PER UNA
SCUOLA CHE CONTRIBUISCA
ALLA
COSTRUZIONE DI UNA SOCIETÀ APERTA
A PARTIRE
DAL RICONOSCIMENTO RIGOROSO
DELLA
DIGNITÀ DI OGNI ESSERE UMANO.
Nel 70° anniversario, ripartiamo dalla Carta
universale dei diritti dell’uomo
Care
colleghe e colleghi insegnanti,
come tanti
mi domando in questi mesi cosa sia possibile fare per arginare
la crescente intolleranza verso chi emigra nel nostro paese.
Come educatore, non posso tollerare che una ragazza di Milano che ha il padre
africano confessi a sua madre che ha paura a uscire di casa. Il clima nel nostro paese sta mutando a
una velocità impressionante e credo che, per contrastare il veleno del
razzismo, noi insegnanti siamo chiamati a ripensare in modo radicale il nostro
ruolo, perché abbiamo responsabilità ineludibili riguardo alla difficile
costruzione di una società aperta.
A scuola ci
troviamo in una situazione delicata, ma in qualche modo privilegiata. Ogni giorno, infatti, ci troviamo a
lavorare in classi multietniche che rendono necessario il nostro
ruolo di mediatori attenti e di costruttori di una cultura della convivenza,
dai nidi alle superiori.
La scuola italiana è abitata da spinte divergenti. Da un lato è certamente il luogo
pubblico di maggiore accoglienza e integrazione dei figli degli immigrati e,
prima in Europa, da quarant’anni anni accoglie alunni portatori di disabilità,
dall’altro tollera ancora al suo interno situazioni in cui vengono messe in
atto piccole e grandi discriminazioni inaccettabili.
Non è facile
e non sempre siamo all’altezza dei compiti che ci affida la Costituzione,
quando invita a “rimuovere gli ostacoli” che “impediscono il pieno sviluppo
della persona umana”. Eppure giorno dopo giorno, spesso a fatica, in decine e decine di migliaia cerchiamo
di trasformare le nostre classi in piccole comunità aperte, capaci di
non escludere nessuno.
Non dobbiamo dimenticare mai che il fascismo, prima
di essere movimento politico, crebbe nel diffondersi di una mentalità. E che la mentalità intollerante e
razzista stia crescendo intorno a noi è un dato di fatto.
Le scuole sono luoghi in cui sperimentiamo la
complessa arte della convivenza
Le nostre
scuole sono uno dei pochi spazi in cui in tante e tanti sperimentiamo con
continuità e convinzione la costruzione di frammenti significativi di quella
complessa arte della convivenza di cui abbiamo assolutamente bisogno.
Gli esiti
sono contraddittori e disuguali e non sempre ne abbiamo la consapevolezza
necessaria. Per questo dobbiamo
moltiplicare le occasioni per incontrarci, cooperare, studiare e progettare una
scuola all’altezza dei compiti dell’oggi.
È urgente e
importante far conoscere in tutti i modi possibili il lavoro e l’impegno di
bambini e ragazzi che, insieme ai loro insegnanti, soprattutto in territori
difficili, danno vita a rari e preziosi presidi di democrazia. Luoghi di costruzione culturale
capaci di non separare l’apprendimento dell’italiano e di un suo uso
consapevole, lo studio approfondito di matematica, scienze, storia, lingue,
arti e movimento, con lo sviluppo di una capacità di ascolto
tra diversi, con una frequentazione del dialogo e
dell’argomentare rigoroso, capace di
dare spazio al confronto tra idee diverse.
Per fare tutto ciò c’è bisogno di un tempo lungo e
disteso e dunque dobbiamo compiere scelte radicali, diminuendo la quantità di
contenuti e aumentando i momenti di ricerca e di approfondimento, verificando e dando peso ai dati e
prendendoci cura delle parole che usiamo, all’opposto di ciò che
prevalentemente si fa oggi nella società e nei media.
La geografia che oggi
abita le nostre classi ci offre una possibilità inedita di riflettere e ricercare
intorno allo stato della condizione umana nel pianeta che abitiamo. Se abbiamo
la capacità di sostare a lungo attorno a domande cruciali, memorie di lingue diverse e molteplici
storie possono intrecciarsi e ravvivare lo studio, aiutandoci a comprendere meglio
ciò che si muove nel mondo.
