Tentare di fare chiarezza, all’interno della ormai
ventennale contrapposizione fra i sostenitori della viticoltura organica e
coloro che producono vini ricorrendo alla chimica di sintesi, è un’impresa
titanica. Lo è perché ancora oggi non si ha una chiara definizione di vino
naturale e tra gli stessi appartenenti a quel mondo ci sono sempre più diatribe
e scontri. Il filo conduttore che unisce chi fa la scelta di praticare forme di
agricoltura organica è il rispetto dell’ambiente e la salute di chi berrà il
prodotto finito. Al netto di questi punti comuni, si incontrano/scontrano
diverse scuole di pensiero che spaziano dal moderatismo del biologico
(regolamentato da normative, a mio parere, insufficienti e ambigue) fino alle
regole steineriane della biodinamica, senza trascurare chi fa vino
semplicemente senza il ricorso alla chimica e ai protocolli enologici, pur
senza aderire a filosofie ufficialmente riconosciute. In questo bosco fitto di
punti di vista diversi, bisogna fare i conti con chi si schiera contro o a
favore di zolfo/rame, controllo delle temperature di fermentazione, utilizzo
del pied de cuve, totale non interventismo. C’è da dire che il mondo a cui
faccio riferimento, che copre una fetta di mercato numericamente risibile, vive
in un quotidiano stato d’assedio da parte di chi è invece schierato con
un’agricoltura scriteriata dal punto di vista ambientale e che da alla luce un
autentico oceano di vini omologati e prodotti nel solo rispetto del
dio-mercato. L’establishment del vino “politicamente corretto”, sostenuto da un
esercito acritico di soldatini allineati e dalla potenza economica delle grandi
industrie chimiche, lavora per screditare fino alla ridicolizzazione chi mette
quotidianamente in gioco mesi di lavoro per ottenere dei vini che abbiano
qualcosa da raccontare senza avvelenare nessuno. Il tormentone delle “puzze” è
uno degli argomenti più in voga: bisognerebbe che i detrattori si arrendessero
almeno alla realtà che i vini veri, o naturali, o organici sono proibitivi per
chi soffre di nevrosi da fretta, nel senso che vanno attesi nel bicchiere e con
i tempi che decidono loro. Prendere o lasciare. La madre di tutti i problemi
credo sia la pervicace assenza di una normativa che obblighi chi produce vino,
a dichiarare in etichetta tutti gli ingredienti. Quando questo sogno diventerà
realtà credo che i giochi cambieranno non poco. Detto questo ho chiamato a
raccolta alcuni produttori sardi che, con modalità diverse ma uniti dall’amore
per i loro territori, fanno vini fuori dal coro. A loro la parola per
raccontarci il senso che loro danno al termine naturale.
AZIENDA AGRICOLA PUSOLE – via Monte Oro, 13 –
Baunei, Sardegna
Lorenzo e Roberto Pusole conducono una piccola azienda
agricola polifunzionale e a conduzione famigliare nella parte più
settentrionale dell’Ogliastra. Roberto, che tiene le pubbliche relazioni e
segue la parte commerciale, è laureato in Enologia ad Alba ma è fin troppo
evidente le sue conoscenze accademiche marciano a pari passo con l’eredità
ancestrale delle tecniche antiche dei suoi antenati. Riscopritori del Cannonau
Bianco, vitigno autoctono a bacca bianca capace di dar vita ad un vino minerale
e sapido, fanno dei loro rossi freschi e di buona beva il loro punto di forza.
Importante anche la loro produzione di salumi artigianali da maiali di razza
sarda certificata.
Roberto, cos’è per te un vino naturale?
Ormai tutti possono fare vino biologico, siano essi
piccoli produttori o grandi aziende e questo lo dimostrano le varie etichette
presenti negli scaffali dei supermercati. Se però parliamo di vino del
vignaiolo, o cosiddetto naturale, dobbiamo spostare l’attenzione sul discorso
della produzione. E’ fondamentale che il contadino allevi le proprie uve e sia
lui a seguire i processi di vinificazione con le proprie capacità. Se viene a
mancare uno di questi due elementi non sei un vignaiolo. Non vuol dire che il
tuo vino non sarà buono ma non puoi chiamarti vignaiolo. A me piacerebbe
riuscire ad essere come mio nonno: mangiare quello che raccolgo dall’orto, le
uova delle mie galline e ogni tanto una buona carne o un buon insaccato. Nel
frattempo per me il vino del vignaiolo serve a far vivere meglio e godere colui
che lo beve.
