mercoledì 20 maggio 2020

L’industria della plastica riciclata sta affogando in un mare di petrolio a basso costo - Luca Aterini




«Se la situazione dovesse persistere e non verranno prese misure per porre rimedio, il riciclo della plastica cesserà di essere redditizio, ostacolando il raggiungimento degli obiettivi fissati dall’Ue e mettendo a rischio la transizione verso l’economia circolare». L’allarme arriva direttamente da Ton Emans, presidente di Plastics recyclers Europe: l’associazione che riunisce le industrie che riciclano plastica in Europa spiega che i propri affiliati stanno fermando gli impianti a causa degli sviluppi di mercato segnati dalla pandemia Covid-19.
I problemi più gravi per il comparto sono la carenza di domanda, dovuta al lockdown, e ai bassi prezzi delle materie plastiche vergini – legati a doppio filo con quelli del petrolio, da cui derivano – che sono crollati seguendo il trend generale delle commodity. Tutto questo mette a rischio decine di migliaia di posti di lavoro – solo nel nostro Paese il settore della trasformazione della plastica vale oltre 30 miliardi di euro e occupa 110mila persone – ma espone anche a importanti passi indietro nell’economia circolare, indirizzando maggiori flussi verso inceneritori e discariche (sebbene in Italia scarseggino pure questi impianti, con tutto ciò che comporta in termini di spazi per l’illegalità). Al proposito, è opportuno ricordare che nel mentre crescono le preoccupazioni per l’impiego di plastica monouso, pervasiva nei dispositivi di protezione individuale imposti dalla pandemia, che cittadini incivili continuano ad abbandonare ovunque.
Visto il contesto Plastics recyclers Europe chiede sostegno all’Ue e agli Stati membri, in questa fase in cui si gettano le basi per l’auspicata ripresa economica; a rischio del resto ci sono gli stessi obiettivi Ue in merito alla riduzione della plastica monouso e alla promozione di quella riciclata, insieme agli obiettivi minimi di riciclo imposti dall’ultimo pacchetto di direttive sull’economia circolare. Per risolvere la situazione non basteranno però dei semplici sussidi.
Già quattro anni fa un crollo nei prezzi delle materie prime, trainate dal petrolio, portò sull’orlo della crisi il comparto. Il problema di fondo sta proprio nelle dinamiche di mercato petrolifere, dominate dalla finanziarizzazione che alimenta un’intrinseca volatilitàè stato l’Economist, poche settimane fa, a notare come i prezzi dell’oro nero siano tornati ai livelli del 1860 e sfida chiunque a trovare un orientamento nel mercato a lungo termine.
Allo stesso tempo, a drogare il mercato del petrolio e degli altri combustibili fossili tenendo bassi i prezzi concorre una montagna di sussidi pubblici – stimati nell’ordine dei 400 miliardi di dollari l’annocirca 16 miliardi di euro in Italia – e la totale assenza di un giusto prezzo, che non consideri solo i costi di produzione ma anche gli impatti ambientali del prodotto.
Di fronte a questa concorrenza sleale sarebbe dunque opportuno agire su più fronti. In primis tagliando i sussidi ai combustibili fossili (nel nostro Paese l’economia nel suo complesso ne beneficerebbe, spiegano dal ministero dell’Ambiente) e/o introducendo una carbon tax (idem). Rimane in ogni caso indispensabile garantire un mercato di sbocco per le plastiche riciclate, attraverso strumenti come crediti d’imposta ad hoc (chiesti dal comparto industriale nazionale ma mai decollati) e ancor prima tramite gli acquisti della pubblica amministrazione: sotto questo profilo il Green public procurement esiste già, ma ancora non riesce a incidere

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