Questo non è un articolo sulla salute. Questa è una
riflessione collettiva su che cosa possiamo imparare dalla surreale e
inquietante esperienza dell’emergenza di questo periodo.
Anche se in
questi giorni di minaccia alla nostra salute e forte limitazione alle nostre
vite potrebbe sembrare che non possa arrivare di peggio ci si può comunque
stupire che l’emergenza ambientale che fa ogni anno milioni di morti umane ed
animali in tutto il Mondo, fa molto meno notizia e soprattutto produce molto
meno reazione politica. Solo in Italia l’Agenzia europea dell’ambiente stima
che l’inquinamento dell’aria provoca ogni anno circa 84 mila morti nel nostro Paese.
Un dato ben al di sopra a quello relativo al Coronavirus. Perché allora
non si sta sviluppando un programma immediato ed emergenziale, non solo per
salvaguardare la vita umana, ma anche quella dello stesso Pianeta che procede
velocemente verso il collasso?
Il
fallimento e il “Nulla di fatto” della Cop25 di Madrid dimostra la mancanza di un approccio responsabile
volto a cambiamenti profondi e strutturali. Il fallimento della Crescita Verde
e del cosiddetto sviluppo sostenibile ne è alla base. L’impatto ambientale
continua a crescere col Pil, e nonostante tutti gli sforzi, tutta l’innovazione
tecnologica e tutti gli aumenti di efficienza raggiunti, le emissioni globali
di gas serra negli ultimi decenni ed anni non sono diminuite, ma continuano
anzi beatamente a crescere.
Probabilmente
le ragioni per il differente trattamento di questa crisi profonda e strutturale
sono due: da un lato ha un impatto molto meno immediato e concentrato e
dall’altro richiede dei cambiamenti ancora molto più profondi e incompatibili
con il nostro sistema socio-economico: non ci chiede di non uscire da
casa per un mese ma di abbandonare la nostra auto individuale per sempre e di
costruire altri modi di benessere.
E non si può
certo negare che manca coerenza nella comunicazione sul virus in Italia, come
spiega l’infettivologo Leopoldo Salmasso in una tripla intervista: da
una parte non si considera che comunque muore ogni anno molta più gente di
comune influenza stagionale e soprattutto muoiono molte più persone in altri
paesi da comunissime malattie perché affette da malnutrizione e dall’altra le
autorità puniscono chi vuole fare una passeggiata o accudire i figli ma non se
si va al lavoro per “continuare a produrre” come chiede Confindustria di Verona. È sicuramente significativo che quasi subito si sono
chiuse le biblioteche, mentre sono rimasti aperti i centri commerciali.
Fatte queste
considerazioni per contestualizzare, quale potrà essere la conclusione di
quest’emergenza?
Tre visioni
si confrontano in questi giorni. Quella mainstream, che si trova su tutti i
giornali, è che l’emergenza sanitaria provocherà anche una grave crisi
economica ma ce la faremo e torneremo alla “normalità” di prima. C’è poi la
visione negativa di chi vede nell’emergenza un’occasione dei potenti per
disciplinare la società e portare avanti politiche che restrittive per la
libertà e di ulteriore neoliberismo economico. E infine c’è chi spera che
questa sia un’occasione più unica che rara per fermarci e cambiare le nostre
vite, riscoprendo un rapporto sano con la natura.
In queste
settimane stiamo dunque assistendo alla diffusione di una malattia pericolosa
oppure l’emergenza semplicemente fa comodo per sperimentare restrizioni della
libertà e a distruggere ancor di più i legami sociali da sostituire con
strumenti artificiali?
Forse tutte
e due le cose allo stesso tempo.
Convivono la
giusta preoccupazione per una malattia con una certa pericolosità, forse non
tanto in termini di mortalità diretta, ma in quanto mette in crisi il sistema
sanitario, già indebolito dalle politiche di austerità, e la giusta
preoccupazione per una forte limitazione delle nostre vite e delle nostre
libertà.
Da un lato
ci sono i dati sulla malattia ed il fatto che si diffonde con una dinamica di
crescita esponenziale, per cui rallentarne la diffusione (perché a questo sono
volte le misure adottate più che a impedirla) può effettivamente aiutare ad
evitare un collasso del sistema sanitario. Perché in effetti è soprattutto la debilitazione del
nostro sistema sanitario per politiche neoliberiste di privatizzazione che
rende la situazione pericolosa.
La crescita
esponenziale che osserviamo di giorno in giorno nel numero di contagiati per
altro è proprio quella auspicata comunemente da tutti gli economisti e politici
– obiettivo che noi critichiamo da sempre: la crescita esponenziale prima o poi
ha sempre conseguenze catastrofiche. Ciò è ovvio con un virus ma vale
anche per Pil, consumo di energia, emissioni CO2… anche queste
crescite vanno limitate e, visto che in quei casi siamo già abbandonatamente
sopra i Iimiti di sostenibilità, vanno infine abbassate.
