«Se la
situazione dovesse persistere e non verranno prese misure per porre rimedio, il
riciclo della plastica cesserà di essere redditizio, ostacolando il
raggiungimento degli obiettivi fissati dall’Ue e mettendo a rischio la
transizione verso l’economia circolare». L’allarme arriva
direttamente da Ton Emans, presidente di Plastics recyclers Europe: l’associazione che riunisce
le industrie che riciclano plastica in Europa spiega che i propri affiliati
stanno fermando gli impianti a causa degli sviluppi di mercato segnati dalla
pandemia Covid-19.
I problemi
più gravi per il comparto sono la carenza di domanda, dovuta al lockdown, e ai
bassi prezzi delle materie plastiche vergini – legati a doppio filo con quelli
del petrolio, da cui derivano – che sono crollati seguendo il trend generale
delle commodity. Tutto questo mette a rischio decine di migliaia di posti di
lavoro – solo nel nostro Paese il
settore della trasformazione della plastica vale oltre 30 miliardi di euro e
occupa 110mila persone – ma espone anche a importanti passi indietro
nell’economia circolare, indirizzando maggiori flussi verso inceneritori e
discariche (sebbene in Italia scarseggino pure questi impianti, con tutto ciò che
comporta in termini di spazi per l’illegalità). Al proposito, è
opportuno ricordare che nel mentre crescono le preoccupazioni per l’impiego di
plastica monouso, pervasiva nei
dispositivi di protezione individuale imposti dalla pandemia, che cittadini
incivili continuano ad abbandonare
ovunque.
Visto il
contesto Plastics recyclers Europe chiede sostegno all’Ue e
agli Stati membri, in questa fase in cui si gettano le basi per l’auspicata
ripresa economica; a rischio del resto ci sono gli stessi obiettivi Ue in
merito alla riduzione della
plastica monouso e alla promozione di quella riciclata, insieme agli obiettivi minimi di
riciclo imposti dall’ultimo pacchetto di direttive
sull’economia circolare. Per risolvere la situazione non basteranno però dei semplici
sussidi.
Già quattro anni fa un
crollo nei prezzi delle materie prime, trainate dal petrolio, portò sull’orlo
della crisi il comparto. Il problema di fondo sta proprio nelle dinamiche di
mercato petrolifere, dominate dalla
finanziarizzazione che alimenta un’intrinseca volatilità: è stato l’Economist,
poche settimane fa, a notare come i prezzi dell’oro nero siano tornati ai
livelli del 1860 e sfida chiunque a trovare un orientamento nel mercato a lungo
termine.
Allo stesso
tempo, a drogare il mercato del petrolio e degli altri combustibili fossili
tenendo bassi i prezzi concorre una montagna di sussidi pubblici – stimati
nell’ordine dei 400 miliardi di dollari
l’anno, circa 16 miliardi di euro
in Italia – e la totale assenza di un giusto prezzo, che non
consideri solo i costi di produzione ma anche gli impatti ambientali del
prodotto.
Di fronte a
questa concorrenza sleale sarebbe dunque opportuno agire su più fronti. In
primis tagliando i sussidi ai combustibili fossili (nel nostro Paese l’economia
nel suo complesso ne beneficerebbe, spiegano dal ministero
dell’Ambiente) e/o introducendo una carbon tax (idem). Rimane
in ogni caso indispensabile garantire un mercato di sbocco per le plastiche
riciclate, attraverso strumenti come crediti d’imposta ad hoc (chiesti dal comparto
industriale nazionale ma mai decollati) e ancor prima tramite gli
acquisti della pubblica amministrazione: sotto questo profilo il Green public
procurement esiste già,
ma ancora non riesce a
incidere
Nessun commento:
Posta un commento