domenica 19 febbraio 2017

L’EUROPA HA DECISO: L’ITALIA AVRA’ NON 1 MA 7 DEPOSITI DI SCORIE NUCLEARI - Gianni Lannes



Gli euroburocrati che decidono il destino del popolo italiano pensano che italiane ed italiani siano soltanto carne da macello, al massimo cavie per esperimenti non autorizzati dalla gente, ma che comunque vanno in onda sulla nostra pelle di esseri socialmente disuniti.

Dopo aver affondato impunemente per decenni centinaia di navi dei veleni e migliaia di container zeppi di scarti pericolosi delle industrie tedesche, francesi, elvetiche, olandesi  eccetera - sempre a Bruxelles si sono detti: perché scontentare Piemonte, Lazio, Campania e Basilicata, che si terranno per sempre le scorie. E non fare una sorpresa alla Sardegna?
 
«Il Deposito Nazionale sarà costituito da una struttura di superficie, progettata sulla base degli standard IAEA e delle prassi internazionali, destinata allo smaltimento a titolo definitivo dei rifiuti radioattivi a bassa e media attività».

E’ quanto è scritto a pagina 30 dell’audizione Sogin Spa, ovvero «Atto del Governo n° 58 (Gestione combustibile nucleare esaurito e rifiuti radioattivi)».
Dunque, la prima menzogna del Governo italiano è che non ci sarà un unico deposito nazionale. Infatti, per i rifiuti nucleari più pericolosi, ad alta attività o se preferite di terza categoria, è previsto un deposito di smaltimento geologico, vale a dire, nelle profondità della terra.



In passato, lo Stato italiano ha nascosto una quantità consistente di scorie nucleari, ben 350 metri cubi provenienti dalla centrale atomica militare di Pisa (Camen, già Cresam infine Cisam) nella miniera di Pasquasia in Sicilia (chiusa inspiegabilmente, seppure produttiva), dove ha operato l’Enea per un esperimento in materia di confinamento di scorie nel sottosuolo.
E’ sufficiente esaminare il primo inventario nazionale sulla contabilità nucleare redatto dall’Enea nel 2000 e successivamente dall’Apat, per appurare che dei 700 metri cubi sfornati dal reattore RTS 1, gestito dallo Stato Maggiore della Difesa, mancano oggi all’appello appunto 350 metri cubi. 

I depositi di rifiuti nucleari realizzati recentemente dalla Sogin - a Trino, Saluggia, Bosco Marengo, Borgo Sabotino, Garigliano, Trisaia - non sono “confinamenti temporanei” o momentanei, anche se le autorità, gli esperti di regime unitamente agli ambientalisti venduti al miglior offerente, lo vogliono far credere a tutti gli ingenui. Il settimo deposito di superficie sarà impiantato in Sardegna. "Tanto i sardi si vendono in cambio di qualche posto di lavoro, e poi sono già imbottiti di scarti radioattivi che dai vasti poligoni militari sono fluiti nel ciclo biologico", hanno pianificato dall'alto quelli che comandano a casa nostra, beninteso per conto terzi.
  
Altra menzogna di Stato: la quantità di scorie da allocare nel predetto sito sardo. L’ultimo inventario nucleare dell’Apat tra rifiuti e combustibile irraggiato, indica una quantità complessiva di 26.137 metri cubi. La Sogin, invece, ne ha già stimato 90 mila metri cubi. Qual è la reale provenienza di ben oltre 60 mila metri cubi di scorie atomiche? La risposta è scontata: l’Europa.

Basta una semplice ricerca e due minuti di tempo per appurare che dietro le due direttive Euratom (2009/71 – 2011/70) si nascondono nientedimeno che i soliti profittatori internazionali. La Svizzera, ad esempio, non fa parte dell'Unione europea, ma detta legge in materia di spazzatura nucleare, dopo aver già inondato il nostro Paese, con la sua incontenibile immondizia chimica e nucleare.


Agli scettici, a parte il decreto legislativo del 4 marzo 2014, emanato da Napolitano,  si raccomanda la lettura di un illuminante documento dell’Enea stilato ad uso del Governo italiano, licenziato espressamente il 3 febbraio 2014 per le Commissioni riunite Ambiente e Industria Senato della Repubblica si legge:

«All’art. 3 comma 6 vengono fissate le condizioni alle quali sono soggette le spedizioni, importazioni ed esportazioni di rifiuti radioattivi e di combustibile nucleare esaurito che possono essere smaltiti anche in Paesi Terzi con i quali siano vigenti specifici accordi sotto l’egida della Comunità. Infatti la Direttiva riconosce esplicitamente i possibili benefici di un approccio “dual track”, tendente ad affiancare alla creazione di un deposito nazionale anche un deposito geologico multinazionale condiviso, che possa essere incluso nei programmi di gestione dei rifiuti radioattivi nei vari Paesi Europei. Per quanto riguarda i rifiuti ad alta attività, l’ENEA aderisce all’Associazione privata “ARIUS” (Association for Regional and International Underground Storage, con sede in Svizzera) dalla sua creazione nel 2002, della quale ha anche detenuto per qualche tempo la presidenza e partecipa ai lavori di ERDO-WG (European Repository Development Organisation – Working Group). Tale gruppo ha la proprietà del concetto di deposito consortile europeo condiviso per quelle nazioni che, essendo dotate di modesti inventari di rifiuti nucleari, troverebbero di difficile gestione ed antieconomica la collocazione di tali materie in un deposito definitivo nazionale. La Direttiva, anche per il lavoro di sensibilizzazione svolto da ARIUS presso la Commissione Europea, considera questa opzione anche in caso di destinazione verso Paesi terzi esterni all’Unione, previo accordo con la Comunità (Ch.1 Scope, Definitions and General Principles, art.4, punto 4). Si ritiene necessario sottolineare che l’adesione dell’Italia alla costituzione del consorzio ERDO (European Repository Development Organisation) per lo sviluppo di un deposito geologico profondo regionale condiviso in ambito europeo è una opzione importante sia dal punto di vista politico, che dal punto di vista dell’accettabilità sociale; prevede una strategia ed una decisione a livello istituzionale, anche alla luce di quanto avvenuto in Italia con l’esito del referendum che ha, di fatto, sancito la chiusura del programma nucleare nel nostro Paese e, quindi, il proprio inventario dei rifiuti radioattivi rimarrà nei prossimi anni pressoché stabile».

