Lo scorso gennaio,
nel bel mezzo della campagna elettorale, Emma Bonino ha pronunciato una frase
che ha fatto arrabbiare molti. “Se non ci fossero immigrati in Italia, nessuno
raccoglierebbe pomodori e olive,” ha detto la
leader di +Europa durante un incontro. Un’uscita che è stata bollata come
offensiva, perché relegherebbe i migranti in una posizione degradante, di
lavoratori puramente a basso reddito. “Queste affermazioni, da figlia di
immigrati, sembrano svilirmi. Non mi vanno proprio giù,” ha scritto su
Twitter Ilham Mounssif, ventitreenne sarda di origini marocchine molto
impegnata nel dibattito sullo Ius Soli. Un pensiero, questo,
condiviso da tanti altri.
La frase di Emma
Bonino, così diretta e semplicistica, è stata in effetti infelice. Ma dà
un’idea di quella che è la reale situazione lavorativa degli stranieri in
Italia. Come sottolinea il
Dossier 2017 sull’immigrazione di Coldiretti, i lavoratori agricoli stranieri
in Italia sono 345mila, provenienti da 157 Paesi diversi. Negli ultimi anni, è
quello dei senegalesi il gruppo cresciuto maggiormente: +17,6% nel 2016
rispetto all’anno precedente, per un totale di 9.526 lavoratori. Nel complesso,
gli operatori agricoli non italiani nel 2015 costituivano oltre
il 15% della manodopera totale del settore, una percentuale in costante
crescita. “Si conferma l’importanza dei lavoratori stranieri per la filiera
del made in Italy a tavola, con interi distretti chiave che
possono sopravvivere solo grazie all’impiego degli immigrati,” conclude il
Dossier. Emma Bonino
A questi numeri, già
di per sé importanti, bisogna aggiungere tutto il sommerso dovuto alle attività
delle agro-mafie e al caporalato. Turni di lavoro di dodici ore, retribuzioni
di pochi spiccioli, condizioni disumane: è questa la situazione in molti campi
secondo i rilevamenti della Flai Cgil, che parla di un
esercito italiano di 430mila schiavi, per un giro di affari che va dai 14 ai 17
miliardi di euro. Tante storie di sfruttamento, che si aggiungono a quelle di
svilimento personale. Nei campi si trovano ingegneri, medici, infermieri, profili
per i quali l’accesso a professioni in linea con i propri curriculum è
impedito in Italia. I “lavori per stranieri” si riducono infatti quelli come
braccianti, badanti, addetti pulizie.
Come sottolinea l’International
Migration Outlook 2017 dell’Ocse, l’Italia è il Paese membro in cui si
riscontra un distacco più marcato in termini numerici tra immigrati
sovra-qualificati e italiani sovra-qualificati – vale a dire che si contano
troppi stranieri che fanno un lavoro modesto, al di sotto di quello a cui
potrebbero aspirare con il titolo di studio ottenuto in patria. Il fatto che
l’Italia sia il Paese Ocse con la più bassa percentuale di residenti stranieri
in possesso di una laurea o di un diploma di scuola superiore è anche
conseguenza del loro confinamento a determinati impieghi – quella raccolta di
pomodori e olive di cui parlava Emma Bonino.
Tra storie di
sfruttamento e avvilimento personale, la manodopera straniera costituisce
dunque un pilastro fondamentale su cui si regge l’agricoltura italiana. Uno
scenario di violazioni sistematiche dei diritti umani spesso ignorato dalle
istituzioni. In molti casi si verifica quel cortocircuito per cui chi grida #stopinvasione ai
megafoni e minaccia di
cacciare dall’Italia mezzo milione di immigrati, è anche chi fa della tutela dell’agricoltura
italiana e del made in Italy alimentare uno dei propri cavalli
di battaglia. Dimenticando, quindi, le basi su cui poggia questo settore
dell’economia.
In questo contesto,
la scomparsa improvvisa della manodopera straniera dai campi avrebbe un impatto
violento sulla produzione. In California alcune contee stanno facendo i conti
con una penuria di manodopera agricola, che si è tradotta in una perdita di 13
milioni di dollari poichè molte colture sono marcite prima di essere raccolte.
