Il tema è
non rubare: un comandamento su cui non sembrerebbe esserci molto da discutere.
Nell’accezione comune è l’imperativo
a non impossessarsi delle cose altrui. Il mondo ridotto a due soli
schieramenti: chi possiede e chi ruba. I primi da tutelare, i secondi da
perseguire. Ma nella sua udienza del 7 novembre Papa Francesco ha rovesciato il
tavolino e invece di parlare del furto ci ha
parlato del possesso. Quasi a volerci dire che a seconda delle
condizioni, il possesso può essere la prima forma di tradimento della volontà
di Dio. Per partire ci ha ricordato che la dottrina sociale della Chiesa parla
di “destinazione universale dei beni” a significare che ”i beni della creazione sono destinati a
tutto il genere umano”. E se in questa prospettiva anche la
proprietà privata trova la sua funzione e la sua legittimità, Papa Francesco ha
precisato che “ogni ricchezza per
essere buona deve avere una dimensione sociale”. Sorprendente analogia
con l’articolo 43 della nostra Costituzione che impone alla legge di
regolamentare la proprietà privata in modo da “assicurarne la funzione sociale
e renderla accessibile a tutti”.
Se fossimo
riusciti ad interpretare il comandamento di non rubare in forma più estensiva,
non come mera difesa di ciò che individualmente ciascuno ha
accumulato, ma soprattutto come difesa di ciò che è
proprietà di tutti,l’umanità non si troverebbe a fare i conti con le
problematiche ambientali e sociali che oggi ci sovrastano. L’Italia
sta ancora facendo la conta dei danni provocati da due settimane di maltempo
che hanno distrutto migliaia di ettari di boschi, allagato intere vallate,
spazzato via case e strade, spezzato vite umane di ogni età. Il dito è puntato
contro la malvagità della natura che senza guardare in faccia a nessuno,
abbatte la propria forza contro chi capita. Ma
sappiamo che nelle nostre regioni le piogge torrenziali e i venti di tipo
monsonico sono il frutto del surriscaldamento terrestre provocato da un eccesso
di produzione di anidride carbonica, a sua volta conseguente al furto
messo in atto da poche generazioni che nel giro di 150 anni hanno preteso di
bruciare ciò che madre terra ci ha messo milioni di anni per produrre. Esito
aggravato da un eccesso di cementificazione e di gestione distorta di boschi e
agricoltura. In ogni caso tutte conseguenze di
un’idea di possesso dove esiste solo l’interesse immediato del suo proprietario
sganciato da qualsiasi responsabilità verso la collettività. Così ci stiamo macchiando del peggiore dei furti che
è quello di togliere prospettive di vita alle generazioni che verranno.
Papa
Francesco ci dice che l’unico modo per uscirne è
smettere di considerarci padroni e cominciare a concepirci come amministratori: “Nessuno
è padrone assoluto dei beni, bensì un amministratore della Provvidenza”. Che
tradotto significa cominciare a prendere consapevolezza che viviamo in un mondo
dalle risorse limitate e che dobbiamo amministrarle avendo sempre ben chiaro
che oltre a doverne lasciare per le generazioni che verranno, dobbiamo anche
permettere ai tre miliardi di impoveriti di uscire rapidamente dalla loro
situazione di miseria. Papa Francesco ci ha ricordato ancora una volta che se
oggi esiste quasi un miliardo di affamati non è perché non si produce
abbastanza cibo, ma perché è distribuito male. In altre parole l’economia
mondiale è basata su regole così assurde da avere trasformato un terzo della
popolazione mondiale in scarti inutili da qualsiasi punto di vista, un terzo in
persone utili solo come lavoratori forzati e un terzo come super
consumatori. Questo apartheid
sociale può essere superato solo con nuove regole che mettano fine ai furti di
dignità che si concretizzano tramite il pagamento ai
lavoratori di salari indegni, il pagamento ai piccoli produttori di prezzi
infami, l’estromissione dei pastori e contadini dalle loro terre, la fuga dei
capitali nei paradisi fiscali, l’imposizione di regole draconiane agli stati
indebitati.
Ma l’emergenza ambientale ci ricorda che per
riportare l’equità non è più sufficiente concentrarci sulle regole. Serve anche la capacità dei paesi ad alto reddito pro
capite di fare un passo indietro rispetto all’uso delle risorse e alla
produzione di rifiuti. In altre parole dobbiamo smettere di ripetere come
dischi rotti che dobbiamo puntare a crescere e cominciare a dire che dobbiamo
produrre, lavorare e consumare in maniera diversa in modo da garantire a tutti
di vivere dignitosamente pur utilizzando meno risorse e producendo meno rifiuti.
Solo così dimostreremo di avere imparato a declinare in maniera corretta il
comandamento di non rubare.
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