Il
19 gennaio Papa Francesco sarà a Puerto Maldonado, città a sud del Perù sulle
sponde di Madre de Dios, un corso d’acqua proveniente dal versante est delle
Ande e affluente del fiume Beni dopo un viaggio di oltre mille chilometri per
la foresta amazzonica. Va ad incontrare la Chiesa locale e le popolazioni
dell’Amazzonia.
Di
vitale importanza per il clima globale e custode di biodiversità e altri valori
inestimabili, la ricchezza dell’Amazzonia è anche causa del suo declino. Dagli
anni sessanta del secolo scorso le imprese possono penetrare al suo interno e
portarsi via ciò che desiderano. Fra esse quelle minerarie ansiose di prendersi
ferro, carbone, bauxite e molti altri minerali di cui il sottosuolo amazzonico
era e continua ad essere ricco. Anche nella foresta attorno a Puerto Maldonado
arrivarono le imprese estrattive attratte dalla presenza di oro. E se
inizialmente il loro interesse era limitato ai giacimenti a maggior
concentrazione, col tempo capirono che il prezioso minerale si trovava diffuso in
tutta l’area, per recuperarlo bastava setacciare la zona. Un compito arduo e
costoso, ma le imprese sapevano come fare per garantire i profitti per se e
scaricare i costi sulle spalle di altri. Proposero alla popolazione locale di
trasformarsi in cercatori d’oro con l’impegno a rivendere alle imprese
proponenti tutto ciò che trovavano. Così nacque la figura del minatore
artigiano, imprenditore di se stesso che per mettere insieme qualche grammo di
oro è disposto allo sfruttamento di se stesso e dei propri figli considerato
che il 20% dei cercatori d’oro sono minori.
La
notizia della nuova formula occupazionale si sparse per tutto il Perù e Puerto
Maldonado venne presa d’assalto da migliaia di forestieri attratti dalla
fortuna dell’oro. La legge imporrebbe ad ogni minatore di iscriversi in un
apposito registro, ma sono sconsigliati dal farlo perché non conviene alle
imprese. Per loro l’economia illegale è più vantaggiosa: possono evadere il
fisco ed evitare ogni altro obbligo sociale e ambientale richiesto dalla legge.
In conclusione a Puerto Maldonado si è strutturato un sistema di reclutamento
in nero che impone ai malcapitati perfino di rinunciare al proprio nome. Per
cancellare ogni traccia di sé, si fanno chiamare col soprannome imposto dal
caporale: smilzo, cileno, gatto selvatico e qualsiasi altro nomignolo che la
fantasia può partorire. Loro ci mettono il lavoro, l’organizzazione
l’attrezzatura, le sostanze chimiche e quant’altro serve alla perlustrazione.
Padre
Xavier Arbex, che da anni si dedica ai minatori irregolari, parla di condizioni
indicibili non solo per gli orari estenuanti e per il rischio di malattie e
infortuni, ma per la possibilità di perdere la vita stessa. Non pochi, infatti,
scompaiono, inghiottiti dalla foresta, forse solo per avere minacciato di
autodenunciarsi alle autorità competenti. Purtroppo al dramma sociale si
aggiunge quello ambientale per lo sversamento nei fiumi e nel terreno di
montagne di olio esausto usato dalle imbarcazioni, di montagne di mercurio
usato per l’amalgama dell’oro, di montagne di detriti prodotti durante
l’esplorazione: un paio di tonnellate per ogni grammo di oro. Ed è proprio la
questione ambientale a generare conflitti con le imprese minerarie non solo in
Amazzonia, ma nell’intero Perù, considerato che l’attività estrattiva è diffusa
in tutto il paese.
Secondo
produttore al mondo di argento, zinco, rame e sesto di oro, il Perù conta
50mila concessioni minerarie estese su 21 milioni di ettari, il 14% del suolo
nazionale. E se contribuiscono al 15% del prodotto interno lordo e al 60% delle
esportazioni, il loro contributo all’occupazione è piuttosto modesto mentre è
alto l’impatto ambientale per l’avvelenamento delle acque con metalli pesanti e
la contaminazione dell’aria con polveri sottili. Ogni anno in Perù si contano
centinaia di conflitti e di proteste popolari contro le imprese minerarie non
solo per gli attentati alla salute, ma anche per i contenziosi legati alla
terra. In un paese in cui i titoli di proprietà sono molto aleatori, le imprese
hanno buon gioco a produrre documenti artefatti che permettono di sottrarre
abusivamente terra ai contadini.
L’industria
mineraria è in ripresa in tutta l’America Latina e ovunque si registrano i
contraccolpi di un’attività organizzata per il beneficio di pochi a danno di
molti. Spesso gli unici a recepire il grido di dolore dei poveri sono i gruppi
ecclesiastici, che per svolgere un’azione più incisiva a sostegno del
ripristino dei diritti calpestati, si sono coordinati in una rete continentale
denominata Red Iglesia y minéria. In vista della visita del Papa in America
Latina, la Rete gli ha inviato una lunga missiva in cui riepiloga gli abusi
sociali e ambientali sofferti dalla popolazione a causa dell’attività
mineraria. La speranza è che la sua presenza e il suo magistero possano
suscitare senso di responsabilità nelle imprese e nei governi.
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