Per ogni peso [valuta messicana – ndt] che
spendiamo per il cibo industrializzato, ne paghiamo altri due per i danni alla
salute e all’ambiente causati dal sistema agroalimentare industriale. È
un dato terribile che noi del Gruppo ETC rileviamo a livello globale e che dal
2017 facciamo conoscere attraverso pubblicazioni e video didattici (si
veda la traduzione italiana dell’opuscolo del Gruppo ETC: “Chi ci nutrirà?”, scaricabile in pdf; alcuni video sullo stesso argomento si trovano nel sito del Gruppo ETC,
in inglese e in spagnolo) .
Ora la conservatrice Fondazione Rockefeller ha pubblicato un rapporto,
basato su ampi dati statistici, che conferma questo dato analizzando la realtà
degli Stati Uniti. (True cost of Food, luglio 2021).
Negli Usa, la popolazione spende ogni anno 1,1 miliardi di dollari in cibo. A questi si
aggiungono altri 2,1 miliardi di dollari, spesi per la produzione, la
distribuzione e la vendita del cibo industriale, l’assistenza sanitaria, i
danni ambientali, l’erosione del suolo, l’inquinamento idrico, la
deforestazione, la distruzione della biodiversità e l’emissione di gas che
causano il cambiamento climatico, nonché per i costi sociali del lavoro
minorile, dei salari da fame, delle malattie professionali e della mancanza di
coperture previdenziali. Costi che sono pagati dall’erario, vale a dire dalla
popolazione stessa.
Di quel totale di 2,1 miliardi di dollari all’anno di spese generate dalla
catena agroindustriale, il 99% è costituito dalle spese per l’assistenza
sanitaria e i danni all’ambiente e alla biodiversità.
È un sussidio enorme e invisibile che viene dato alle imprese
transnazionali che dominano la catena agroalimentare industriale perché
continuino a produrre alimenti industriali e transgenici, con glifosato e altri
agrotossici, a mantenere grandi allevamenti di suini, polli e mucche che
causano epidemie, deforestazione, inquinamento idrico e distruzione della
biodiversità nei campi, e a portare avanti la produzione di alimenti
ultra-trasformati, con una quantità eccessiva di grassi, sale e zuccheri,
riempiti di conservanti, emulsionanti, coloranti, aromi e altre sostanze
chimiche perché possano sostenere lunghi trasporti e durare più a lungo senza
mostrare marciume nei supermercati, e per ingannare i consumatori con sapori
artificiali e che generano assuefazione.
Oltre a dare grandi profitti alle società transnazionali, il sistema
agroalimentare industriale è strettamente legato alle malattie che sono le
principali cause di morte nel mondo. Un rapporto dell’OMS pubblicato nel
dicembre 2020 mostra che 7 delle prime 10 cause di morte nel mondo sono
malattie non trasmissibili (cioè non contagiose). Le principali sono malattie
cardiovascolari, causate ad esempio da eccesso di colesterolo, ipertensione,
diversi tipi di cancro (in prevalenza dell’apparato digerente) e malattie
renali. L’OMS evidenzia l’ingresso del diabete nella lista delle prime
10 cause di morte, una patologia che tra il 2000 e il 2019 a livello globale è
aumentata del 70%, e dell’80% come causa di morte tra gli uomini (“La OMS revela las principales causas de muerte y discapacidad en el mundo:
2000-2019”). Tutto ciò nel contesto di una pandemia globale di obesità,
denutrizione e malnutrizione di cui soffre più della metà della popolazione del
mondo.
Solo il 24% delle principali cause di morte a livello globale è
rappresentato da malattie contagiose. Di queste, più di due terzi sono
di origine zoonotica, e per la maggior parte insorgono a partire dagli
allevamenti industriali che confinano gli animali in spazi ristretti (ricordiamo
ad esempio l’influenza aviaria e l’influenza suina [H1N1]). Una delle questioni
che questa pandemia ha messo sul tavolo è per l’appunto lo stretto legame tra
cibo e malattie. La maggior parte dei casi gravi e dei decessi con Covid-19
hanno riguardato persone con comorbilità come obesità, diabete, ipertensione,
problemi cardiaci, colesterolo alto e altre patologie cardiovascolari, oltre ad
età avanzata e problemi respiratori. I pochi decenni in cui il consumo
di cibo industrializzato si è globalizzato hanno portato a una crisi del
sistema immunitario di persone e animali, che ci ha lasciati molto indeboliti
di fronte a nuove malattie infettive.
Questa situazione è ancora peggiore in Messico. L’associazione El
Poder del Consumidor ha riferito che, nel 2019, l’88,8% dei
decessi era dovuto a problemi di salute, con un’alta percentuale di obesità,
diabete, ipertensione. Il Messico è il paese dell’America Latina in
cui si vende la maggior quantità di alimenti ultra-trasformati e di bibite zuccherate (Las principales causas de muerte en México derivan de una mala alimentación).
Si tratta di una questione che non è individuale ma sistemica, e che in
quanto tale deve essere affrontata. Il sistema agroalimentare, dalle sementi al
piatto, genera malattie ed è una delle principali cause di distruzione
ambientale; nonostante questo, noi paghiamo il triplo del costo del cibo
sovvenzionando le imprese che lo dominano.
Sono imprese di questo tipo quelle che ora, per difendere il proprio
diritto di continuare a mettere veleno nel nostro cibo, stanno facendo causa
contro il decreto ufficiale [del governo messicano] che le incarica di cercare
alternative al glifosato. Per la salute delle persone e della natura,
dobbiamo rimuovere queste imprese dal nostro cibo e recuperare un sistema
alimentare sano, senza sostanze chimiche, basato sulla produzione contadina, su
mercati locali e diversi, con cibo che nutre invece di far ammalare.
Fonte: “El alto costo de la mala comida”, in La
Jornada.
Traduzione a cura di Camminardomandando.
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