All’inizio
tutto è solo sabbia. La linea arriva subito dopo da mano divina per delimitare
lo spazio e l’identità delle sue creature. Il solco si trasforma in ferita per l’uccisione di un fratello ad opera
del fratello. Caino e Abele firmano sulla sabbia la prima frontiera conosciuta.
Da allora in poi una linea nella sabbia accompagna l’umana avventura fino ai
nostri giorni. Quella che attraversa il mondo non è che una
continuazione delle precedenti. Linee tracciate per generazioni tra guerre,
armistizi, piste carovaniere per schiavi, concubine e mercanzie. Su queste
linee sono passate, spesso assieme agli eserciti, idee, culture, navi e
religioni. Le nostre invece no.
Nel Sahel abbiamo innumerevoli linee nella sabbia che si cancellano dopo averle
create. Se ne fanno di nuove ogni giorno che passa. Sono linee irregolari
tracciate da pneumatici di fuoristrada che assomigliano al primo solco. Solo
sono i nomi e il numero dei fratelli che hanno cambiato.
Alcune
linee arrivano a destinazione. Partono da una riva, proprio ciò che il nome
Sahel significa, per raggiungerne un’altra. Da lì, come per magia, la linea si
getta nel mare e diventa una scia, una cometa, un gorgoglio, un’onda come le
altre. Le linee nella sabbia e le
linee nel mare si cancellano entrambe dopo essersi faticosamente inseguite. Non
risultano registrate da nessuna parte. Si trovano invece nelle punteggiature
colorate nelle cartine dei movimenti delle migrazioni irregolari in Africa al
sud di Lampedusa. Sono talvolta stimate dalle Agenzie specializzate
nelle statistiche del nulla, che prosperano come mai nelle nostre zone. Altre invece no. Non arrivano da nessuna
parte perché si perdono prima. Devono scappare, nascondersi, evitare trappole e
controlli di milizie pagate per fermarne il tracciato. Sono linee interrotte
nel deserto di pietra e di sabbia. Quando due di queste linee si
congiungono perdendosi formano in genere una croce di sabbia.
Una linea nella sabbia unisce tra loro i paesi nei
bassifondi della classifica dell’umano sviluppo. Stilato dall’apposito Ufficio delle Nazioni Unite ne
conferma il tracciato. Ultimo il
Niger dove una linea di sabbia diventa strada di laterite tra le
foreste che la uniscono al Centroafrica distrutto
dalla guerra. Sale al Sudan del
Sud che, ultimo nato tra i Paesi del globo, ha la sfortuna di possedere
petrolio in quantità. Proprio come il Tchad che cambia la linea nella sabbia in condotti per
esportare il petrolio ad uso cinese controllato e garantito. Il tracciato
termina nel Burundi,
quint’ultimo della classifica, che gioca coi fantasmi del passato per paura del
presente. Linee irregolari, clandestine, inaffidabili e inaccettabili per chi
vorrebbe che il mondo continui a girare dalla stessa parte, l’unica giusta per
loro. Le linee perse nella sabbia
sono una delle ultime occasioni per cambiare la direzione delle stagioni della
storia. Seguendole passo a passo si arriva da noi.
Siamo diversi da voi. Non facciamo ponti levatoi,
palizzate o muri di mattoni. Non scaviamo fossati o trincee dietro le quali
barricarci per paura dei barbari. Facciamo a meno dei vostri permessi di soggiorno
temporaneo a chi vi offre garanzie di tranquillità. Ripudiamo i vostri trattati
e le alleanze rinnovabili a vostro piacimento. Non ci illudono le vostre promesse di solidarietà umanitaria e neppure i
vostri discorsi sui diritti umani. Vendete armi ad entrambi i belligeranti e
poi li fate sedere al tavolo di pace da voi presieduto. Credete, siamo
diversi da voi. Ci limitiamo a scrivere sulla sabbia e a tracciare una linea
che il vento cancella al suo passaggio. Su questa linea inesistente fabbricate
reticolati e piazzate sensori pronti a ringhiare come cani addestrati alla
caccia di stranieri. Formate addetti per i controlli di una frontiera che
avete deciso di costruire per dare lavoro alle vostre imprese coloniali. Date
soldi ai nostri politici perché allontanino ogni traccia possibile della linea
scavata nella sabbia. Non vi siete
accorti che dalla linea di sabbia hanno incominciato a nascere alberi e fiori.
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