Circa 100 milioni di animali vengono uccisi per la
carne ogni mese nel Regno Unito – ma molto poco si sa delle persone che
compiono le uccisioni. Qui, un ex lavorante al macello descrive il suo lavoro e
gli effetti che ha avuto sulla sua salute mentale.
ATTENZIONE: ALCUNI LETTORI POTREBBERO TROVARE QUESTA
STORIA DISTURBANTE
Quando ero bambino, sognavo di fare il veterinario, mi
immaginavo mentre giocavo con animaletti birichini, calmando micini spaventati
e – dal momento che ero un bimbo di campagna – eseguendo visite sugli animali
della fattoria locale se venivano lasciati sotto le intemperie.
Era la vita piuttosto idilliaca che sognavo per me
stessa – ma le cose non sono andate proprio così. Invece, sono finita a
lavorare in un macello.
Ci sono rimasto per sei anni e, invece che passare i
miei giorni a far stare meglio mucche infelici, avevo il compito di garantire
che circa 250 di loro venissero uccise ogni giorno.
Che mangino o non mangino carne, quasi nessuno nel
Regno Unito è stato dentro un mattatoio – e per buoni motivi. Sono luoghi
sudici, sporchi. Ci sono feci di animali sul pavimento, tu vedi e odori le
budella e i muri sono ricoperti di sangue.
E l’odore… ti colpisce come un muro quando entri per
la prima volta e poi aleggia denso nell’aria intorno a te. La puzza degli animali
morenti ti circonda come un vapore.
Perché qualcun dovrebbe voler visitare un luogo come
questo, figuriamoci lavorarci?
Per me, è successo perché avevo già passato due
decenni a lavorare nella industria alimentare – in stabilimenti di
confezionatura e simili. Così, quando ricevetti una offerta dal mattatoio per
diventare manager del controllo qualità, lavorando direttamente coi macellai,
sembrò un cambiamento di lavoro abbastanza innocuo. Allora, avevo 40 anni.
Al primo giorno, mi fecero fare un giro introduttivo,
spiegandomi come tutto funzionasse e, soprattutto, fondamentalmente,
puntualmente e ripetutamente, mi chiesero se fossi OK. Era abbastanza comune
per le persone, svenire durante il giro, mi spiegarono, e la incolumità fisica
dei visitatori e dei nuovi assunti era molto importante per loro. Era OK,
penso, mi sentivo male, ma pesavo che ci avrei fatto l’abitudine.
Presto, tuttavia, mi resi conto che non aveva senso
fingere che questo fosse un lavoro come un altro. Di sicuro non tutti i mattatoi
sono uguali, ma il mio era un posto brutale, pericoloso dove lavorare. C’erano
innumerevoli occasioni in cui, anche se seguivano tutte le procedure per lo
stordimento, i macellai prendevano calci da una mucca enorme che stava
boccheggiando mentre la agganciavano alla macchina per macellarla. In modo
simile, le mucche trasportate si impaurivano in preda al panico, che era
abbastanza terrificante anche per tutti noi. Te ne accorgerai, se sarai mai
stato vicino a qualche grosso animale.
Personalmente, non ricevetti ferite, ma il posto fece
ammalare la mia mente.
Mentre trascorrevo giorno dopo giorno in quella
scatola grande e senza finestre, sentii il mio petto sempre più pesante e una
nebbia grigia calò su di me. Di notte, la mia mente mi prendeva in giro con
incubi, ripetendo alcune delle cose orribili che avevo visto durante il giorno.
Una delle capacità che padroneggi lavorando in un
mattatoio è la dissociazione. Impari a diventare insensibile verso la morte e
la sofferenza. Invece di pensare alle mucche come esseri viventi interi, le
separi nelle parti dei loro corpi che si possono vendere e mangiare. Questo non
solo rende il lavoro più facile – è necessario per la sopravvivenza.
Ci sono cose, tuttavia, che hanno la forza di scuotere
la insensibilità. Per me, erano le teste.
Alla fine della linea di macellazione, c’era un enorme
cassone, riempito da centinaia di teste di mucca. Ciascuna di queste era stata
scotennata, rimossa tutta la cane che si poteva vendere. Ma una cosa rimaneva
ancora attaccata – gli occhi.
Tutte le volte che passavo vicino al cassone, non
potevo evitare di sentirmi come se centinaia di paia di occhi mi stessero
fissando. Alcuni mi accusavano, sapendo che avevo partecipato alle loro morti.