Esaminando una miriade di carte ufficiali (Governo, Sogin, Enea, Unione Europea, Iaea) è facile rendersi conto che dietro a tutto si profila un unico intento, mascherato a parole dalla sicurezza ambientale, vale a dire, il profitto economico a tutti i costi quel che costi.

Dagli anni ’50 non è cambiato nulla, sempre a prendere ordini dagli “alleati” angloamericani. Nel 1959 ad Ispra in provincia di Varese, viene allestito il primo reattore nucleare (impianto di ricerca poi regalato all’Europa): è la premessa per la produzione di energia generata dall’atomo, senza valutare le conseguenze ambientali e sanitarie, sul territorio e da danno della popolazione. Così l’Italia eterodiretta per volere di Washington innalza le sue centrali in luoghi inidonei, con il fine certo di produrre energia elettrica, ma al contempo plutonio, utile per le bombe atomiche. Latina con il reattore a grafite e uranio. Trino Vercellese e Garigliano alimentate dall’uranio arricchito. Nel 1980 giunge anche Caorso, in mezzo al Po, un impianto che funziona con gli stesso combustibili del Garigliano. Nel frattempo, dal 1963 è attiva anche la centrale nucleare militare, ovviamente segreta del Camen, oggi Cisam, ed una miriade di reattore nucleari di ricerca: università di Palermo, Milano, Padova, Pavia. L’Italia non aveva e non ha una politica ecologica  di smaltimento della spazzatura nucleare. Non a caso - attesta la banca dati internazionale Iaea - nel 1967 inabissa i primi 23 metri cubi di scorie nucleari, consentendo in seguito ad alcuni Stati europei che vanno per la maggiore (Germania, Francia, Svizzera, ad esempio) di inabissare nel Mediterraneo di tutto e di più.

A metà degli anni '60 il Governo italiano realizza in Basilicata il primo cimitero nucleare, mascherandolo con un centro di ricerca, prima del CNEN, poi dell'ENEA. Alla Trisaia, a parte l'Itrec, ha operato attivamente l'Eni con una fabbrica di combustibili nucleari in società con un'azienda del governo inglese, ossia l'UKAEA. Le 86 barre dell'Elk River cedute da Washington - 20 soltanto riprocessate - sono ben altra cosa cosa, ovvero il ciclo uranio-torio. L'Eni ai magistrati ha sempre negato la produzione di plutonio alla Trisaia. Ma a luglio del 2013, in un'operazione quasi segreta, sono stati portati via da questo centro atomico in Lucania, ben 20 chilogrammi di uranio e plutonio, poi imbarcati su una nave diretta negli Stati Uniti d'America. Obama al recente vertice europeo di fine marzo ha ringraziato i maggiordomi della repubblichetta delle banane, per la cessione gratuita del materiale strategico. Appunto: quanto plutonio è stato prodotto dalle 5 centrali nucleari italiane? A proposito mister Napolitano, dove è finito?

Ma chi si è arricchito realmente con l'affarone dell'atomo nel belpaese? Vediamo un pò: prevalentemente società nordamericane e inglesi: General Electric, Westinghouse, Abb, Ukaea, Eni, Enel, Fiat. A pagare in termini economici nonché di perdita di salute è soltanto la popolazione, che non ha avuto benefici di alcun genere. Infatti l’attività di decomissioning viene finanziata dall’ignaro contribuente italidiota attraverso la componente A 2 della tariffa elettrica (la bolletta della luce). Lo hanno stabilito il Decreto interministeriale 26 gennaio 2000, la legge 83 del 2003 e il decreto interministeriale 3 aprile 2006.

Nel 1999 lo Stato ha inventato la Sogin un eufemismo, il cosiddettodecommissioning, inserendola nel portafoglio del ministero del tesoro. Nel 2010 la Corte dei Conti ha bocciato la gestione Sogin, oggi in nettissimo ritardo sulla tabella di marcia. In ogni caso, le ecomafie di Stati e le multinazionali del crimine ringraziano lo Stato tricolore. Tanto pagano sempre i "fessi". A proposito Matteo Renzi, che ne sarà della centrale nucleare della Difesa, in riva al Tirreno in quel di Pisa?




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http://www.earth-prints.org/bitstream/2122/1142/1/Amorino-Quattrocchi.pdf


http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/2014/04/leuropea-ha-decretato-che-litalia-avra.html

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