PIERO CARTA – Loc. Santa Lucia – Magomadas,
Sardegna
Piero è un giovane vignaiolo che, nonostante la Laurea
in Economia con Master in Turismo, si è volutamente catapultato nel magico
mondo dell’agricoltura sostenibile. E’ successo nonostante un’adolescenza
passata ad accontentare i desideri di un padre che, avendo bisogno di aiuto,
obbligava il giovane Piero a lavorare con lui in vigna al punto di fargliela
odiare. Poi, anche a causa un problema di salute del genitore, è lentamente
scoppiato un amore viscerale per questo lavoro. Oggi Piero ha a disposizione un
paio di ettari nel cuore della Planargia, uno dei quali allevato a Malvasia e
l’altro a frutteto. Da questa proprietà ricava poco meno di mille bottiglie di
FILET, la sua Malvasia in purezza realizzata nel massimo rispetto della tradizione
di questo pilastro della tradizione dei vini ossidativi del Mediterraneo.
Piero, raccontaci la tua idea di naturale.
Il significato del termine vino naturale è molto
controverso perchè, non essendo regolamentato, si presta a diverse
interpretazioni e applicazioni. Certo è che, contrariamente a quanto vorrebbero
far credere i detrattori e scettici, nessun vignaiolo pensa, producendo vino
naturale, di fare qualcosa presente in natura. E’ ovvio che il vino non è
presente nell’ambiente ma si è scelto questo termine, diventato oramai di uso
corrente, per individuare un prodotto creato nel rispetto del territorio e
dell’ecosistema della vigna e di tutto ciò che la circonda e proteggendola
dall’inquinamento dei prodotti di sintesi e nel ciclo vitale delle piante,
favorendo quelle sinergie fisiologicamente presenti in natura. Lo stesso
discorso vale per il lavoro in cantina dove le uve devo essere lasciate libere
di esprimere il territorio e la tradizione e al massimo aiutate con quantità
minime di solforosa. Il vino non è un bene di prima necessità, non siamo
obbligati a produrlo per vivere. Artefarlo vorrebbe dire avvicinarlo ad un
gusto del consumatore voluto da un mercato, facendolo diventare una qualsiasi
merce da posizionare e non l’espressione di un territorio e della sua cultura,
declinazione della natura e dei suoi cicli.
ANTICHI VIGNETI MANCA località Badde Pira –
Sorso, Sardegna.
A Badde Pira, una delle tante colline della Romangia
di Sorso che si affacciano sul mare del Golfo dell’Asinara, si trovano le Vigne
della Famiglia Manca. Le sorelle Alessia e Noemi, col prezioso apporto di
Giampaolo Ledda, marito di Alessia, portano avanti il lavoro di diverse
generazioni di vignaioli. Loro, la scelta della naturalità, non hanno avuto
bisogno di pensarla poichè è sempre stato lo stile della famiglia. Cresciute in
uno scenario vitivinicolo, nel quale poche mani di zolfo e rame erano il
massimo dell’intervento umano, mandano avanti le vigne con l’obbiettivo
primario di migliorarne l’ecosistema e proteggere tutte le biodiversità che le
affollano. Cannonau, Vermentino, Pascale, Cagnulari sono alcuni tra i vitigni
allevati insieme a quel Retagliadu Nieddu dal quale realizzano la loro, al
momento unica, etichetta: Li Sureddi.
Chiedo a Giampaolo come vivono nella loro Azienda la
condizione di Naturali.
Preferiamo definire i nostri vini artigianali. Il
concetto di naturale ci appartiene in parte e va di pari passo con il principio
di Libertà. La Libertà di poter esprimere la nostra identità attraverso le
annate e il nostro terroir senza nessuna pressione di mercato. Ci definiamo
artigiani in quanto non abbiamo uno schema ben definito, come potrebbe essere
il biologico o il biodinamico, ma lavoriamo la terra secondo coscienza, senza
mentire a noi stessi e tantomeno ai consumatori. Dunque non trattiamo la vite
con sistemici ma solo con prodotti di contatto come zolfo e rame, anche per
facilitare, in fase di vinificazione, le fermentazioni spontanee. Ci sentiamo
custodi dei nostri antichi cloni come il Retagliadu, il Vermentino aromatico e
il Moscato.
