L’omicidio di Marielle Franco, attivista
femminista e consigliera municipale del Psol (Partido Socialismo e Liberdade) a
Rio de Janeiro, uccisa da nove colpi di pistola calibro 9 esplosi da un’auto in
corsa lo scorso 14 marzo, va classificato come un delitto di natura politica e
non derubricabile ad un crimine comune, come stanno cercando di fare i suoi
detrattori.
In tutto il paese il legame tra
narcotrafficanti, polizia corrotta e le mafie che controllano le favelasè stato utilizzato in maniera strumentale
dal presidente Michel Temer per inviare la polizia militare nelle sterminate
baraccopoli di Rio de Janeiro allo scopo di militarizzarle, nonostante il
parere contrario degli stessi abitanti, stufi di essere costretti a subire
continuamente i soprusi di quelle forze in teoria deputate a mantenere
l’ordine. Marielle aveva preso posizione fin dall’inizio contro la
militarizzazione delle favelas, un ambiente che
conosceva bene poiché lei stessa proveniva da quella di Maré, una delle più
grandi e problematiche di Rio de Janeiro. Di recente la giovane consigliera
(nata nel 1979) era stata designata dal suo partito per monitorare gli abusi
della polizia nella favela di Acari, nella zona nord della città.
Poco dopo il suo assassinio è emerso che
i proiettili sparati contro di lei e l’autista Anderson Pedro Gomes, appena
usciti da un incontro con un gruppo di giovani donne nere, sono quelli in
dotazione alla polizia militare. Difficile pensare che si tratti di una
casualità. L’impegno di Marielle per i diritti umani, contro il razzismo e per
la difesa dei giovani delle favelas, di cui non
si stancava mai di denunciarne un vero e proprio genocidio nel silenzio delle
istituzioni, era conosciuto da tutti. Marcelo Freixo, candidato del Psol alle
ultime elezioni comunali e spesso oggetto di minacce di morte, ha sottolineato
che Marielle non aveva mai subito intimidazioni, ma che si è trattato di un
crimine premeditato. In Brasile la tensione politica sta crescendo
pericolosamente. Il prossimo 26 marzo l’ex presidente Lula sarà processato con
grandi probabilità di finire in carcere. Nel frattempo l’odio corre sui social
network e, di fronte all’omicidio di Marielle, che ha comunque scosso
profondamente l’opinione pubblica e ha spinto la gente a scendere in piazza per
protestare contro la sua morte, gli insulti nei suoi confronti si sprecano. “È
stata uccisa da quei banditi delle favelas che ha
sempre difeso”, “propagandava l’odio tra le classi e tra le razze”,
“apparteneva a un partito che difendeva i narcotrafficanti”, “la colpa è dei
partiti di sinistra che hanno governato il Brasile per 14 anni e hanno
trasformato il Paese in una terra di nessuno”: questi sono solo alcuni degli
insulti che ancora di più fanno pensare a una motivazione tutta ideologica dietro
all’assassinio di Marielle Franco.
In rete circola una bella intervista alla
donna pubblicata da Brasil de Fato, “Ser mujer negra es
resistir y sobrevivir todo el tiempo“, che segnalava come fosse
la quinta candidata più votata alla Camera municipale con ben 46mila voti. Nel
corso del colloquio, alla vigilia dello scorso 8 marzo, la consigliera del Psol
parlava delle sfide che avrebbe dovuto affrontare il femminismo, del progetto
di legge per rendere l’aborto legale e rivendicava i diritti delle donne nere,
violentate quotidianamente e costrette a subire sulla propria pelle un odio di
razza e di classe. Solo pochi giorni prima che la sua auto fosse affiancata da
quella degli assassini che le hanno sparato, Marielle aveva denunciato le
violenze della polizia in quella favela di
Acari dove il 41° battaglione aveva terrorizzato i suoi abitanti commettendo
abusi di ogni sorta. “Dobbiamo gridare affinché tutti sappiano cosa sta
accadendo ad Acari in questo momento. Il 41° battaglione della polizia militare
sta terrorizzando la gente di Acari e questa settimana due giovani sono stati
assassinati” aveva scritto Marielle, attribuendo tutto ciò alla
militarizzazione delle favelas imposta
da Temer.
L’omicidio di Marielle Franco, definito
da molti come un vero e proprio attentato alla democrazia, non è servito però a
far tacere i sostenitori dell’intervento della polizia nelle favelas, convinti che si tratti di una misura
assai remunerativa in termini di voti, soprattutto per uno dei candidati al
Planalto più violento, razzista e omofobo nella storia del Brasile, quel Jair
Bolsonaro che inneggia quotidianamente alla repressione. La morte di Marielle è
una delle conseguenze dell’odio politico dilagato nel paese a seguito del colpo
di stato e rappresenta un vero e proprio attacco allo stato di diritto.
Il Psol e tutto il Brasile democratico
hanno perso una partigiana della pace e dell’antirazzismo. Solo pochi giorni
prima di morire, sul proprio account twitter, Marielle aveva scritto: “Di
quanti morti c’è ancora bisogno, prima che questa guerra termini?
(*) articolo tratto da Peacelink – 19 marzo 2018
Sull’omicidio di Marielle Franco
segnaliamo anche l’articolo-racconto di Alessandro Ghebreigziabiher “Perché vinceremo“
da qui
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