Altre sembravano supplicarmi, come se ci fosse qualche modo perché io potessi
tornare indietro nel tempo e salvarle. Era disgustoso, terrificante, spezzava
il cuore, tutto allo stesso momento. Mi faceva sentire colpevole. La prima
volta che vidi quelle teste, mi ci volle tutta la mia forza per non vomitare.
Lo so che queste cose davano pure fastidio agli altri
lavoratori. Non dimenticherò mai il giorno, dopo che ero stata al mattatoio per
alcuni mesi, quando uno dei compagni segò in due una mucca appena uccisa, per
sbudellarla – e cadde sul pavimento il feto di un vitello. La mucca era
incinta. Lui iniziò immediatamente a urlare e a buttare le braccia in giro.
Lo portai in una sala per le riunioni per calmarlo e
tutto quello che riuscì a ripetere, fu “Non è giusto, non è giusto!” ancora e
ancora. Erano uomini duri e raramente mostravano qualche emozione. Ma potei
vedere lacrime che gli pizzicavano gli occhi.
Anche peggiore della mucca incinta, tuttavia, era il
giovane vitello che qualche volta dovevamo uccidere.
Ruolo fisicamente esigente
Sul suo sito, l’Associazione Britannica dei Produttori
di Carne (British Meat Processore Association – BMPA) dice che l’industria
della carne del Regno Unito ha tra gli standard più elevati di igiene e
benessere nel mondo.
Molti dei membri, dice, “sono all’avanguardia della
progettazione dei mattatoi con attrezzature per alloggiare gli animali e
aiutarli a spostarsi intorno al sito con facilità e senza dolore, disagio o
sofferenza”.
La produzione della carne nel Regno Unito impiega
75mila persone, dei quali circa il 69% arrivano dagli altri Stati membri
dell’Unione Europea, come annota la BMPA.
Al culmine della crisi per la BSE e la tubercolosi
bovina negli Anni ’90, grandi gruppi di animali dovevano essere macellati. Io
lavorai al mattatoio dopo il 2010, decisamente dopo la crisi della BSE, ma se
qualche animale risultava positivo al test della TB, bisognava ancora prendere
tutte le famiglie per eliminarle – tori, giovenche e vitelli. Mi ricordo un giorno
in particolare, quando lavoravo lì da circa un anno o giù di lì, quando dovemmo
macellare insieme cinque vitelli.
Provammo a farli passare tra le ringhiere dei recinti,
ma erano così piccoli e ossuti che potevano con facilità uscir fuori e
trotterellare in giro debolmente barcollando sulle loro gambe di neonati. Loro
ci annusavano, come cuccioli, perché erano giovani e curiosi. Alcuni dei
ragazzi e io li accarezzammo e loro succhiarono le nostre dita.
Quando venne il momento di ucciderli, fu dura, sia
emotivamente che fisicamente. I mattatoi erano progettati per macellare animali
davvero grandi, così le scatole di stordimento di solito sono giusto della
taglia adatta per trattenere una mucca che pesa una tonnellata. Quando ci
mettemmo il primo vitello, occupava a malapena appena un quarto della scatola.
Ce li mettemmo tutti e cinque in una volta sola. Poi, li uccidemmo.
In seguito, i macellai erano visibilmente scossi, mentre
guardavano gli animali morti sul pavimento.
Raramente li ho visti così vulnerabili. Si tende a
imbottigliare le emozioni nel mattatoio. Nessuno parla dei propri sentimenti,
c’è una opprimente sensazione che non ti è permesso di mostrare debolezza. In
più, c’è un mucchio di lavoranti che non sarebbero capaci di parlare dei loro
sentimenti al resto di noi, anche se lo volessero. Molti sono lavoratori
immigrati, soprattutto dall’Europa dell’Est, il cui inglese non è abbastanza
buono per loro per chiedere aiuto se stanno arrancando.
Un mucchio di uomini con cui ho lavorato avevano un
secondo impiego altrove – terminavano le loro 10.11 ore al mattatoio prima di
andare all’altro lavoro – e la fatica spesso reclamava il suo prezzo. Alcuni
ebbero problemi col bere, spesso venivano al lavoro che puzzavano tantissimo di
alcolici. Altri presero a bere troppi integratori vitaminici e più di uno ebbe
un attacco di cuore. Quelle bevande, allora, vennero tolte dai distributori
automatici del mattatoio, ma le persone ancora se li portavano da casa e li
bevevano di nascosto nelle loro auto.
