’unico albero, un ciliegio, è morto e spoglio. Con il suo metro per due è più un patio che un giardino: ci sono un paio di piante in vaso, un sacco di carbonella per il barbecue e un sacco di compost di torba.

Renée, tuttavia, insiste che dovremmo considerarlo come una pagina bianca. “Anche se è un po’ spoglio”, dice, “è meraviglioso avere uno spazio all’esterno, in particolare con una bambina piccola”.

Mike concorda. “Siete molto fortunati ad avere accesso a uno spazio simile a Londra, e dovete approfittarne. Anche se è piccolo, è possibile creare un ambiente gradevole, e perfino coltivare qualche ortaggio”.

La mia scusa per la nudità del giardino è che ci siamo trasferiti da poco e, con una bambina appena nata, non abbiamo avuto ancora il tempo di ravvivarlo con delle piante. I consulenti vedono il lato positivo della cosa, e dicono che possiamo sforzarci di creare un giardino integralmente biologico e di attirare più animali possibile. Questo mi ringalluzzisce un po’, e il loro entusiasmo per tutti i modi in cui possiamo trasformare il giardino mi conforta ancora di più. Torniamo in cucina, e dico a Jane che l’anno prossimo di questi tempi potremo mangiare prodotti coltivati da noi. “Il pranzo è pronto quando volete”, dice.

Riempio una caraffa d’acqua di rubinetto e accompagno tutti in soggiorno.

Mentre si siedono porto in tavola la grande insalatiera di noce che abbiamo comprato in Marocco qualche anno fa. Prima dell’arrivo dei consulenti avevo pensato che questo ci avrebbe dato dei punti per “l’autenticità”, ma la loro assenza di reazioni mi suggerisce che o sono paralizzati all’idea di cosa contiene o hanno troppa fame per pensarci. Vista la lavata di capo che abbiamo già avuto, penso che ce la caveremo a buon mercato. Mi viene in mente che l’insalatiera potrebbe non venire da una produzione di legno sostenibile: mi hanno già fatto il lavaggio del cervello.

Mentre poso la scodella al centro della tavola, spio con ansia le loro reazioni. Vedo che tutti sbirciano dentro. Nessuna insalata di tonno è mai stata sottoposta a uno scrutinio così estremo. La tensione è tale che sembra l’attesa di un giudizio della Guida Michelin.

“Chi vuole dell’insalata?”, chiedo.

“Queste sono le uova non biologiche che stavano in frigo?”, chiede Renée. Jane e io ci siamo già fatti i complimenti per la cottura perfetta.

“Sì, temo proprio di sì”. Perché mi sto scusando? Certo che sono le uova del mio frigo. Cosa crede? Che vengano dal pollaio biologico nel giardino che lei non ha visto perché era nascosto dal sacco del compost?

“È tonno quello, Leo?”, dice Hannah, la vegetariana.

“Non mangi pesce?”, chiede Jane.

“No, né carne né pesce. Be’, il pesce lo mangio, ma solo raramente”, risponde Hannah, probabilmente per cortesia.

“Io ne metto un po’ a tutti, lasciate da parte quello che non vi piace”, dico, forse un po’ bruscamente, ammucchiando insalata sul primo piatto, che viene passato a Mike. Sulle prime penso che sia perché nessuno la vuole. Poi comincio a chiedermi se non ci sia qualche meccanismo femminista contro la precedenza alle signore. Mike mi ringrazia e poi inizia a esaminare gli ingredienti più da vicino. “Da dove vengono questi fagiolini? Sono stati importati dall’estero via aerea o sono coltivati qui?”, chiede. “In realtà non lo so”, risponde Jane. “Li abbiamo presi da Sainsbury’s. Posso andare a prenderti la scatola se vuoi”.

“Vado io”, dico. “Dobbiamo comunque tirare fuori il pane dal forno”.

“Avete fatto voi il pane?”, chiede Renée, chiaramente colpita.

“Ehm, no. È una di quelle ciabatte precotte. Mi dispiace”.

Renée è visibilmente delusa. Corro in cucina a prendere il pane e a cercare la scatola dei fagiolini, poi passo la confezione a Mike.

“Kenya”, dice lui. Nessuno aggiunge altro.