Tra le cause di questa situazione c’è anche la crociata di Donald Trump contro
gli immigrati: “La stragrande maggioranza dei lavoratori agricoli della
California sono nati all’estero, con molti provenienti dal Messico,” scrive Fortune,
“tuttavia, il PEW Research Center riferisce che sono più i messicani che stanno
lasciando gli Stati Uniti rispetto a quelli che stanno arrivando”. Situazioni
simili stanno caratterizzando anche altre aree del
Paese, come l’Oregon. Il Guardian ha invece raccontato la storia di
Brian Cash, fattore dell’Alabama, che con l’introduzione della nuova legge
sull’immigrazione si è ritrovato senza i suoi 65 dipendenti ispanici, per una
perdita in termini di produzione di 100 mila dollari. In Inghilterra, la
carenza di lavoratori agricoli dall’Europa dell’Est ha messo in
crisi la coltura delle patate, mentre alcune contee della
Cornovaglia hanno visto marcire
i loro campi dopo che il voto sulla Brexit ha allontanato i
lavoratori stranieri: oggi la manodopera agricola nell’area è il 65% di quella
che servirebbe.
Storie di questo
tipo si ripetono da un capo all’altro del Paese, svelando i retroscena di
un made in Italy alimentare difeso a spada tratta dalle
contaminazioni straniere, ma che paradossalmente poggia sulle spalle di
centinaia di migliaia di impiegati non italiani. Le parole pronunciate da
Dino Scanavino, Presidente di Cia-Agricoltori Italiani, riassumono al meglio
questo scenario: “Senza il lavoro degli immigrati l’agricoltura italiana
andrebbe in difficoltà, perché alcune produzioni non possono essere
meccanizzate. Se non ci fossero i lavoratori stranieri probabilmente non
saremmo in grado di produrre, trasformare, e vendere il nostro prodotto”.
Davanti a questa
situazione, chi chiede lo #stopinvasione potrebbe
risolverla in modo superficiale dicendo che gli stranieri “rubano il lavoro nei
campi agli italiani”. Ovviamente le cose non stanno così. Lo sfruttamento
sistematico, le paghe da miseria, la precarietà dell’impiego, sono gli indicatori
di un sistema produttivo marcio dalle fondamenta, dove non si interviene perchè
non si vuole intervenire. Anche lì dove il lavoro offerto è dignitoso e sono
previsti contratti che garantiscano tutte le tutele del caso, la manodopera
italiana scarseggia. “Sono anni che cerco manodopera locale per raccogliere
meloni e cocomeri nella mia azienda. Sembra incredibile ma non riesco a
trovarla e così già da diverso tempo sono costretto a ricorrere a manodopera
straniera,” racconta il
titolare di un’azienda agricola in provincia di Ferrara.
La questione della
produzione agricola in Italia è un mix di contraddizioni e paradossi. Chi
difende la piccola imprenditoria, che spesso sopravvive grazie al lavoro di
stranieri, è anche chi prende il 17% dei voti per un programma fondato sul
“prima gli italiani”. Quegli stessi italiani che rifiutano sempre più
frequentemente certi lavori come quello nei campi, spesso a ragione vista
l’assenza di tutele e garanzie di ogni tipo. A questo punto non restano che gli
stranieri, respinti dai lavori più qualificati a causa di un mercato del lavoro
intrinsecamente xenofobo, e imbrigliati così in impieghi a basso reddito, in
molti casi degradanti e non in linea con i loro curriculum. È un
circolo vizioso, fatto di vittime e carnefici, che rivela l’ipocrisia di
alcuni, e il sacrificio quotidiano di altri.
Il problema non sono
gli stranieri che rubano il lavoro agli italiani, bensì il fatto che un
settore che genera oltre
30 miliardi di euro di valore aggiunto annuo, come l’agricoltura, abbia posto
le sue fondamenta sulla manodopera straniera, spesso sfruttandola e
dequalificandola. Davanti a questo e allo scenario nazionale uscito dalle
elezioni del 4 marzo, è lecito chiedersi che ne sarebbe dell’agricoltura
italiana e, più in generale, dell’economia, se molte delle proposte urlate in
campagna elettorale dovessero concretizzarsi.
“I 2,3 milioni di
stranieri che lavorano in Italia hanno prodotto nel 2015 ben 127 miliardi di
ricchezza, l’8,8% del valore aggiunto nazionale,” scrive il
Sole 24 Ore. “Il contributo all’economia di questi lavoratori immigrati si
traduce in quasi 11 miliardi di contributi previdenziali pagati ogni anno, in 7
miliardi di Irpef versata, in oltre 550 mila imprese straniere che producono ogni
anno 96 miliardi di valore aggiunto. Di contro, la spesa pubblica italiana
destinata agli immigrati è pari all’1,75% del totale, appena 15 miliardi.”
Ecco, quando Matteo Salvini ripete incessantemente il suo mantra ironico delle
“risorse straniere che ci pagano le pensioni”, non si accorge
che, nella realtà dei fatti, sta dicendo la verità.
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