I Comuni sono tutti a rischio default, tanto quelli che,
prima della pandemia, si trovavano in stato di disavanzo, quanto quelli che,
pur disponendo di risorse libere dall’avanzo di amministrazione, le stanno
velocemente prosciugando per rispondere all’emergenza sanitaria, economica e
sociale.
Sembra in tutt’altre faccende affaccendato il governo, il cui recentissimo
decreto, che mette a disposizione 55 miliardi, pare unicamente direzionato a
favorire le imprese e a rispondere ai diktat di una Confindustria che, nella
guerra per le risorse, non intende fare prigionieri.
Paradigmatico in questa direzione è il provvedimento con cui si abbona alle
imprese il saldo 2019 e l’acconto 2020 dell’Irap, privando, in piena emergenza,
il servizio sanitario di un’entrata certa (prodromico alla richiesta governativa
di accesso al Mes?).
Speculare a questa accondiscendenza verso il mondo delle imprese è
l’indifferenza alle sorti dei Comuni, luoghi primari della democrazia di
prossimità, che si ritrovano tra la moltiplicazione dei bisogni cui devono
urgentemente rispondere e le casse tragicamente vuote.
Su questo punto, si è alzata forte la voce dell’Anci, ma, ancora una volta,
con il pesante handicap di limitarsi a chiedere risorse, invece di affrontare i
problemi strutturali che negli ultimi venti anni hanno progressivamente
depauperato i Comuni, e impoverito e frammentato le comunità territoriali.
Perché tutti i Comuni non rivendicano la sospensione del patto di stabilità
interno e del pareggio di bilancio, analogamente a quanto è stato deciso per
gli Stati a livello europeo?
Perché tutti i Comuni non aprono un conflitto sugli interessi dei mutui
accesi con le banche e con Cassa Depositi e Prestiti, per i quali pagano tassi
del 4-5% quando il costo del denaro è vicino allo zero? Perché non
chiedono allo Stato di farsene carico, come stabilisce l’art. 39 della Legge
8/2020, della quale non è stato approvato il decreto attuativo? Perché non
pretendono, così come è stato fatto per le imprese, di poter accedere a
finanziamenti a tasso zero per il prossimo biennio?
Perché, infine, non rivendicano che la loro missione precipua è garantire
il pareggio di bilancio sociale, ecologico e di genere delle loro comunità, e
che, per poterlo realizzare, necessitano di risorse certe e incomprimibili?
Su tutti questi punti, dopo l’approvazione di una delibera specifica da
parte della città di Napoli, Attac Italia sta inoltrando a tutti i Consigli
Comunali un ordine del giorno, chiedendo che gli enti locali si schierino fuori
da ogni ambiguità (per chi è interessato, il materiale si trova qui).
Si tratta di un nodo dirimente: o le comunità territoriali e gli
enti locali prendono parola per affermarsi come fulcro di un nuovo modello di
società socialmente ed ecologicamente orientata, o saranno gli interessi
finanziari e della rendita a completare la definitiva espropriazione di
territorio, beni comuni e diritti sociali.
In questo percorso, un’importante e storica novità arriva dalla
recentissima sentenza (n.8770) della Cassazione sui contratti derivati, che,
dando ragione al Comune di Cattolica (RN) nel contenzioso con la Banca
Nazionale del Lavoro, ha dichiarato nulli tutti i derivati sottoscritti dai
Comuni senza essere stati approvati da apposita delibera di Consiglio Comunale.
É una sentenza che fa giurisprudenza e permette a tutti i Comuni, finiti nella
gabbia delle banche, di liberare risorse da destinare finalmente alle
collettività locali.
“Niente sarà più come prima” è il mantra che attraversa la penisola: ma mentre i molti lo
dicono come impegno/speranza verso una società diversa, i soliti noti lo stanno
agitando come minaccia per approfondire il disciplinamento della società.
Dobbiamo impedirglielo.
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