Mentre cominciamo esitanti a mangiare, la conversazione passa al chilometraggio del cibo, agli imballaggi eccessivi e agli alimenti fuori stagione. A tratti non so se sono stoccate dirette al pranzo che abbiamo servito o solo discorsi a scopo educativo. In entrambi i casi, il mio appetito solitamente robusto sembra essere rimasto in giardino. Non c’è niente che ti distragga dal cibo come vedere i tuoi ospiti vivisezionare le pietanze che hai preparato.

“Parliamo di qualcos’altro”, implora Jane. “Devono esserci tante domande che volete farci”. È un sollievo passare ad altri argomenti: le nostre vacanze, come andiamo al lavoro, qual è la nostra banca, come vestiamo Esme, dove compriamo i vestiti, se conosciamo i vicini e usiamo i negozi della zona, quanta spazzatura produciamo alla settimana, se abbiamo mai preso in considerazione l’idea di fare volontariato o beneficenza.

Mezz’ora dopo, i piatti sono per lo più vuoti. Ma mi sento ancora come se avessi infilato a forza un gregge di pecore in una tana di lupi. Non chiedo se vogliono del dessert.

 

Abitudini igieniche
Dopo aver mangiato con gli ospiti, la maggior parte della gente rimane a tavola a chiacchierare davanti a un caffè o a un tè, o si sposta in una stanza più comoda. Noi invece andiamo tutti insieme in bagno. Durante il pranzo abbiamo parlato, tra l’altro, delle nostre abitudini igieniche: quanto tempo passiamo sotto la doccia o nella vasca, quali detergenti, dentifrici e cosmetici usiamo. E così i consulenti chiedono di esaminare il bagno per avere un “quadro accurato” di cosa combiniamo là dentro. Secondo me vogliono solo ficcanasare. Come la cucina, il bagno di sotto (che contiene solo la vasca e il lavabo: il water è di sopra) è un po’ smorto, visto che non è ancora stato ridipinto da quando ci siamo trasferiti. Ma non sono le piastrelle a interessarli (anche se compiono un breve studio dell’attacco della doccia per valutare l’eventuale spreco di acqua); quello che vogliono è l’armadietto.

Si può vivere in modo sostenibile, analizzando a fondo ogni cosa che fai, compri o mangi?

Individuo immediatamente un potenziale focolaio di conflitto quando Renée punta gli adorati prodotti Clarins di Jane. Per favore, non quelli, imploro dentro di me. Comincia a passare in rassegna la lista degli ingredienti, commentandoli quasi tutti. Ai cosmetici sembra molto interessata: usa termini che non ho più sentito dall’esame di chimica al liceo, e spiega tutti i danni potenziali che possono fare ai nostri corpi. L’ispezione è accurata.

“Sapete cosa fa questo sapone alla pelle ogni volta che lo usate?”, chiede. “E guarda cosa contiene questo idratante”.

Esme ci salva con un tempismo perfetto, interrompendo la procedura con una “consegna speciale”. Mi chiedo se non sia perché l’ha stretta troppo forte mentre subiva il giudizio sul suo regime di bellezza. Comunque, ci spostiamo tutti nella stanza della bimba, dove teniamo tutto l’armamentario per il cambio dei pannolini: è in quella che i neogenitori chiamano con una certa alterigia “postazione di cambio”.

 

Cattivi genitori
Ma l’analisi non si ferma: c’è da discutere della crema per il sederino e da valutare le marche di pannolini. Ascoltare con spirito e grazia una conferenza su come allevare i figli è già difficile quando viene dalle persone di famiglia, ma sorbirsela da un estraneo per noi è una novità. Anche se sappiamo che i consulenti hanno a cuore solo il nostro bene e quello di Esme, è difficile non sentirsi tacciati di essere dei cattivi genitori.

Hannah sembra particolarmente preoccupata dalle possibili fonti di tossine nella stanza. “La stanza è stata chiaramente ridipinta di fresco in vista dell’arrivo di Esme, e anche la moquette è nuova”, dice. “Ma di solito le moquette sintetiche di questo tipo non sono raccomandabili per i bambini piccoli, poiché possono contenere tracce di componenti pericolosi come gli ignifughi bromurati”.

