La notizia è del 28 dicembre ed è di
quelle destinate a fare storia, non tanto per la sua rilevanza penale, quanto
per i suoi risvolti culturali, economici, ambientali. Di scena è la Procura di
Nanterre che ha deciso di aprire un fascicolo a carico di Epson, Brother, Canon
e HP, multinazionali di apparecchiature informatiche sospettate di obsolescenza programmata.
Una pratica largamente in uso in tutto il
mondo ma che in Francia è proibita dal 2015, con pene che
possono arrivare fino a due anni di reclusione. E dire che nel 1932, tale
Bernard London aveva proposto di renderla obbligatoria per legge, come
strategia per rilanciare i consumi durante gli anni della grande depressione.
Dal latino obsolescens, traducibile come invecchiamento, perdita
di funzionalità, l’obsolescenza
programmata consiste nel progettare oggetti con tempi di vita predeterminati. Una
vera e propria dichiarazione di guerra nei confronti dei consumatori lanciata
per la prima volta da un gruppo di imprese produttrici di materiale elettrico
che per assicurarsi la vittoria non esitò ad allearsi in un cartello denominato
Phoebus. L’atto di nascita avvenne il 23 dicembre 1924 in
un sontuoso hotel di Ginevra dove si incontrarono i dirigenti delle principali
imprese mondiali di lampadine. Constatato che le vendite languivano a causa di
lampadine capaci di durare fino a 2.500 ore, decisero di accordarsi su modelli
che non durassero oltre le 1.000 ore. Un patto di ferro che impegnava ogni impresa
a test preventivi di cattiva qualità prima del lancio di ogni nuovo
prodotto.
Il caso fece scuola e l’obsolescenza
programmata si estese a molti altri settori, ciascuno con le proprie strategie
di usura e di scoraggiamento alla riparazione. Ora utilizzando metalli ad
arrugginimento precoce, ora cerniere di facile inceppamento, ora batterie di
breve durata nascoste in alloggiamenti sigillati. Quanto alle stampanti, l’associazione francese Hop, da cui la Procura di Nanterre ha preso
spunto, ha denunciato che la turlupinatura più frequente si annida nei
microprocessori. Molti di loro arrestano il sistema dopo un numero di
fotocopie troppo basso, quando nelle cartucce c’è ancora il 20 per cento di
inchiostro.
Il 9 giugno 2017 anche il Parlamento Europeo si è espresso contro
l’obsolescenza programmata ed
ha invitato la Commissione Europea ad adottare tutte le misure che servono per
incoraggiare le imprese ad uniformarsi a criteri di robustezza, riparabilità e
durata. Una scelta motivata non solo dalla volontà di evitare ai consumatori inutili
spese, ma soprattutto di evitare al pianeta inutili saccheggi e contaminazioni.
Vari studi hanno dimostrato che allungando la vita degli oggetti si possono
ottenere sensibili riduzioni di rifiuti solidi e di anidride carbonica.
Uno dei settori che genera prodotti a vita particolarmente breve è quello
dell’elettronica.Fra telefonini,
stampanti e computer ogni anno nel mondo si producono oltre 40 milioni di
tonnellate di rifiuti elettronici, per la maggior parte classificabili come
rischiosi. Una categoria di rifiuti che come denuncia la Laudato sii alimenta
un vasto traffico illegale verso i paesi del Sud del mondo. Ma nessun governo
ha mai mobilitato il proprio esercito per arrestarlo. Si
stima che ogni anno oltre 11 milioni di tonnellate di rifiuti pericolosi
salpino illegalmente verso le coste africane e asiatiche, dando luogo a immense
discariche a cielo aperto. Una delle più grandi è quella
di Agbogbloshie, un’estensione di due
ettari posta alla periferia di Accra, capitale del Ghana. La piana, cosparsa di
televisori, computer, stampanti e ogni altro tipo di carcassa elettronica, è
contornata da una vasta baraccopoli in cui si consuma una tale violenza da
essere stata battezzata Sodoma e Gomorra. Molti dei 40.000
abitanti della baraccopoli, bambini compresi, passano le loro giornate nella
discarica cercando di recuperare ogni sorta di minerale possibile. E
siccome la tecnica per liberare i minerali dalla plastica è il fuoco, tutta
l’area è avvolta da una cappa di fumo ripieno di diossina e ogni altro veleno
che genera tumori in ogni dove. Da Taranto ad Accra: così il consumo di cose si
trasforma in consumo di persone.
Tanti sono i cambiamenti da introdurre per
consentire a ogni abitante del pianeta di poter vivere dignitosamente del
proprio lavoro svolto in condizioni di dignità, sicurezza e sostenibilità. Ma
un modo è anche quello di combattere l’obsolescenza, che prima di essere un
attacco alla vita delle cose è un attacco alla felicità delle persone,
condannati come siamo alla frustrazione perenne di chi è costantemente
incalzato da nuove sollecitazioni. Del resto già nel
1917, Charles Kettering, direttore di prim’ora della General Motors, ci aveva
avvertito: “La chiave della prosperità economica è la creazione
organizzata dell’insoddisfazione”. Ma l’infelicità è un prezzo
troppo alto da pagare sull’altare della crescita. E’ tempo di cominciare a
liberarci dall’insoddisfazione cronica pretendendo oggetti fatti per durare ed
essere riparati. Ci guadagneremo in salute, sostenibilità ed occupazione.
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