AZIENDA AGRICOLA “SA DEFENZA” Loc. Sa Defenza –
Donori, Sardegna
Un altra squadra di giovani che hanno raccolto
l’eredità agricola dei loro antenati. Pedro, Paolo e Anna Marchi, con
l’importante apporto di Silvia, mandano avanti l’azienda di famiglia tra le
sinuose colline del Parteolla al sud della Sardegna. Lo fanno seguendo, come
poche aziende al mondo, tutta la filiera produttiva: dall’impianto delle vigne
fino alla bottiglia e al suo abito grafico, incluse la parte comunicativa e la
vendita. Quarantacinque ettari di cui 14 di superficie vitata e il resto diviso
fra frutteto, oliveto, seminativo e macchia mediterranea. I vini sono lo
specchio del loro modo di essere: freschi, creativi, liberi ed estremi quanto
basta pur mantenendo un saldo contatto con le radici. Nuragus, Vermentino,
Monica in diverse interpretazioni e con diverse strutture: dal rosso longevo,
fino al bianco con lunga macerazione sulle bucce, passando per i freschi e
dissetanti rifermentati.
Pedro Marchi, raccontaci la vostra dimensione di
produttori naturali
Naturale è una delle migliori definizioni che si possa
usare per il vino. Però è anche vero che non si può definire un vino come
naturale fino a quando non si stabiliscono delle regole. La natura ha delle regole
tutte sue e di conseguenza non può essere disciplinata. Quella relativa al vino
naturale è una visione ampia che non può essere sottoposta a regole
restrittive. E’ compito del vignaiolo portarla ad espressione per cercare di
comprenderne il funzionamento, in un patto con l’ambiente improntato sul
massimo rispetto. Per noi fare naturale è uno stato d’animo, un modo di vivere,
un ordine nel disordine, nel disordine chimico. La ricerca del puro
piacere omologato, omologante e del gusto standardizzato ha portato l’essere
umano a fare una selezione che potrebbe andare a sfavore dell’autenticità del
vino oltre che dell’ambiente. Questo è un problema per la naturalità del vino.
Se la pianta si presenta debole si sarebbe portati ad intervenire con
operazioni contrarie alla naturalità. Naturale è soprattutto una visione
agricola fondata sul massimo rispetto dell’ambiente, sul controllo della
vinificazione senza aggiunte (fatta eccezione di una minima percentuale di
solforosa che chi conosce il mondo del vino sa bene a cosa serve) e sul massimo
rispetto del bevitore finale.
AZIENDA AGRICOLA DEPERU&HOLLER Località Lu
Scupagghju – Bortigiadas, Sardegna.
Carlo Deperu e Tatiana Holler sono la rappresentazione
della conduzione famigliare a tutto tondo. Allegri e ospitali come pochi,
dividono la loro vita in comune, con due bellissimi figli, tra la loro casa di
Perfugas e l’azienda agricola che sconfina nel territorio gallurese di
Bortigiadas. Carlo, con Laurea in Enologia, è un moderno e colto contadino che
vive la campagna con passione viscerale. Tatiana, esperta di comunicazione, è
l’allegria delle sue radici brasiliane che ha integrato, senza intaccarle, con
quelle della Terra che l’ha accolta. La loro tenuta si trova in cima ad una
collina, davanti ad un paesaggio incantato, dove il fiume Coghinas si insinua
tra le pareti di una stretta gola per continuare la sua corsa verso il mare.
Cinque ettari di proprietà e uno in affitto nei quali allevano Vermentino,
Muristellu, Cannonau e Moscato con qualche parcella di Cabernet. Vini freschi e
di buona beva prodotti con un buon equilibrio tra modernità e tradizione.
Carlo Deperu, cos’è per te l’idea di naturalità nel
tuo lavoro?
Premesso che alcune persone considerano l’aggettivo
naturale utilizzabile in mille contesti, tranne che con la parola vino, mi
piacerebbe trattare l’argomento usando il sinonimo vino vero. Quindi per me,
naturali o veri, sono quei vini fatti da persone che credono in quello che
fanno e riescono a comunicare, in un calice di vino, un pensiero, un territorio,
un lavoro, dei sentimenti. Personalmente ritengo che per fare un vino vero
occorra molta sensibilità in vigna, dove il binomio uomo-natura viene troppo
spesso messo in secondo piano. Le sensazioni che si provano degustando un vino
vero mi riportano con l’immaginazione ad un territorio e a una persona con i
suoi pregi e difetti (natura madre e uomo artefice ) e se tanto mi da tanto in
un territorio con vignaioli naturali non si potranno mai assaggiare vini
uguali. La bellezza di questo mondo sta proprio nel fatto che l’uomo si
riappropria delle proprie conoscenze, contrastando le sue più grandi debolezza:
il senso di onnipotenza e la fretta, madre e padre di una bevanda che molti
chiamano impropriamente vino.
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