“Io amo gli animali”
Un macellaio al mattatoio di Tideford, descrisse il
suo approccio a questo lavoro, per The Food Chain sul BBC World Service:
“Di base, io amo gli animali. Non provo alcun piacere
in quello che facciamo, ma se posso farlo nel modo più tranquillo e
professionale possibile, allora penso che abbiamo raggiunto qualche cosa.
Rimani professionale, fallo, quindi stacca – e allora, quando abbiamo finito il
lavoro, vai a casa e comportati da persona normale. Non roba per tutti. Conosco
un paio di macellai che non riuscirebbero a camminare in un mattatoio, il
pensiero di prendere la vita di qualcuno, trovano difficile da accettarlo, o
assistervi.”
Ascoltato da The Food Chain: Inside dei
Abbatoir/Abattoir
Lavoro al mattatoio
Il lavoro al mattatoio è stato collegato a molteplici
problemi di salute mentale – un ricercatore ha usato il termine ‘Sindrome
Traumatica da Perpetratore indotto’ per riferirsi ai sintomi di PTSD (Post
Traumaric Stres Disorder) patiti dai lavoratori nei macelli. Io personalmente
ho sofferto di depressione, una condizione esacerbata dalle lunghe ore, dal
lavoro senza sosta, circondata dalla morte. Dopo un po’, iniziai a sentirmi
autodistruttivo.
Non è chiaro se il lavoro nei macelli causi questi
problemi, o se il lavoro attragga persone con condizioni pre-esistenti. Ma,
comunque, è un lavoro incredibilmente solitario, ed è difficile cercare aiuto.
Quando dico alla gente che cosa faccio per lavoro, allo stesso tempo vengo
accolta sia con assoluta repulsione, o una fascinazione curiosa e scherzosa.
Comunque, non posso mai aprirmi con le persone sugli effetti che sta avendo su
di me. Invece, a volte scherzo insieme a loro, facendo discorsi cruenti sullo
spellare una mucca, o sul maneggiare le sue viscere. Ma, il più delle volte,
sto semplicemente zitta.
Pochi anni dopo il mio periodo al mattatoio, un
collega iniziò a fare commenti frivoli a proposito “non essere qui entro sei
mesi”. Tutti quanti la buttavano sul ridere. Lui era una specie d buffone, così
la gente pensava che li stesse stuzzicando, quando diceva che lui aveva un
nuovo lavoro o qualcosa del genere. Ma mi faceva sentire davvero a disagio. Lo
presi da parte e gli chiesi cosa voleva dire, e lui si commosse. Ammise che era
stato perseguitato da pensieri di suicidio, che si sentiva come se non potessi
più farcela e che aveva bisogno di aiuto – ma mi scongiurò di non dire nulla ai
nostri capi.
Riuscii a incoraggiarlo a chiedere aiuto al suo medico
di base – aiutandolo, realizzai che avevo bisogno di aiutare me stessa. Mi
sentivo come se le cose orribili che vedevo, avessero rabbuiato i miei pensieri
e io mi trovassi in un conclamato stato di depressione. Sembrava un grande,
passo, ma avevo bisogno di uscire da lì.
Dopo che lasciai il mio lavoro al mattatoio, le cose
cominciarono a sembrare più allegre, cambiai completamente atteggiamento e
iniziaia lavorare con le organizzazioni di beneficenza per le malattie mentali,
incoraggiando le persone ad aprirsi a proposito dei loro sentimenti e cercare
aiuto professionale – anche se pensavano di non averne bisogno, o si sentivano
come se non lo meritassero.
Pochi mesi dopo essermene andata, sentii uno dei miei
ex colleghi. Mi disse che un uomo con cui avevamo lavorato, il cui compito era
di scorticare le carcasse, si era ucciso.
Ogni tanto, mi ricordo dei miei giorni al macello.
Penso ai miei ex colleghi che lavorano senza sosta, come se stessero a galla in
un vasto oceano, con la terraferma completamente fuori vista. Mi ricordo il mio
collega che non è sopravvissuto.
E di notte, quando chiudo gli occhi e cerco di
dormire, vedo ancora centinaia di paia di occhi che mi fissano.
Raccolto da Ashitha Nagesh
traduzione di Giovanni Manizzi
fonte: qui
***per eventuali sviste nella traduzione contattateci.
Grazie mille per la collaborazione!
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