Navdanya International, l’organizzazione di cui sono
fondatrice e presidente, ha aderito alla piattaforma italiana Stop Ttip/Stop
Ceta e alla campagna
#NoCeta #NonTratto che intende ottenere l’impegno dei candidati
italiani alle prossime elezioni nazionali a bloccare la
ratifica del trattato commerciale Ceta e a cambiare l’agenda commerciale
europea. Quanto sta avvenendo in Italia e in Europa rappresenta un
ulteriore capitolo di un processo di globalizzazione imposto dall’alto, da
grandi poteri economici che continuano a dettarci la loro agenda neoliberista.
Nonostante le promesse di crescita e progresso, i
risultati di queste politiche sono sotto gli occhi di tutti, come confermato nell’ultimo rapporto
Oxfam sull’iniquità globale, secondo cui l’82 per cento della ricchezza creata
nell’ultimo anno nel mondo è andata a vantaggio dell’1 per cento della
popolazione mondiale.Una volta per i poveri rimanevano le
briciole ma con questo sistema sembra che non avanzino neanche più quelle: il
50 per cento delle persone più povere del pianeta ha infatti ottenuto lo 0 per
cento delle ricchezze prodotte nel corso dell’anno di riferimento. I nuovi
accordi di libero scambio non intendono interrompere questo ingente travaso di
ricchezze a vantaggio dei più ricchi, ma promettono di aggravare ulteriormente
il fenomeno.
Quando si parla di trattati
commerciali di libero scambio, penso a quanto è accaduto alla fine degli anni
Ottanta con il Gatt,
poi sostituito dall’istituzione di quella che oggi conosciamo come
l’Organizzazione Mondiale del Commercio (Omc). Questo e altri trattati hanno avuto un impatto
sull’India che si può definire come una seconda colonizzazione. La prima
fu una colonizzazione imposta con la guerra, la seconda con il trattato con
la Compagnia
Britannica delle Indie Orientali che ha ridotto la presenza commerciale dell’India su scala mondiale.
Oggi, dopo più venti anni possiamo vedere gli impatti
dell’Omc a livello globale: furono introdotti tre elementi negli accordi che
non hanno nulla a che fare con il libero commercio. Per prima cosa il Diritto di
Proprietà Intellettuale, praticamente scritto da Monsanto per
poterlo applicare ai semi, che fu anche il motivo che mi spinse ad iniziare a
conservare i semi e a fondare Navdanya.
In secondo luogo questi
trattati contengono regole che danno il diritto d’invadere un paese con cibi
contaminati e di pessima qualità. Questa regola l’abbiamo grazie a Cargill. Se c’è un cartello capitanato da
Monsanto per i semi, ce n’è uno capitanato da Cargill per il commercio dei
prodotti alimentari. Di recente gli agricoltori indiani hanno iniziato una
protesta perché il governo non acquista i loro prodotti. Anche
questo grazie ad una regola di due anni fa dell’Omc per la quale il governo non
può acquistare dagli agricoltori. La Cargill scrisse
l’accordo sull’agricoltura dell’Omc. Il risultato è stato che
l’India – il più grande produttore di leguminose e semi oleosi – è diventata il
più grande importatore
di entrambi.
Gli oli alimentari che
vengono importati sono gli oli di soya ogm e l’olio di palma, entrambi trattati
con l’esano per estrarre i solventi. Entrambi i tipi di olio comportano deforestazioni
massive in Argentina, Indonesia e Brasile. Stiamo importando legumi dal Canada
e dal Mozambico, mentre ai nostri agricoltori e artigiani non viene
permesso di vendere ciò che hanno coltivato e prodotto.
In definitiva se si osserva
l’impianto delle regole del Gatt e dell’Omc, si tratta di regole scritte dalle
multinazionali per avere il
diritto di portare avanti comportamenti e azioni che di fatto creano una grave
crisi sanitaria, impedendo alla popolazione di accedere alla produzione locale
di cibo sano e nutriente per mezzo della distruzione delle filiere agricole e
artigianali locali.
Il terzo punto che non ha nulla a che fare con il
commercio è l’accordo sull’applicazione di misure
sanitarie e fitosanitarie, che dovrebbe avere a che fare con la
sicurezza alimentare. L’industria del cibo spazzatura, incluse Coca Cola e
Pepsi, ha redatto l’accordo sull’applicazione di misure sanitarie e fitosanitarie (Sps) dell’Omc.
Grazie a questo accordo per esempio l’Europa fu portata in giudizio dagli Stati
Uniti in una controversia
sugli ormoni nella carne di manzo e nel 2003 sempre l’Europa si
trovò nuovamente contro gli Stati Uniti che ha cercato di imporre
gli ogm con questo strumento.
