Un’opera degna del miglior Samuel Beckett. I benefattori globali e
alcuni agenti locali l’avevano annunciato, pronosticato e perfino quantificato.
L’impatto del Coronavirus in Africa in generale e nel Sahel in particolare
sarebbe stato oltremodo devastante. Il Segretario Generale delle
Nazioni Unite, Antonio Guterres, aveva infatti affermato, in una intervista ai
microfoni di Radio France Internationale (RFI) et France 24, che secondo
lui, erano necessari almeno 3 mila miliardi di dollari e un’azione
concertata a livello internazionale per evitare una ecatombe in Africa, dove
una propagazione del virus, poteva condurre a milioni di morti e persone
infettate. Nella stessa prospettiva aveva saggiamente
invitato, in un solenne appello, a ‘un cessate il fuoco immediato, dappertutto
nel mondo’ al fine di preservare, a monte della furia del Covid-19, i
civili più vulnerabili nei Paesi in conflitto.
Il movimento verso la pacificazione è stato in buona parte disatteso, buon
esempio in Libia e in Siria ma soprattutto dai mercenari e dai commercianti
d’armi. In effetti, secondo l’ultimo rapporto dall’Istituto Internazionale di
Ricerca sulla Pace ( SIPRI) di Stoccolma, le spese militari hanno
superato la somma di 1.900 miliardi di dollari. Il presidente del Niger, da
parte sua, in un’altra conversazione esclusiva con RFI e France 24, affermava
di dar ragione ad Antonio Guterres sulla possibilità di milioni di morti a
causa dell’epidemia in Africa. Per questo motivo, il capo di Stato chiamava ad
un nuovo ‘Piano Marshall’ da parte della comunità internazionale con
lo scopo di aiutare i Paesi del continente ad affrontare l’inedita crisi
sanitaria. Qui nei Paesi del Sahel, che una nota confidenziale del
Ministero degli Esteri francese, a causa del Covid-19, avrebbero dovuto
affossarsi, stiamo ancora aspettando Godot.
Da 83 000 a 190 mila persone potrebbero morire di Covid-19 in Africa e da
29 a 44 milioni potrebbero essere infettati nel primo anno della pandemia se le
misure di confinamento alla pandemia falliscono. Questo è il risultato di un
nuovo studio dell’Ufficio Regionale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità
(OMS). Questa ricerca si basa sui modelli di previsione operata su 47 paesi
dell’Africa, dove la popolazione totale è di un miliardo di abitanti. Secondo
un altro modello provvisorio operato dall’OMS, i casi di Coronavirus potrebbero
passare da qualche migliaio a 10 milioni in sei mesi anche se Michel Yao, capo
delle operazioni di urgenza per l’OMS Africa, ha dichiarato giovedì che si
trattava di una proiezione che potrebbe cambiare. Aspettando Godot la
nostra Africa inizia a deconfinare e in particolare nel Niger, dopo
aver riaperto i luoghi di culto martedì, è stata tolta anche la misura che
isolava la capitale Niamey dal resto del Paese e per il coprifuoco, è ormai del
tutto soppresso. Quanto all’Africa, a tutt’oggi secondo le cifre
fornite dal Centro di Prevenzione delle malattie dell’Unione Africana
(CDC), il continente contava 78 613 casi confermati di Covid-19 e 2 642
decessi dovuti alla malattia. L’Africa del Sud è il Paese più colpito,
seguito dall’Egitto e dal Marocco. Gli altri Paesi stanno ancora aspettando
Godot.
Nella splendida opera di Beckett, Godot, sconosciuto personaggio
importante, arriverà quasi certamente domani e tutta l’opera gira attorno ad
un’attesa che rimane tale. Godot rappresenta proprio l’attesa allo
stato puro e senza sconti o scorciatoie, l’attesa di un possibile che rimane
sulla soglia. Così è per il Covid-19 in Africa, verrebbe da dire. Si
sono proiettati, come anche in altri casi, sul continente immaginari che, dopo
aver dipinto il continente in perenne stato di abbandono e disperazione, si
incastonavano a pennello nell’idea di catastrofe annunciata. Non è così perché,
nella nostra nave di sabbia non si confina né la povertà né la speranza.
Entrambe nascono dallo stesso grembo di cui l’Africa ha saputo, almeno finora,
conservare il segreto. Aspettiamo da venti mesi padre Pierluigi e il
suo compagno di sventura Nicola Ciacco, tenuti in schiavitù da falsi
combattenti in cerca di denaro, da qualche parte nel vicino Mali. Si aspetta
l’acqua per bere e per lavarsi le mani e poi mantenere le poche distanze
possibili che possono avere i passeggeri dello stesso veliero che naviga nella
sabbia. Si aspetta il Dio a parte che capi di stato, comuni cittadini e
migranti bloccati dai confinamenti invocano ogni giorno. Germaine, una
parrucchiera disoccupata da mesi, assicura che, da quando si dice che il virus
viaggia assieme al vento, ogni mattina, appena sveglia, comincia a danzare.
Niamey, 16 maggio 2020
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