Lunedì 4 maggio è iniziata la cosiddetta “fase 2”,
densa di aspettative e di inquietudini. Potremo muoverci un po’ di più, ma non
troppo e solo recando visita a congiunti, pare intesi in senso tradizionale;
ripartiranno diverse attività e numerose fabbriche (se mai si sono fermate
realmente); si cercherà di dare una parvenza di normalità a una situazione che
non lo è stata e non lo sarà nemmeno in futuro, se non cambiamo decisamente
rotta.
Ebbene, si abbia anzitutto il coraggio di riconoscere
le nostre responsabilità, nonché il legame tra antropizzazione, crisi climatica
e diffusione di patologie come quella che ci sta così pesantemente
condizionando. I nostri stili di vita sono devastanti per il pianeta e
condizionano pesantemente la vita e la presenza delle specie animali, ormai
asservite all’uomo e alle sue necessità. Una delle principali evidenze è
l’insostenibilità del consumo di carne animale, e questa pandemia ne è una
evidente conseguenza.
Fino a due mesi fa non conoscevo il significato di
termini come zoonosi e spillover e, in tutta franchezza, ne
avrei fatto volentieri a meno. Ma durante questi interminabili due mesi credo
di averne appreso il senso e cerco pertanto di rappresentarlo, pur senza alcuna
competenza specifica. Una zoonosi è una malattia di origine animale che viene
trasmessa dagli animali all’uomo attraverso il cosiddetto salto di specie,
chiamato appunto spillover, come pare sia accaduto anche
stavolta.
Zoonosi sono ormai ben il 60% delle malattie umane: un
dato spaventoso che ci fa comprendere quanto i salti di specie non provengano
da nemici invisibili e spietati come un virus, ma dai nostri stessi
comportamenti e dagli stili di vita e di consumo. La deforestazione e la
diffusione degli allevamenti industriali di animali da carne sono le principali
cause del propagarsi delle zoonosi.
Attualmente sul nostro pianeta vivono 1,5 miliardi di
bovini, 1 miliardo di suini, oltre 1,5 miliardi di ovini e caprini e circa 50
miliardi di volatili (fonte prof. Tamino). Gli animali allevati sono un impressionante
96% del totale; quelli selvatici sono una rarità, vivendo per di più in spazi
sempre più ristretti e insidiati dall’uomo e pertanto a rischio per la propria
sopravvivenza e per quella dell’uomo, con cui vengono sempre più in contatto.
In tutto ciò il consumo di carne animale, anche quella
di animali selvatici, è un veicolo di virus estranei al nostro sistema
immunitario, oltretutto resistenti agli antibiotici utilizzati sempre più
massicciamente. In Italia consumiamo ogni anno più di 80 kg di carne pro
capite; una cifra in costante incremento, anche nelle fasce meno abbienti.
Non bastavano la costante perdita di suolo agricolo,
il consumo smisurato di acqua (15.000 litri per 1 chilo di carne), la
produzione di CO2 e metano derivanti dagli allevamenti intensivi, i
maltrattamenti agli animali, tenuti in condizioni vergognose e degradanti fino
alla macellazione. Il coronavirus ci ha sbattuto in faccia la tragica realtà:
la carne è il peggior amico dell’uomo. Amico per il gusto, almeno per lo
scrivente; peggiore per le conseguenze.
La “fase 2” dovrà partire anche di qui e, oltre a
riaprire attività, non potrà che circoscrivere alcune abitudini, anche
piacevoli, ma ormai troppo insidiose. Abituiamoci a sostituire il più possibile
sulle nostre tavole il peggior amico dell’uomo, o presto saranno nuovamente
guai.
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