C’è lei, la sabbia,
di cui siamo creature. C’è lei, la
polvere, che si rifugia nelle borse, nelle scarpe e
soprattutto negli occhi di coloro che poco sanno del grande SUD. C’è lei, l’acqua salata, delle lacrime e del mare che le
inghiotte come fa la notte col tramonto della civiltà che si spegne accanto al
pozzo. L’ultimo, battezzato ESPOIR è controllato dai militari
che spiano i punti di ristoro dei viaggiatori di sabbia. I pozzi armati sono l’ultimo ritrovato nel variegato panorama del deserto.
L’acqua è detenuta perché illegale.
Ci siamo noi, sconosciuti fino a qualche mese fa, al SUD
della LIBIA, e d’improvviso ricercati per interposta persona. Terra di mezzo
per la ‘spartenza’ di quanti, incoscienti e pazzi e profeti, si azzardano a
indossare la sabbia, la polvere e infine il mare come padrini dell’umana
arroganza. Corteggiano i muri, disabitati, delle rive che si ‘sguardano’ senza
vedersi. Ci sono loro,
nomi, volti, storie e follie da esportare agli stolti che pensano di salvarsi
senza lacrime di perdono. Hanno sepolto i loro documenti per non tornare
indietro.
Ci sono le bandiere degli eserciti e delle multinazionali dell’estrazione della
fecondità della terra. Strade che le carovane hanno
dimenticato e quelle che i mercanti e i contrabbandieri inventano ogni notte.
Si fanno prove quotidiane di occupazione coi droni armati e le piste di
atterraggio per le operazioni militari. Ci sono i
bambini che giocano con la vita senza contare i giorni del calendario buttato
via. Ci
sono le elezioni truccate e confermate dagli osservatori internazionali. Ci
sono i rifugiati riportati indietro dalla prigioni della Libia.
Ci
sono loro, i vulnerabili scoperti dal servizio della CNN sugli schiavi africani
che tanto ha scandalizzato. Come se nessuno sapesse o
fosse per pura fatalità che migliaia di persone erano imprigionate e vendute e
comprate dal mondo umanitario che solo quello attende. Arrivano i nostri coi
viaggi di salvezza in aereo e meno male che c’è il Niger, appena sotto il Sud
della Libia. Dare lavoro alle ONG e pagare gli onerosi affitti per le case
adibite a spazio di transito o meglio di attesa. Tra non molto si troveranno in
un altro paese.
C’è
la stabilità garantita e fragile dell’assedio che il vento organizza ogni
mattina. Le frontiere sono l’invenzione più spudorata della civiltà
occidentale. I valli romani al confronto sono giardini recintati per passare le
ferie in tranquillità. Oggi sono un grande business
perché si creano, si vendono e soprattutto si difendono dai viaggiatori senza
biglietto di ritorno. A sud della Libia c’è la frontiera dell’Italia e
dell’Europa che conta i secoli del passato e i giorni del futuro. La
civilizzazione e la demografia vanno assieme.
Ci
sono coloro che viaggiano senza sapere. Messi da parte
durante i controlli della polizia e della dogana. Migranti, li chiamano, o
potenziali irregolari, illegali, criminali che osano sfidare il destino e dare
l’assalto al cielo. Li derubano dopo averli prima perquisiti e poi detenuti in
attesa di espulsione. Cose d’altro mondo e inconcepibili solo fino a qualche
anno fa. Tutto si è deciso altrove coi soldi e le politiche che hanno
fabbricato la clandestinità. Cittadini si diventa ma uomini e donne si nasce
per diritto di abitabilità terrena.
Qui,
a Sud della Libia, stiamo coi piedi per terra, anzi, nella sabbia.
Vi facciamo credere di aver vinto la battaglia senza colpo ferire. Soldi,
ricatti, commerci e minacce. Immaginatelo pure e venite
a controllare i vostri piani di sviluppo coloniale. Avrete
l’impressione che tanto, alla fine, vi ringrazieremo per le vostre elemosine
umanitarie. Manderete fotografi, giornalisti e ministri per tagliare il nastro
di una conquista senza vincitori. Quando meno lo aspettate torneranno tutti,
gli assetati del deserto, i perduti nella polvere e i sepolti nel mare.
Verranno portando in silenzio la dignità che ci avete rubata.
Niamey, gennaio 017
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