E poi c’è il
fatto che le attuali misure di emergenza implicano una sorveglianza e un
controllo pesante della vita sociale. Con il rischio “di interiorizzare
la solitudine competitiva come unico orizzonte
esistenziale”,
Può uno
Stato vietare un abbraccio, un bacio, una carezza? È una domanda che non ci
siamo mai fatti, e da ora in poi forse ci faremo.
Il problema
è che pure se consideriamo momentaneamente necessarie le misure adottate, anche
in un’ottica di solidarietà con chi è più debole di salute e a cui dovremmo
veramente evitare di trasmettere il virus, questo non esclude che comunque
questa emergenza sia funzionale a una politica della solitudine, della paura e
del controllo sociale. “Un’epidemia è il sogno del tiranno. Tutti diventano
obbedienti per propria volontà” scrive Miguel Benasayag.
Allo stesso
tempo, e c’è una tensione inquietante tra questi due aspetti, c’è chi rileva
come questa situazione ci faccia ripensare le nostre abitudini consumistiche. Che sia un’occasione per
fermarci per tornare a vivere in armonia con la natura e con le persone che ci
circondano (come propongono per esempio questo articolo
e questo video
di grande enfasi).
In questi
giorni appare infatti evidente la nostra dipendenza dai modelli produttivi e di
consumo. Il saccheggio indiscriminato dei supermercati, le risse nelle corsie,
le tonnellate di cibo che verranno sprecate senza pensarci due volte,
dimostrano come la trasformazione degli stili di vita abbia allontanato la
quasi totalità della popolazione dall’autosufficienza alimentare, dal saper
fare e dalla Terra. Senza considerare che lo stesso cibo prodotto con i
metodi intensivi non rappresenta più “la miglior medicina” per rafforzare il
sistema immunitario, ma al contrario, il miglior modo per debilitarlo, a causa
della diminuzione di nutrienti (- il 50% di vitamine ad esempio
rispetto agli anni 50’), al massiccio uso dei pesticidi e di sostanze di
sintesi troppo spesse cancerogene e con effetti collaterali.
Poi è la
stessa dinamica di veloce diffusione del virus a partire dalla Cina a
ricordarci la fragilità della società in cui viviamo, basata com’è su continui
spostamenti internazionali di merci e persone e in cui le limitazioni ai
movimenti ci preoccupano così tanto anche perché non siamo più abituati a stare
fermi in un luogo. Non è di poco conto che questo virus, come scrive Ascanio Celestini, “ha viaggiato in business class. È
passato da un corpo all’altro durante le riunioni dei manager. È scivolato tra
le dita nelle strette di mano pacifiche. È stato in crociera. Ha fatto il giro
del mondo senza passaporto, ignorando le differenze di classe e di genere. Il
parassita non fa differenze. Quasi una rivincita storica rispetto a quelle
malattie che i nostri antenati europei colonialisti secoli fa portarono in
America, sterminando milioni di persone. Il virus dunque non è arrivato con i
barconi dei migranti ma con i mezzi del Nord globale consumista e
produttivista. Tra tutte le cattive, il fallimento di alcune compagnie aeree
potrebbe quasi essere una buona notizia. È un’epidemia non solo del
neoliberismo come scrive Raul Zibechi, ma proprio della società della
crescita. Zibechi fa riferimento a una ricerca del
programma per l’ambiente delle Nazioni Unite (UNEP) che mostra come i
sempre più frequenti virus di origine animale siano dovuti anche alla
degradazione ambientale causata da noi umani.
E non
stupisce pensare che gli allevamenti intensivi, luoghi di sfruttamento di
animali, in pessime condizioni igieniche sanitarie e sotto utilizzo massiccio
di farmaci, possano rappresentare il terreno ideale per la nascita e la
propagazione di malattie per l’uomo e di fenomeni sempre più diffusi di
antibiotico resistenza la cui pericolosità è completamente sottostimata.
Uno dei
fatti più interessanti è che il virus sta facendo molto bene all’ambiente. Con
molta più efficacia delle politiche ambientali. Precisamente perché sta
provocando una recessione. Ci obbliga ad abbandonare, almeno temporaneamente il
viaggio usa e getta ed altre abitudini consumistiche, e ha portato in Cina a un
riduzione della produzione industriale come non si vedeva dalla crisi del
2008/2009 e di conseguenza a una riduzione dei consumi energetici e delle
conseguenti emissioni di gas serra.
Cosa ci dice
questo? Che solo una imposizione autoritaria, giustificata da un’emergenza sia
capace di affrontare la crisi ambientale?
