Come
non averci pensato prima? Eppure il nome avrebbe dovuto aiutare, da tempo, a
rendere l’operazione non solo possibile ma auspicabile. Portare il mare nel Sahel, nome che significa
riva: di fiumi, laghi e soprattutto del mare. Era elementare e, come sempre
accade in questi casi, bastava pensarci e soprattutto crederci, come nelle
migliori invenzioni. La luminosa e inedita idea viene da dove meno ci si
aspettava trovarla. Nell’accordo
di cooperazione militare, firmato nel 2017 dall’allora ministra della difesa
Roberta Pinotti e dall’attuale ministro in carica della difesa nigerino, Kalla
Moutari, il testo non lascia adito ad alcun dubbio. Nell’articolo 6
dell’accordo citato, che porta come titolo ‘Cooperazione nel campo dei prodotti
per la difesa’, si parla al primo punto della categoria degli armamenti. Il comma ‘a’ dell’accordo prevede la
collaborazione con ‘NAVI e relativi equipaggiamenti appositamente costruiti per
uso militare’. Ora, com’è noto agli abitanti del posto, nel Sahel manca l’elemento che rende
fattibile l’accordo: il MARE. Ed è qui che si inserisce la ben nota
genialità dell’italico popolo che ancora non si è svincolato dalla ragione del
ventennio fascista coloniale. Importare
il mare nel Sahel e più particolarmente nel Niger sarebbe l’ideale.
Tra neoliberalismo e apparato militare, non è una novità,
esistono simbiosi riconosciute e feconde per entrambi i contraenti. Fin dall’inizio, infatti, le
‘cannoniere’ hanno costituito uno dei pilastri del colonialismo ideologico,
economico e politico. Senza mare le cannoniere non sono praticabili e tanto meno
gli ‘equipaggiamenti appositamente costruiti per uso militare’. Ecco dunque il piano neppure troppo segreto
del ministero della difesa dell’Italia che ripudia la guerra ma non il mare.
Per un Paese di poeti, santi e ‘navigatori’ il mare è costitutivo dell’identità
dello ‘stivale’, vero ponte sospeso nel Mediterraneo. Trasportare il mare dal Mediterraneo al
Sahel, da sempre l’altra ‘riva’ in attesa del prezioso
liquido salato, appare non solo
fattibile ma anche, visti gli accordi di cooperazione navale, necessario. Cambierebbe
il paesaggio del Sahel e avremmo, oltre il fascino del fiume Niger, il mare che
potrebbe offrire nuove opportunità
ad un turismo reso inesistente dal terrorismo. Si potrebbero ipotizzare
crociere, visite archeologiche ai siti degli imperi sviluppatisi in questo
spazio e soprattutto una flottiglia in grado di contribuire alla crescita, già
importante, della regione saheliana.
Visto il vento e la polvere, anche le barche a vela
potrebbero costituire un ulteriore polo di sviluppo economico. Il G 5 Sahel, nato per combattere il
terrorismo di ispirazione islamica manipolata, potrebbe trasformarsi in una
regata internazionale che contribuirebbe a unire ulteriormente questi paesi e
le loro frontiere. Com’è noto nel mare queste ultime sono difficili a
delimitare e il rispetto delle acque territoriali potrebbe fare oggetto di
accordi già esistenti nella gestione del ‘Bacino del fiume Niger’. Non sono da escludere, come accanto
alla Somalia e nel Golfo di Guinea, attacchi di pirati. Occorre senz’altro
ricordare che le presenze militari sul posto, compreso l’uso di droni armati e
la prossima inaugurazione dell’aeroporto statunitensi per essi adibito,
potrebbe bastare a rassicurare gli investitori. Il Mare Sahel
sarebbe utilizzato anche per la mobilità di beni e persone, così come il
protocollo dello spazio della CEDEAO, nell’Africa occidentale, già
garantisce. Il traffico più
snello, con eventuali sommergibili destinati a dissuadere azioni terroriste,
non può che favorire l’apertura del Sahel al mondo esteriore. Da sempre,
infatti, lo sbocco sul mare è stato una garanzia di scambi commerciali,
culturali, linguistici e militari.
Tecnicamente
il trasporto del mare, dal Mediterraneo al Sahel, con le odierne tecnologie è
ormai del tutto fattibile. Quanto alla mano d’opera, come si poteva prevedere,
è già disponibile. Le migliaia di
migranti detenuti nei campi in Libia o altrove nelle ‘residenze’ dell’OIM,
l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, sarebbero impiegati, dietro
giusto compenso, per questo progetto oceanico. Una lunga catena
umana sarebbe organizzata, con secchi, o contenitori simili, per il travaso. I
migranti da irregolari sarebbero trasformati in ‘marinai’, con evidente
vantaggio di tutti, in particolare la Marina Militare Italiana.
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