La produzione industriale di imbarcazioni ha raggiunto caratteristiche tali da costituire un notevole impatto ambientale, paragonabile ad altri settori più evoluti come quello automobilistico. In particolare, le principali difficoltà si verificano nel trattamento delle imbarcazioni nella fase di dismissione, che si traduce in un grave danno all’ambiente e conseguenti costi di gestione.
Attualmente, si stima un parco nautico di oltre 650 mila unità, di cui il 90
per cento costruite in Fibre reinforced polymer (Frp)
– composito di resina polimerica rinforzata con fibre – o vetroresina con fibre
di vetro (Gfrp).
L’utilizzo massiccio di questo materiale composito per la produzione nautica
risale agli anni Settanta e le sue caratteristiche fisiche e meccaniche,
unitamente ai bassi costi di produzione e alla versatilità formale del
processo, lo hanno portato a diventare il materiale principale per la
produzione di imbarcazioni, da piccole barche a yacht di lunghezza superiore ai
40 metri.
Analizzando il ciclo di vita di questo materiale nelle fasi di produzione, uso
e dismissione, uno degli aspetti più critici riguarda proprio lo smaltimento.
La loro durata, pluridecennale, fa emergere solo oggi il grande problema legato
all’incapacità di gestire la loro dismissione.
Per queste ragioni, le imbarcazioni alla fine della loro vita utile vengono abbandonate nei porti o nei piazzali, o peggio affondate illegalmente, favorito da una carenza di regolamentazioni. Dal punto di vista legislativo, infatti, la nautica accusa un certo ritardo rispetto ad altri settori produttivi, soprattutto per quanto riguarda le direttive che regolamentano il fine vita. Si sta lavorando alla redazione della normativa UNI 810505 relativa proprio al problema della dismissione nella nautica, mentre a livello europeo si fa riferimento alla 2008/98/CE, che classifica le tipologie dei rifiuti indicandone una gerarchia di valore, e privilegiando il riciclo allo smaltimento. La stessa sancisce il trasferimento della responsabilità, e quindi i costi, del rifiuto dal proprietario al produttore.
Giunte a fine vita, le imbarcazioni andrebbero rottamate, ma in realtà questo
non avviene quasi mai. Il processo non è organizzato in quanto il prodotto non
si predispone a tale operazione. La demolizione dovrebbe avvenire
successivamente ad un disassemblaggio del prodotto: separazione dei materiali e
recupero dei componenti riutilizzabili. La caratteristica principale che rende
l’imbarcazione “inquinante” è legata alla sua complessità materica. Se per le
automobili sono ormai presenti procedure e strutture organizzate per lo
smantellamento, riciclo e smaltimento, per le barche in vetroresina la questione è
irrisolta. Il prodotto è assemblato con l’intento di renderlo un insieme
monolitico più durevole possibile nel tempo, ma non necessariamente smontabile,
a meno che non lo richiedano delle specifiche necessità di manutenzione. Ci
troviamo, quindi, di fronte al problema generato dalla necessità di smantellare
un oggetto composto da vetroresina, legno, vetro, acciaio, rame e impianti elettrici,
per poterne eventualmente recuperare un certo valore in termini di riutilizzo,
riciclo e recupero di energia. Il disassemblaggio è pertanto una parte cruciale
del processo, e dal momento che il prodotto non è pensato per questa
operazione, questa risulta molto svantaggiosa economicamente. Studi recenti
hanno stabilito che per il disassemblaggio si spenderebbe oggi circa il 70 per
cento del costo di produzione.
Nonostante le lacune legislative e le problematiche irrisolte di disassemblaggio e riciclo, il settore si è orientato alla ricerca di soluzioni che incentivino la produzione a cambiare rotta verso una maggiore sostenibilità e gli investimenti in ricerca e progettazione sono uno dei punti chiave in questa direzione.
Dal punto di vista della produzione si cerca di ottimizzare l’uso di materiali
ecocompatibili e facilmente riutilizzabili, tra tutti l’alluminio. Per molto
tempo nel campo nautico è stato visto come un materiale speciale, in un certo senso
aristocratico, che veniva utilizzato per costruire imbarcazioni sofisticate.
Oggi ha aumentato la sua popolarità grazie alla comparsa sul mercato di
lancette di origine nordamericana. Un materiale totalmente riciclabile. Una
barca di alluminio dopo qualche decennio di utilizzo può essere tagliata e
riportata a livello di materia prima, pronta per un altro uso senza sprecarne
neppure un centimetro quadrato.
Il peso molto contenuto dell’alluminio lo rende ideale anche per essere
abbinato a motori elettrici che notoriamente non sono prodighi di cavalli, così
da poter navigare in totale sintonia con l’ambiente. Senza dimenticare che
utilizzando motorizzazioni meno potenti, a parità di misure e prestazioni di
una barca di vetroresina – prodotta tramite un processo chimico irreversibile,
oltre che inquinante – si risparmia benzina e si diminuiscono le emissioni inquinanti.
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