Vendiamo le
migliori cipolle del Sahel. Per imparare a piangere più in fretta quando
occorre. Vendiamo carne di ottima qualità,
troppo cara per le famiglie povere dei quartieri della capitale Niamey. Nel
mentre si progetta di costruire una delle macellerie con le celle frigorifere
più importanti della regione. Vendiamo
la sabbia a chiunque voglia installarsi, con garbo, nello spazio
saheliano. Del vento neppure a parlarne: arriva
gratuito e dunque si offre a prezzo scontato, secondo le circostanze.
E’offerto a cittadini e residenti occasionali quasi a ogni stagione dell’anno.
Il turismo, lui pure in vendita, è stato spazzato via dalla storia dei
rapimenti di occidentali e dai gruppi armati del Nord del paese che della non
pace hanno fatto il loro business.
Vendiamo migranti ai migliori acquirenti della
piazza. Agenzie
umanitarie, ONG improvvisate al momento, associazioni, club amatoriali,
giornalisti d’inchiesta, ricercatori, antropologi, autisti, commercianti
all’ingrosso e al dettaglio, militari e strateghi. Tutti in cerca di
loro, meglio se irregolari, illegali e
clandestini: saranno meglio apprezzati dal mercato. Gli specialisti di
diritti umani, quelli per curare i traumi post migratori, gli addetti al
rimpatrio, gli assistenti sociali, i salvatori del deserto col telefono
giallo-sabbia e infine coloro che denunciano gli abusi nei campi di detenzione.
Ad ognuno il
suo tornaconto e i fondi per alleviare le conseguenze delle politiche
migratorie. Un mercato senza fine, se
mettiamo insieme gli addetti ai controlli del territorio.
Vendiamo agli interessati la nostra posizione
strategica. Nel cuore
del Sahel, appena sotto la Libia contesa e divisa per convenienza, l’Algeria
che deruba e espelle migranti, rifugiati e affini, e financo del Mali che è
come l’autostrada della cocaina, delle armi e dei gruppi armati. La Nigeria che
grazie a Boko Haram trova argomenti sempre attuali per aggiungere armi e
capitali alle sue truppe. Il Burkina Faso che esporta il tradimento della
rivoluzione e ai confini col Niger c’è una terra di nessuno da occupare. Gli
esperti militari fanno incontri, piani, progetti e domandano finanziamenti per
intervenire. Tanto finché c’è guerra c’è speranza che tutto cambi affinché
tutto rimanga come prima. Siamo
una garanzia di stabilità in un contesto friabile, minaccioso e dunque idoneo a
rassicurare gli investitori occidentali e cinesi del Sahel.
Vendiamo con consumata perizia le nostre frontiere. Milioni di euro per formare i
nostri addetti ai controlli. Ora si stanno organizzando persino strutture
mobili che, nel deserto di sabbia e di sassi, potranno catalogare, individuare,
classificare e schedare per sempre coloro che oseranno passare le frontiere
senza il permesso di farlo. L’Olanda con 4 milioni di euro e la Germania con 6
hanno recentemente promesso di finanziare le compagnie mobili per il controllo
delle frontiere (CMCF). La lotta alla criminalità e quella alla migrazione
irregolare sono equiparate, assimilate e infine soldati. Il finanziamento del
progetto si inscrive nel quadro delle azione dell’Unione Europea nel Niger come
gesto politico ‘forte e inequivocabile’.
Vendiamo, infine, quello che mai dovremmo vendere.
La dignità di un popolo di sabbia che meriterebbe ben altro che l’ultimo posto
nell’indice di sviluppo umano. Vendiamo la politica, la sovranità, l’economia,
la storia e il futuro dei figli nati in questa porzione di mondo. Vendiamo ciò
per cui altri hanno dato la vita, per quanti hanno creduto in un Paese più eguale, per
chi, anche solo per una stagione, ha sperato che la storia prendesse un’altra
direzione. Vendiamo persino Dio a
coloro che sono persuasi di sapere meglio di Lui cosa significhi essere
credenti. Vendiamo ai commercianti di turno le
parti migliori della Costituzione che riconosce in ogni cittadino
il depositario della sovranità. Vendiamo,
senza battere ciglio, quanto rimane della giustizia che una volta
sembrava spuntare dalle indipendenze.
L’unica
realtà che non si può vendere nel Paese è la sofferenza dei poveri perché non
ha prezzo.
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