Iniziammo allora una campagna, per la quale
raccogliemmo 48 milioni
di firme, per dire all’Omc che i cittadini non vogliono gli ogm. I
trattati di libero scambio di nuova generazione hanno un ulteriore strumento
pericoloso, chiamato ISDS o ICS,
per il quale le aziende hanno il diritto di denunciare gli stati nazionali
presso tribunali privati qualora ci siano leggi o regole che ostacolino i loro
profitti. Normalmente si tratta di leggi a protezione dell’ambiente o della
salute e del lavoro delle persone. È abbastanza chiaro dunque che questi trattati sono fatti in modo che
le multinazionali possano agire liberamente limitando il diritto della
popolazione a decidere liberamente.
La parola “libertà” è
diventata così un termine altamente dibattuto.Mentre noi, come popolo, usiamo
la parola libertà per riferirci alla libertà del popolo a vivere, a guadagnarsi
i propri mezzi di sostentamento, ad avere accesso a risorse vitali come cibo,
acqua, semi, terra, salute, educazione, conoscenza, lavoro, creatività,
comunicazione, etc., le grandi aziende definiscono la libertà
come “libero scambio”, ovvero, la globalizzazione corporativa. Le
multinazionali e i loro oscuri
proprietariabusano di tale libertà per distruggere la
struttura ecologica della terra, la struttura delle economie dei popoli e delle
società.
Le regole del “libero scambio” vengono dettate dalle
multinazionali per ampliare la propria libertà di manovra, per mercificare e
privatizzare fino all’ultimo millimetro di terra, l‘ultima goccia d’acqua, l’ultimo
seme, l’ultima porzione di cibo, l’ultima frazione d’informazione, l’ultima
briciola di dati, conoscenza e immaginazione. In questo processo, devono
distruggere la libertà della terra e della sua “famiglia”, la libertà dei
popoli, le loro culture e democrazie, impossessandosi completamente dei beni,
mercificando e privatizzando ogni singolo aspetto della vita. “Libero scambio” è un termine ambiguo.
In sintesi, significa porre fine al vero libero scambio tra produttori
indipendenti che si scambiano e vendono beni a prezzi giusti e onesti.
I cosiddetti accordi di “libero
scambio” sconfinano nelle nostre vite quotidiane, privandoci della libertà di tutti i giorni. Stanno
provando a sottrarre ai contadini la libertà di mettere da parte i propri semi
ed esercitare la propria sovranità sui semi. Tentano di sottrarci la libertà
del cibo rifilandoci cibo velenoso, cibo spazzatura, ogm e di
distruggere la nostra agricoltura ecologica e i sistemi alimentari locali, i
quali vengono estromessi dai mercati che hanno sempre servito.Dirottano
e minano
addirittura le nostre democrazie. Questo è il motivo
per cui lavoro per la libertà dei
semi, del cibo e della democrazia della terra. Mentre la
retorica della globalizzazione, del neo-liberismo e del “libero scambio” è
“meno governo”, la realtà è che, nella prospettiva del popolo, la
globalizzazione corporativa – basata sulla privatizzazione dei beni comuni –
richiede la creazione di uno stato di sorveglianza da parte delle
multinazionali, di uno stato militarizzato invasivo che può proteggere con la
violenza gli interessi del 1 per cento, a spese della gente comune.
La concentrazione del potere economico e la
distruzione delle economie locali, generano disoccupazione, dislocazione e
incertezza economica. Proprio l’incertezza viene sfruttata dai potenti per dividere tra loro le
società lungo linee di frattura razziali e religiose. La frammentazione e la
disintegrazione delle società è strettamente connessa al modello economico
estrattivo, e dell’accumulazione di ricchezza ad opera dei pochi.
Il lavoro che dobbiamo fare
come movimenti della società civile è reclamare il nostro diritto alla
sovranità alimentare ed economica, promuovendo e creando reti e sistemi
agricoli, alimentari e artigianali locali ed ecologici. A livello istituzionale e politico è necessario
fissare regole etiche ed ecologiche che mettano il bene comune davanti alla
logica di monopolio imposta dalle multinazionali e dai trattati di libero
scambio e favorire la cooperazione tra le persone, che partecipino in modo
democratico alla forma che vogliono dare al futuro delle
nostre economie e ai nostri sistemi di produzione e consumo.
Prendiamo l’impegno di mantenerci sani e liberi da veleni e d’intessere
relazioni con agricoltori che coltivano cibo vero, nutriente e sano per
costruire un sistema alimentare diverso: dal livello personale, al livello
locale, regionale, nazionale, globale.
Resistere agli attacchi del “libero
commercio” e delle multinazionali
dell’agrochimica, e allo stesso tempo praticare e promuovere un
modello agricolo alimentare e sociale diverso sono i mezzi più potenti che
abbiamo per riconquistare il nostro pane quotidiano e il nostro futuro. La grande forza della diffusione di
un modello agricolo, sociale, economico basato sul
benessere dell’ambiente e delle comunità è nella riconquista di quella
autonomia che rende le grandi multinazionali irrilevanti e inutili. I mezzi per
riconquistare la nostra agricoltura, i nostri territori, il nostro cibo, il
nostro ambiente naturale sono nelle nostre mani. La nostra speranza, il nostro futuro è basato sulla
ricostruzione di questo legame virtuoso tra i campi, le tavole e le comunità.
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