Di questo si preoccupano anche Mike e Renée. Dobbiamo cercare a ogni costo di evitare i prodotti fatti con materiali sintetici, sottolinea Mike. “I lattanti e i bambini piccoli sono particolarmente vulnerabili agli effetti delle sostanze chimiche nell’ambiente, e tuttavia gli articoli per la toletta dei bimbi spesso contengono sostanze note che danneggiano il sistema ormonale, o che si annidano nel grasso corporeo. È meglio usare l’acqua per tenere pulito il bebè piuttosto che le salviettine. Evitate anche creme e lozioni profumate, che spesso contengono sostanze sospette, e attenzione a biberon, bicchieri e scodelle di plastica, che rilasciano sostanze chimiche se vengono graffiati”. Lo interrompo per dire che noi usiamo acqua e cotone idrofilo, ma i prodotti che ha trovato a quanto pare ci condannano.

 

Sotto choc
Come molti genitori, pensavamo di aver fatto tutto il possibile per far cominciare la vita della nostra bimba nel modo migliore: libri, corsi preparto, una stanza accogliente, allattamento al seno e così via. Perciò, sentirsi dire che l’ambiente che abbiamo amorevolmente creato per Esme contiene tossine e, peggio ancora, che il modo in cui la tiriamo su è dannoso ci lascia piuttosto scoraggiati. Non so quanto possiamo sopportare ancora, perciò faccio cenno a tutti di tornare in soggiorno e tirare le conclusioni. “Avete visto tutto ciò che vi serviva?”, chiedo. “Potremmo andare avanti per ore, sospetto”, risponde Renée. “Ma credo che ci siamo fatti una buona idea di come vivete”.

Stabiliamo che potranno fare qualsiasi altra domanda in futuro e che devono contattarci se hanno altre idee o consigli. C’è un’ultima raffica di domande sul nostro gusto per i gadget (Mike non riesce a non fare un commento, uscendo, su quanto è grande il televisore) e poi si avviano alla porta. Non credo che si rendano conto di quale impatto avrà la loro visita sulla vita della mia famiglia.

Come reagisci a una cosa del genere? Ti fai una bella tazza di tè caldo? Non abbiamo tè del commercio equo. Ti fai un lungo bagno rilassante? I bagni sprecano acqua ed energia e ti espongono alle sostanze sintetiche contenute nei prodotti da toilette. Ti sbrachi davanti alla tv e guardi qualcosa di veramente frivolo? Sarai esposto alla pubblicità corruttrice e sprecherai inutilmente elettricità. Un po’ di terapia per gli acquisti? Non c’è bisogno di rispondere, vero?

Quando chiudiamo la porta, Jane e io ci scambiamo un’occhiata, sotto choc.

“Allora?”, dico. Jane porta Esme in soggiorno e sprofonda nel divano senza dire una parola. So per esperienza che quell’espressione significa che vuole essere lasciata sola, per il bene di entrambi. Comincio a sparecchiare e porto i piatti in cucina. È ancora tutto sparso in giro. Ogni oggetto (barattoli, pacchetti, scatole, flaconi, stoviglie, la busta vuota dell’insalata) sembra volermi punzecchiare, ogni cosa dice “colpevole”.

L’ethical living è una dieta in cui non si mangia di meno ma si tagliano le emissioni di gas serra

È stato come visitare una casa con un agente immobiliare, ma al contrario. Invece di sentir decantare i meriti di ogni stanza, siamo stati portati in giro per la nostra stessa casa (e in un certo senso per la nostra vita) e la maggior parte di ciò che è stato visto è stato criticato e perfino condannato. È possibile vivere nel modo proposto dai consulenti? Analizzando in maniera così profonda ogni cosa che fai, compri e mangi? Può essere che nulla sia più spontaneo, o fatto senza pensare alle conseguenze a lungo termine? Di sicuro anche loro avranno le loro giornate no, di tanto in tanto. Non si concedono mai un cappuccino da Starbucks? Delle fragole fuori stagione? Una macchina a noleggio? E se lo fanno si fustigano? Questo tipo di vita può essere visto come una lunga dieta, nella quale invece di limitare i bignè al cioccolato, le patatine e il latte intero si taglia sulle emissioni dei gas serra, sulle tossine e sulle abitudini egoistiche?