Piuttosto
potrebbe essere il contrario. Da un lato sì, evidentemente, come già abbiamo
visto con la crisi del 2008, ridurre produzione e consumo è l’unico modo per
ridurre l’impatto ecologico ma quando questo non avviene come progetto politico
(decrescita) ma attraverso una recessione, rischio e scenario probabile è che
questo sia utile a ridurre gli spazi democratici e imporre poi soltanto nuove
(vecchie) ricette per l’accumulazione, come lo sblocco delle grandi opere con
l’argomento del “dobbiamo ripartire”, la svendita di piccole e medie aziende
esauritesi in queste settimane (mentre quelle grandi sopravvivono)… Nel
settembre del 2007, in tempi non sospetti, è stato pubblicato il libro “Shock
Economy” di Naomi Klein: una documentatissima e spietata analisi che
attesta come per il sistema capitalistico ogni occasione è buona per imporre le
proprie strategie economiche e finanziarie. Che si tratti dello tsunami in Sri
Lanka, dell’uragano Katrina a New Orleans, di tracolli finanziari, di
terrorismo o altro, ogni catastrofe, ogni guerra, ogni conflitto, ogni
emergenza viene abilmente sfruttata per imporre ciò che in situazioni normali
difficilmente verrebbe consentito. Il clima di paura, l’isolamento, la
restrizione degli spazi democratici sono la manna per chi vuole accrescere il
proprio profitto a scapito della salute, della vita e del benessere di tutti.
Quella che
vediamo in queste settimane è una forma di recessione autoritaria, dettata
dall’emergenza e sicuramente non una decrescita felice, come progetto politico,
culturale e sociale. C’è
però senz’altro il dato interessante che queste settimane ci mostrano come una
riduzione di produzione e consumo, come noi, in ben altro modo proponiamo, sia
decisamente efficace per ridurre le emissioni, il che le politiche di una
mitica, e irrealizzabile crescita verde invece non sono in grado di fare.
Ma c’è
ancora un’altra questione: questa epidemia non sarà sicuramente l’ultima nel
nostro mondo globalizzato. Potremo attrezzarci meglio? In una maniera
che non sia né quella di chiudere le frontiere né semplicemente tecnologica?
Potrebbe esistere una tecnologia conviviale contro le epidemie?
Forse il
localismo aperto proposto dalla decrescita che rilocalizza senza escludere,
riduce viaggi e trasporto di merci non vietandoli ma costruendo alternative più
desiderabili, potrebbe essere un pezzo di risposta.
Che fare allora?
Nel nostro
piccolo, a livello individuale, forse l’unica buona risposta è di seguire
il Decalogo contro la paura di Franco Arminio e di
“camminare in campagna o in paesi quasi vuoti.” Triste di fronte a questo
l’ambiguità della polizia (di peraltro dubbia costituzionalità: ci dev’essere
chiarezza sulle cose che si possono fare e no) sulla possibilità di uscire
a camminare, prendere il sole. Facciamolo a distanza gli uni dagli altri ma non
diciamo che è superfluo!
Ma non
bisogna neanche dimenticare l’importanza della collettività e delle relazioni
sociali. Facciamolo con cautela e rispetto ma cerchiamo di mantenere le
relazioni. Sapendo anche che fanno bene al sistema immunitario. Il nostro
circolo del Movimento per la Decrescita Felice di Verona per
esempio sta cercando di instaurare pratiche di mutualità (anche interna) e di
supporto al confinamento in solitudine, per dare una mano a chi proprio non può
uscire (anziani, malati) per le situazioni di necessità. Nel quartiere di Porta
Palazzo a Torino ci si sta organizzando di portare la spesa a casa a
chi non può uscire. C’è anche chi a Torino ha deciso di portare i libri a casa in bici – certamente la cultura è una delle cose che può
consolare ed aiutare in questo momento. C’è chi danza sul balcone e chi propone
concerti dalle finestre… E chi, si immagina per la fine dell’emergenza, gare di
abbracci per non dimenticare che siamo esseri umani bisognosi di contatto
fisico.
Viviamo un
momento di smarrimento, di mancanza di libera informazione e di pericolosi
precedenti di controllo sociale. Questa però potrebbe essere un’occasione per
alzare la testa, per cercare la verità. In fondo si tratta di scegliere consapevolmente
tra le tre visioni accennate sopra. Il risultato è tutt’altro che certo e
scontato. Noi ci dovremo impegnare perché a questa emergenza non segua né una
temibile svolta autoritaria, né un ritorno alla “normalità” di produttivismo e
consumismo ma sia piuttosto punto di partenza per cambiare vita e sistema in
un’ottica di decrescita. Potrebbe essere l’occasione per mettere davvero in
discussione il sistema economico attuale che si basa sull’assunto della
crescita infinita, che sta precipitando a causa di un virus in una crisi
economica e finanziaria in un batter d’occhio.
Potrebbe
essere la volta giusta, per abbandonare i modelli di produzione di cibo
intensivi, che sfruttano pericolosamente sia il regno animale che vegetale, per
riappropriarsi dell’autosufficienza alimentare.
Potrebbe
essere il momento per trasformare tutto questo in un’opportunità, che metta in primo piano la vera
emergenza, quella ambientale e climatica e la dominanza dell’uomo sulla Natura.
Potrebbe… se
agiamo affinché lo sia.
Auguriamo a
voi, e anche a noi stessi, un pensiero forte, positivo, di energia e
rinnovamento.
Il Direttivo
del Movimento per la Decrescita Felice
P.S.: come
avete visto abbiamo citato molto dei nostri amici di www.comune-info.net, molto
più bravi di noi a scrivere, che hanno pubblicato molti articoli con distanza
critica sul tema.
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