Dobbiamo
assumerci la responsabilità di dare un ampio respiro culturale a ciò che
sperimentiamo quotidianamente nelle scuole. Dobbiamo coordinare i nostri sforzi
perché le tante piccole scoperte che andiamo facendo possano crescere,
diffondersi e, soprattutto, dare coraggio a chi subisce le pressioni di una
società sempre più chiusa.
Da
trent’anni nel nostro paese si insulta e si denigra la cultura. Si tagliano fondi alle
biblioteche, alla ricerca, alla scienza e alla preservazione attenta dell’arte
e del paesaggio. Le conseguenze le paghiamo ogni giorno, perché prendersi cura
del territorio, così come del discorso pubblico, è un processo che richiede
tempo, impegno, intelligenza, dedizione e tanto lavoro, mentre per distruggere
basta un decreto o un tweet indecente ad effetto.
Il ruolo di
chi insegna è oggi sottovalutato e spesso vilipeso. Ma paradossalmente, proprio
in questa situazione di estrema difficoltà, possiamo ritrovare le ragioni e il
senso del nostro operare, che deve nutrirsi di una visione di ampio respiro eandare necessariamente oltre i muri
della scuola.
Solo la costruzione di una società multietnica
capace di ascolto reciproco ci può aprire al futuro
Diversità è
bellezza è uno slogan che rischia di essere retorico. Va riconosciuto
francamente che diversità è anche fatica, percorso lungo di avvicinamento da
affrontare con determinazione e lungimiranza. A partire dalle scuole siamo
chiamati oggi a dimostrare che l’inevitabile società multietnica e multiculturale
in cui viviamo e sempre più vivremo, può essere più ricca, stimolante e aperta
al futuro, dunque più vivibile e sicura, di una società chiusa in se stessa,
impaurita e rancorosa.
C’è bisogno
di una persuasione convinta e di un impegno straordinario da parte di noi
insegnanti perché mai come oggi l’educazione e la
sperimentazione sociale vengono prima della politica, largamente
screditata, specie tra i più giovani. È una sfida a cui non possiamo sottrarci
che può coagulare nuove energie e ravvivare entusiasmi, aiutandoci a ridare
senso e respiro al nostro mestiere.
Abbiamo il dovere di preservare, migliorare e
ampliare la capacità inclusiva delle nostre scuole sapendo che tutto ciò non è possibile, senza una
contemporanea capacità di influenzare il discorso pubblico, senza dare un
contributo culturale ampio per affrontare i nodi della convivenza tra diversi.
L’arretramento
culturale di cui siamo testimoni mina le fondamenta della nostra convivenza
civile, conquistate con la Resistenza e delineate nella nostra Costituzione e nella Dichiarazione universale dei diritti
umani.
Ci sono
voluti 68 milioni di morti, di cui 43 milioni di vittime civili, perché 192
stati del nostro pianeta arrivassero, al termine della seconda guerra mondiale,
a sottoscrivere una dichiarazione universale in cui si afferma solennemente che
“Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”. In
quella dichiarazione, votata esattamente 70 anni fa, il 10 dicembre del 1948,
nell’articolo 7 si afferma che “Tutti sono eguali dinanzi alla legge, tutti
hanno diritto ad una eguale tutela contro ogni discriminazione, come contro
qualsiasi incitamento a tale discriminazione”.
Nelle nostre
città e in tutta Europa si torna a parlare di confini da presidiare e difendere
come non accadeva da decenni. Si
alzano muri, steccati e fili spinati e si chiudono porti. La parola invasione
viene rilanciata di continuo nei media e nel discorso pubblico a dispetto di
numeri e dati. Ma di fronte ad un incitamento alla discriminazione, che non aveva
mai avuto sostegno all’interno delle istituzioni repubblicane, non bastano
denunce ed appelli, pur necessari. Dobbiamo rendere sempre più le nostre scuole
luoghi di costruzione culturale consapevole e cosciente, capaci di testimoniare
che è possibile, utile ed efficace non escludere nessuno.
