“Noi interveniamo dopo la primissima fase
dell’emergenza – dice Virginia, giovane geologa di origini spagnole
– dopo il momento degli aiuti di prima necessità. Dopo che è passata
l’ubriacatura delle donazioni, del paternalismo, della propaganda governativa.
Dopo. Quando si comincia a dimenticare che oltre 80 mila abitazioni sono state
danneggiate, di cui 22 mila in modo irreparabile, che migliaia di persone e
famiglie sono rimaste senza casa, sussistenza, piegate dagli eventi,
impaurite”.
A sei mesi
dal drammatico sisma del 7-8
settembre 2017 che ha investito il Chiapas (e gli stati di Oaxaca e
Tabasco), un gruppo eterogeneo di saperi professionali, quasi esclusivamente al
femminile, si autoconvoca, sparge la voce, raccoglie adesioni e si costituisce
in collettivo. Si chiama Bioreconstruye
México Chiapas e, assieme ad altre associazioni, fa parte di
un’ampia piattaforma di mobilitazione civile impegnata nella ricostruzione
post-terremoto.
Professioniste e professionisti di varie discipline,
spogliati del sussiego accademico, decidono di prendersi cura delle zone di San
Cristóbal De Las Casas, di Pijijiapan e Tonalà sulla costa del Chiapas, tra le
località più colpite. Lo scopo è
andare oltre le necessità dell’emergenza e dell’assistenzialismo, per sostenere l’auto-ricostruzione e
rafforzare la resilienza delle comunità, in modo che sviluppino una
propria risposta immunitaria agli eventi che possono minacciarle, stimolando
modi di vita sostenibili nel rispetto e tutela della natura.
.
Coordinato
da Mariana, architetta permaculturale, il gruppo chiapaneco ha accolto paure,
desideri, conoscenze tradizionali. “Prima di tutto bisogna ascoltare: le persone sanno di cosa hanno
bisogno, hanno competenze e sapienza, conoscono il loro territorio e il suo particolare linguaggio”. Da questo ascolto
si avvia una ricostruzione partecipata assieme alle comunità. Una ricostruzione
fisica, ma soprattutto psico-sociale, delle economie, della fiducia. Ci si cura
“della casa e del cuore”.
La prima
preoccupazione è naturalmente quella di assicurare un “rifugio” permanente. La
chiamano casa semilla, la casa-seme, la
cellula della ripresa della normalità della vita. Si tratta di un modulo
abitativo base, la cui composizione varia a seconda delle esigenze specifiche e
delle abitudini locali. Di rapida costruzione, usa materiali del luogo e tecniche bioedilizie:
predilige l’argilla al cemento, mattoni crudi, intelaiature in legno piuttosto
che armature di ferro, garantendo un alto grado di antisismicità e salubrità
alle strutture. Il gruppo accompagna leconsulte
comunitarie, la pianificazione e la progettazione con le proprie
competenze professionali, scientifiche e umane, assicurando accesso a
informazioni e soluzioni integrate a basso impatto. Quando si parla di
biocostruzione “È la Pacha Mama il fornitore”, dice Polette, responsabile del
Centro dei Diritti Umani Digna Ochoa che sostiene il progetto.
.
“Il
principio base è coinvolgere le persone in processi partecipati inclusivi non
solo sulle scelte, ma anche negli interventi operativi. Tutti i membri delle
famiglie contribuiscono. Le scelte rispettano i desideri e le usanze degli
abitanti, gli interventi rispettano le tradizioni, le tecnologie, i materiali
locali e biologici – continua Virginia – Noi accompagniamo, coordiniamo e
facilitiamo questi processi”. Le protagoniste sono le famiglie: il gruppo Bioreconstruye
aiuta l’autoformazione che darà loro le competenze necessarie per riprendersi
in mano vita e futuro.
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Questo è
anche il momento dell’appoggio psicoemotivo, un passaggio delicato e
indispensabile, perché è necessario sanar el miedo. Lo si fa
con il contributo diartisti,
mettendo in scena opere teatrali, dipingendo murales, esorcizzando la paura e
l’incertezza raccontandosi con creatività. Assemblee comunitarie fanno emergere
le vulnerabilità condividendo le esperienze nei disastri e che cosa significa
abitare in territori a rischio.
Ma un
rifugio dalle calamità non basta, è
fondamentale la ricomposizione delle relazioni sociali. E le molte
culture del Messico e dell’America Latina ci insegnano che la strada maestra è
attraverso i lavori collettivi che, in questi casi, riguardano la sicurezza, la
salute, l’istruzione. Si inizia, ad esempio, dal fogòn comunitario:
un laboratorio partecipato da donne dove si
insegna loro a costruire una cucina a basso consumo. Una cucina
ecologica, che ottimizza e riduce l’uso di legna per cuocere, asciugare e
scaldare. Se prima le donne accendevano semplicemente un fuoco di legna, ora
imparano come funziona una camera di combustione, come rendere efficiente quel
fuoco costruendo un nuovo tipo di cucina, riproducibile poi ad uso privato
nelle rispettive abitazioni.
Il lavoro
prosegue sostenendo l’autoformazione,
di adulti e bambini, con laboratori
di agroecologia, di potabilizzazione e monitoraggio
della qualità dell’acqua per evitare contaminazioni, di ripristino delle
infrastrutture di base, di gestione
dei rifiuti. È un approccio olistico e integrale quello che si vuole
operare, che tenga insieme tutti gli aspetti della riproduzione della vita e
dei luoghi dove questa avviene. Percorsi e processi complessi, ma alla
complessità non si può rinunciare.
Bioreconstruye
México Chiapas fa parte della rete Bioreconstruye México, che sta operando in
varie zone disastrate, oltre al Chiapas: Oaxaca, Morelos, Città del Messico,
stato del Messico e Puebla.
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La rete e i
gruppi che la compongono sono impegnati anche sul fronte della comunicazione e sul
reperimento di risorse. E qui viene la parte davvero difficile. Assicurare che
i fondi raggiungano le vittime
in regioni in cui i diritti umani sono continuamente violati è un’impresa
titanica. Diffusamente in queste zone vengono sottratti gli aiuti alla
popolazione da parte dei militari, i quali li ridistribuiscono a loro
piacimento. I camion vengono assaltati quasi quotidianamente sia da parte
dell’esercito messicano che dal suo volto informale, ovvero da gruppi di narcos
e affini.
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La strategia
segue il copione che vuole le popolazioni sloggiate dai territori interessati
dai grandi appetiti speculativi, come il parco eolico dello stato di Oaxaca o
le miniere di Puebla o le mire immobiliari del Distretto Federale e molti
altri. Quindi, ben venga un terremoto se contribuisce a spopolare quelle terre.
È in questo
scenario di terribile saccheggio che l’auto-ricostruzione, la riappropriazione del territorio,
il continuare a presidiarlo vivendolo è fondamentale per preservare corpi,
natura, biodiversità, cultura, identità. Il lavoro di Bioreconstruye México
Chiapas e della rete Bioreconstruye México è pienamente in corso. Ad un anno di
distanza molte casas semmillas sono state
realizzate, altre sono in costruzione, i percorsi collettivi comunitari
continuano a co-creare prospettive a medio e lungo raggio. Speranza e fiducia
rifioriscono dalle macerie e dall’abbandono; donne
e uomini, bambine e bambini scoprono e riscoprono conoscenze e capacità che
fugheranno per sempre paura, senso di impotenza e rassegnazione.
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