Forse la sto prendendo nel modo sbagliato. Forse non si tratta di soffrire per la causa. A essere onesti, i consulenti hanno insistito molto sul fatto che Jane e io dobbiamo essere contenti di cambiare, altrimenti perderemo subito la voglia di vivere eticamente: proprio come quelli che mollano subito la dieta o smettono di andare in quella palestra alla quale si erano iscritti con tanto entusiasmo solo pochi mesi prima.

“Non sono realistici, ecco”, dice Jane, entrando in cucina per aiutarmi. “Nessuno può vivere in quel modo”. “Non credo che volessero dire che da questo istante dobbiamo adottare ogni singolo comportamento che hanno proposto”.

Faccio del mio meglio per convincerla. “Secondo me il messaggio era, in parole povere, che ogni cosa che facciamo o compriamo ha un effetto collaterale di qualche tipo… spesso negativo. Dovremmo cercare di ridurre il nostro impatto ogni volta che possiamo, per il nostro bene, per quello di Esme e dell’ambiente in generale. Essere responsabili delle nostre azioni. Non credo che dobbiamo fustigarci ogni volta che usciamo dal seminato della rettitudine. Non è mica una religione”. “Be’, dal modo in cui predicavano, direi che per loro lo è”.

Jane sembra esausta. “Perché non proviamo con alcune cose? Giusto per cominciare”, suggerisco. “Facciamo un passo alla volta e vediamo come va”. “Qualsiasi cosa facciamo, non voglio sentirmi costretta se non funziona”, dice Jane. “E se pensano che mollerò i miei Clarins hanno capito male”.

(Traduzione di Valentina Daniele)

 

Da sapere

I consigli di Leo Hickman per calcolare l’impronta ecologica

·         Myfootprint.org Rispondi a una serie di domande e scopri gli ettari biologicamente produttivi richiesti dal tuo stile di vita. La Terra può tollerare una media di 1,8 ettari a persona.

·         Controlla il carrello al supermercato. Evita i prodotti che hanno accumulato troppi chilometri. Cerca di comprare prodotti locali e di stagione. Sostieni i prodotti biologici e il commercio equo e solidale. Taglia il consumo di cibi in conserva e precotti. Compra prodotti con imballaggi ridotti al minimo e ricordati di riutilizzare le buste di plastica per la spesa.

·         Controlla il contenuto degli armadietti. Controlla i prodotti per l’igiene personale e della casa e i cosmetici che contengono troppi ingredienti sintetici. Evita quelli con imballaggi inutili. Fai qualche ricerca sul comportamento delle aziende per quanto riguarda i test sugli animali.

·         Calcola la distanza più breve che hai percorso in auto. Se è inferiore a tre chilometri e saresti potuto andare in autobus, in bici o a piedi, l’hai usata inutilmente. Scegliere mezzi alternativi all’auto è un aspetto importante dell’ethical living.

·         Controlla il termostato di casa. Cerca di abbassarlo progressivamente di un grado per abituarti a una temperatura inferiore. Controlla la casa in cerca di punti di dispersione del calore.

·         Fai un elenco delle ultime cinque vacanze. Se hai sempre viaggiato in aereo, le tue abitudini sono responsabili di emissioni di gas serra superiori alla media.

·         Calcola il tuo consumo d’acqua. Ci sono molti modi per risparmiare acqua in casa. Il migliore è installare un idrometro.

·         Guarda nel tuo bidone della spazzatura. Lo riempi troppo spesso? Molti rifiuti domestici possono essere riciclati. Vedi recyclenow.com.

·         Fai attenzione ai tuoi soldi. In quale banca hai il conto? Sai dove vengono investiti i tuoi soldi? Per informazioni sugli investimenti e i servizi finanziari etici, visita il sito eiris.org. Invece puoi scoprire le donazioni più efficaci e più convenienti dal punto di vista fiscale all’indirizzo allaboutgiving.org.

·         Fai un elenco delle tue attività nel tempo libero. Ci sono molte attività di volontariato a cui puoi dedicare un po’ del tuo tempo libero, dai progetti ambientali all’aiuto delle persone meno fortunate.


Questo articolo è stato pubblicato il 6 aprile 2007 sul numero 687 di Internazionale. È tratto dal suo libro La vita ridotta all’osso (Ponte alle Grazie 2007).

 

da qui

Nessun commento:

Posta un commento