Per un’alfabetizzazione alla compresenza nel nome di
Erodoto
Le
differenze culturali e di abitudini possono essere profonde, ma non dobbiamo
dimenticare i tanti aspetti elementarmente umani che ci accomunano tutti. Il
problema è che barriere e pregiudizi si possono
attenuare solo se si ha l’occasione di incontrarsi e di fare qualcosa insieme,
non limitandosi a guardarsi in cagnesco, da lontano.
In questo
processo di avvicinamento la scuola può svolgere un ruolo fondamentale, perché
è l’unico luogo dove obbligatoriamente tutti i bambini e i ragazzi convivono e
si scambiano esperienze. Ecco allora che anche un nido comunale può essere un
luogo di conoscenza e di scambio tra madri di diverse culture, che forse hanno
molto da insegnarsi le une con le altre, come alcuni esempi positivi
dimostrano.
Dalle scuole dell’infanzia alle superiori, solo
intrecciando memorie, vite ed esperienze si può ambire alla costruzione di una
società aperta, in cui si riescano ad attenuare le paure guardando oltre.
La scuola non può non essere al centro di questo
difficile processo, perché è qui che compiamo la nostra prima alfabetizzazione alla compresenza ed è
qui che possiamo elaborare un convinto e
convincente elogio della disomogeneità, impegnandoci a dimostrare che tra
diversi si impara meglio, anche se all’inizio può apparire più difficile.
Nonostante
guerre, scontri e invasioni, il mar Mediterraneo è
stato culla di ricche civiltà perché era facilmente navigabile e da sempre ha
favorito ogni genere di scambi. Non
c’è crescita culturale senza un continuo attraversamento di confini.
Erodoto, il
primo storico, era figlio di una greca e di un persiano. Figlio di due popoli
in guerra tra loro. È dal suo sangue misto che è nato uno degli ambiti di
ricerca più ricchi di futuro, perché capace di far tesoro delle memorie più
diverse.
Una proposta concreta per l’anno scolastico che
inizia
Il Movimento
di Cooperazione Educativa ha promosso il tavolo di lavoro “Bambini, migranti,
umanità”, a cui hanno già aderito oltre trenta associazioni (tra cui la
redazione di Comune,
ndr).
Concretamente
si tratta di raccogliere e coordinare più forze ed energie possibili. Invitiamo singoli insegnati, colleghi di
classe o di scuola, interi collegi di docenti perché promuovano o aderiscano a
iniziative molteplici, che dobbiamo inventare e sviluppare insieme nell’intero
anno scolastico a partire dall’autunno costruendo, intorno al 10 dicembre,
momenti pubblici e corali capaci di ricordare, rilanciare e festeggiare i 70
anni della Dichiarazione universale dei diritti umani, dentro e fuori le scuole.
Studiare in
modo partecipe e approfondito questo fondamentale testo collettivo, così come
tornare alle parole della nostra Costituzione, ci può aiutare a ragionare in
positivo, costruendo dal basso la capacità di
avere uno sguardo attento e critico verso ciò che accade intorno a noi,
offrendo a bambine e bambini, a ragazze e ragazzi strumenti per intendere le
dinamiche lunghe della storia senza restare intrappolati nelle angustie del
presente. La scuola può e deve coltivare la lungimiranza necessaria a
immaginare e costruire un futuro di apertura e inedite compresenze e
convivenze, se saremo capaci di difenderci dai veleni dell’intolleranza.
Tre date possono scandire momenti di ricerca dentro le
scuole e momenti pubblici in cui confrontarci: il 3 ottobre, giornata che il Parlamento
italiano, con voto unanime, decise di dedicare alla Memoria delle vittime
dell’emigrazione, il 20 novembre,
anniversario della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e
dell’adolescenza, e il 10
dicembre, in cui ricordiamo i 70 anni della Dichiarazione universale dei
diritti umani.
Per un primo
scambio di informazioni sulle iniziative si può consultare il sito del MCE .
Il coordinamento che ha dato vita lo scorso anno alle iniziative a favore dello
Ius soli e dello Ius culturae mette a disposizione la pagina del gruppo
facebook “Insegnanti per la cittadinanza”.
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