La “prima volta” è arrivata anche per il governo del cambiamento. Al
termine di un Consiglio dei Ministri convocato con urgenza lunedì scorso, la
maggioranza gialloverde, a dispetto di tutti i proclami contro i governi
precedenti, giudicati “al soldo delle banche”, ha approvato il suo primo
decreto salva-banche.
Questa volta riguarda la Cassa di Risparmio di Genova (Carige), le cui
difficoltà finanziarie sono facilmente riassumibili, scorrendo le
motivazioni della sentenza con cui il Tribunale di Genova ha condannato l’ex
Presidente Berneschi e il suo braccio destro Ferdinando Menconi, ex capo del
settore assicurativo, rispettivamente a 8 e 7 anni di reclusione.
Vi si legge infatti: “ (..) Il
maggiore gruppo bancario ligure è
stato condotto al progressivo depauperamento attraverso un minuzioso e costante
disegno truffaldino, architettato da un comitato d’affari occulto, che come
obiettivo aveva unicamente l’arricchimento personale. Un vero e proprio
gruppo criminale che sfruttava le proprie posizioni apicali, aveva appoggi
internazionali e si appoggiava sistematicamente su paradisi fiscali e banche
offshore”.
Il disastro che è seguito, argomentano i magistrati,
era già scritto nella concentrazione di potere nelle mani del padre-padrone,
depositario di un potere che, secondo Bankitalia, “raramente si è visto nelle mani di un amministratore, ed è stato
esercitato con modalità disinvolte e spregiudicate”.
E quando il disastro si realizza, chi deve porvi rimedio se non la
collettività?
Il decreto approvato
rispecchia lo schema di quanto messo in atto dal governo Gentiloni in merito
alla vicenda delle banche Popolari Venete e del Monte dei Paschi di Siena,
prevedendo garanzie pubbliche sui titoli emessi dalla banca fino all’ipotesi di
una sua ricapitalizzazione da parte dello Stato. E, come
ogni altra volta nella quale il pubblico si è precipitato in soccorso di una
banca, anche questa volta dai guardiani dell’Ue è prontamente arrivato il nulla
osta a procedere.
Solo per dare un’idea di cosa si stia parlando, vale
la pena ricordare come, secondo i dati ufficiali della Commissione europea,
dallo scoppio della crisi ad oggi gli Stati membri dell’Unione Europea abbiano
stanziato 1.400 miliardi di euro solo
per ricapitalizzare le banche in crisi e coprirne le perdite, una cifra
pari a 10 anni del bilancio con cui l’Ue finanzia tutti i suoi programmi
comunitari.
La rivista Valori (https://valori.it/ ) ha provato a ipotizzare
cinque esempi di come si sarebbero potuti utilizzare quei soldi:
a) garantire 1000
euro al mese per un anno a tutti i cittadini europei a rischio povertà (117,5
milioni di persone).
b) assicurare
per 20 anni i fondi necessari per raggiungere i Millennium Development
Goals ONU (la Banca mondiale stima in 40-60 miliardi di dollari
i fondi aggiuntivi necessari come aiuti esteri).
c) assicurare per 14 anni, i 100 miliardi necessari per salvare il
mondo dalla catastrofe climatica
d) garantire
assistenza a tutti i rifugiati e richiedenti asilo europei per 30 anni (attualmente
l’Europa ospita 2,3 milioni di rifugiati cui si sommano 1,26 milioni che hanno
fatto richiesta di asilo).
e) aumentare di 66 volte il piano Juncker per gli
investimenti strategici (il capitale dello European Fund for Strategic
Investments è di 21 miliardi) che secondo i calcoli della
Commissione europea, avrebbe prodotto, già con la dotazione attuale, 750mila
posti di lavoro e incrementato il Pil europeo dello 0,6%.
Ma oltre a tutto quanto detto sopra, resta una considerazione
di fondo: quando si inizierà ad accompagnare ai salvataggi con soldi pubblici
delle banche private, una strategia politica che rimetta il sistema
bancario e finanziario dentro l’interesse generale e il controllo democratico e
popolare?
Quando si metterà finalmente
mano a Cassa Depositi e Prestiti per riportare i 250 miliardi di risparmio
postale dei cittadini alla vocazione originaria di leva per il finanziamento
agevolato degli investimenti dei Comuni e delle collettività locali in direzione di un altro modello di città e di territorio?
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