domenica 25 marzo 2018

Brasile: in memoria di una partigiana della democrazia - David Lifodi


L’omicidio di Marielle Franco, attivista femminista e consigliera municipale del Psol (Partido Socialismo e Liberdade) a Rio de Janeiro, uccisa da nove colpi di pistola calibro 9 esplosi da un’auto in corsa lo scorso 14 marzo, va classificato come un delitto di natura politica e non derubricabile ad un crimine comune, come stanno cercando di fare i suoi detrattori.
In tutto il paese il legame tra narcotrafficanti, polizia corrotta e le mafie che controllano le favelasè stato utilizzato in maniera strumentale dal presidente Michel Temer per inviare la polizia militare nelle sterminate baraccopoli di Rio de Janeiro allo scopo di militarizzarle, nonostante il parere contrario degli stessi abitanti, stufi di essere costretti a subire continuamente i soprusi di quelle forze in teoria deputate a mantenere l’ordine. Marielle aveva preso posizione fin dall’inizio contro la militarizzazione delle favelas, un ambiente che conosceva bene poiché lei stessa proveniva da quella di Maré, una delle più grandi e problematiche di Rio de Janeiro. Di recente la giovane consigliera (nata nel 1979) era stata designata dal suo partito per monitorare gli abusi della polizia nella favela di Acari, nella zona nord della città.
Poco dopo il suo assassinio è emerso che i proiettili sparati contro di lei e l’autista Anderson Pedro Gomes, appena usciti da un incontro con un gruppo di giovani donne nere, sono quelli in dotazione alla polizia militare. Difficile pensare che si tratti di una casualità. L’impegno di Marielle per i diritti umani, contro il razzismo e per la difesa dei giovani delle favelas, di cui non si stancava mai di denunciarne un vero e proprio genocidio nel silenzio delle istituzioni, era conosciuto da tutti. Marcelo Freixo, candidato del Psol alle ultime elezioni comunali e spesso oggetto di minacce di morte, ha sottolineato che Marielle non aveva mai subito intimidazioni, ma che si è trattato di un crimine premeditato. In Brasile la tensione politica sta crescendo pericolosamente. Il prossimo 26 marzo l’ex presidente Lula sarà processato con grandi probabilità di finire in carcere. Nel frattempo l’odio corre sui social network e, di fronte all’omicidio di Marielle, che ha comunque scosso profondamente l’opinione pubblica e ha spinto la gente a scendere in piazza per protestare contro la sua morte, gli insulti nei suoi confronti si sprecano. “È stata uccisa da quei banditi delle favelas che ha sempre difeso”, “propagandava l’odio tra le classi e tra le razze”, “apparteneva a un partito che difendeva i narcotrafficanti”, “la colpa è dei partiti di sinistra che hanno governato il Brasile per 14 anni e hanno trasformato il Paese in una terra di nessuno”: questi sono solo alcuni degli insulti che ancora di più fanno pensare a una motivazione tutta ideologica dietro all’assassinio di Marielle Franco.
In rete circola una bella intervista alla donna pubblicata da Brasil de Fato, “Ser mujer negra es resistir y sobrevivir todo el tiempo“, che segnalava come fosse la quinta candidata più votata alla Camera municipale con ben 46mila voti. Nel corso del colloquio, alla vigilia dello scorso 8 marzo, la consigliera del Psol parlava delle sfide che avrebbe dovuto affrontare il femminismo, del progetto di legge per rendere l’aborto legale e rivendicava i diritti delle donne nere, violentate quotidianamente e costrette a subire sulla propria pelle un odio di razza e di classe. Solo pochi giorni prima che la sua auto fosse affiancata da quella degli assassini che le hanno sparato, Marielle aveva denunciato le violenze della polizia in quella favela di Acari dove il 41° battaglione aveva terrorizzato i suoi abitanti commettendo abusi di ogni sorta. “Dobbiamo gridare affinché tutti sappiano cosa sta accadendo ad Acari in questo momento. Il 41° battaglione della polizia militare sta terrorizzando la gente di Acari e questa settimana due giovani sono stati assassinati” aveva scritto Marielle, attribuendo tutto ciò alla militarizzazione delle favelas imposta da Temer.
L’omicidio di Marielle Franco, definito da molti come un vero e proprio attentato alla democrazia, non è servito però a far tacere i sostenitori dell’intervento della polizia nelle favelas, convinti che si tratti di una misura assai remunerativa in termini di voti, soprattutto per uno dei candidati al Planalto più violento, razzista e omofobo nella storia del Brasile, quel Jair Bolsonaro che inneggia quotidianamente alla repressione. La morte di Marielle è una delle conseguenze dell’odio politico dilagato nel paese a seguito del colpo di stato e rappresenta un vero e proprio attacco allo stato di diritto.
Il Psol e tutto il Brasile democratico hanno perso una partigiana della pace e dell’antirazzismo. Solo pochi giorni prima di morire, sul proprio account twitter, Marielle aveva scritto: “Di quanti morti c’è ancora bisogno, prima che questa guerra termini?
(*) articolo tratto da Peacelink – 19 marzo 2018

Sull’omicidio di Marielle Franco segnaliamo anche l’articolo-racconto di Alessandro Ghebreigziabiher “Perché vinceremo
da qui

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