martedì 10 giugno 2025

“Voci lontane”: diario di un professore in carcere - Marco Pozzi

Da qualche tempo i lettori di Volere la luna possono leggere la rubrica Noterelle dal carcere, tenuta da “un insegnante in un istituto penitenziario del Paese, non importa quale” (https://volerelaluna.it/autori/tazio-brusasco). L’autore è Tazio Brusasco, che ha raccolto le sue testimonianze e riflessioni in un libro uscito da poco: Voci lontane. Un anno di scuola nel carcere delle Vallette di Torino, Baima Ronchetti editore (https://www.baimaronchetti.it/prodotto/voci-lontane).

Come la rubrica, anche il libro contiene “affreschi di vita quotidiana finalizzati a restituire dignità e umanità a una condizione che spesso non ce l’ha”; il libro contiene tanti affreschi, e ne è anche la cornice, con la storia autobiografica del trasferimento da una scuola a nord di Torino alla scuola all’interno della Casa Circondariale Lorusso e Cutugno di Torino. L’autore si avvicina al nuovo lavoro con prudenza, con un po’ di timore e un po’ d’entusiasmo, fra l’approccio professionale dell’insegnante che deve affrontare un nuovo metodo d’insegnamento e l’essere umano di fronte a un’inedita avventura di vita. Nel libro c’è cronaca degli eventi insieme a riflessioni più generali, che tentano di dare un senso all’esperienza, per affrontarla meglio.

La prima scoperta: «il fatto che la scuola in carcere è una normale scuola per adulti, uguale a quella che si svolge fuori, dura tre anni e ha gli stessi programmi ed esami conclusivi». All’interno dell’istituto Giulio, cioè, alcune classi si svolgono in carcere, in dinamiche, limiti e stimoli molto diversi rispetto alla scuola comunemente conosciuta. Per capirne le differenze – o quantomeno, a immaginarle, a supporle – è utile sospendere momentaneamente il resoconto sul libro e inquadrare il sistema; e a capirci qualcosa aiuta il report annuale dell’associazione Antigone, che dal 1998 monitora le condizioni di detenzione in Italia (https://www.rapportoantigone.it/ventesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione). L’ultima edizione, uscita nel 2024 (https://volerelaluna.it/materiali/2024/08/02/nodo-alla-gola-xx-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/), è la ventesima, e come al solito riassume dati, considerazioni, testimonianze, dossier tematici che tracciano una panoramica aggiornata ed esaustiva.

Innanzitutto: in Italia sono presenti 189 istituti carcerari, di cui almeno il 20% è stato costruito a inizio Novecento, quindi con bisogno costante di manutenzione e ristrutturazione. Dentro queste strutture, a fine marzo 2024, erano detenute 61.049 persone, ben oltre la capienza ufficiale di 51.178 posti. Come la popolazione italiana, anche la popolazione carceraria sta invecchiando: il 10% oggi ha oltre 60 anni, mentre la fascia più rappresentata è quella compresa tra i 45 e i 59, col 32,2% dei presenti, rispetto al 25,3% di dieci anni fa; nello stesso tempo è calata la fascia con età inferiore ai 35 anni, dal 38,4% al 29,6% attuale. I residui di pena che devono scontare le persone detenute sono aumentati: per residui superiori ai tre anni, ergastolani inclusi, si è passati dal 36,2% dei presenti del 2010 al 43,8% del 2015 al 48,7% del 2023. Eppure, secondo i dati nel Dossier di Ferragosto del Viminale, nei primi sei mesi del 2023 i delitti denunciati dalle forze di polizia all’autorità sono stati 1.228.454, mentre nello stesso periodo del 2022 il numero erano 1.299 350, con una diminuzione del 5,5%. Quindi: meno delitti, pene che aumentano, benché gli ingressi storicamente diminuiscano: 92.800 nel 2008, 43.417 nel 2024.

Fra le tante statistiche, per comprendere meglio anche Voci lontane, si possono citare quelle relative alle persone detenute che studiano, sia per prepararsi al lavoro, sia per colmare lacune e promuovere la crescita personale, elemento indispensabile per il futuro reinserimento in società. A fine giugno 2023, per l’anno scolastico 2022-23, sono stati erogati 1.760 corsi scolastici, con 19.372 persone iscritte (9.002 stranieri) di cui 47,8% ha ottenuto la promozione. Sono attivi inoltre 274 corsi di formazione professionale con 3.359 iscritte (il 5,8% del totale dei reclusi). Nell’anno accademico 2022-23 si contano inoltre 1.458 studenti universitari (1.406 uomini e 52 donne), di cui 1.270 detenuti in 97 istituti penitenziari e 188 in esecuzione penale esterna o fine pena. La Conferenza Nazionale dei Poli Universitari Penitenziari (CNUPP) include 44 università che gestiscono i corsi offerti agli studenti: l’86,9% degli iscritti frequenta un corso di laurea triennale (41 si sono laureati nel nell’anno solare 2022); il 12,9% frequenta un corso di laurea magistrale o a ciclo unico (10 si sono diplomati nel 2022); 2 detenuti sono iscritti a un corso post-laurea. I corsi ricadono nell’area politica sociale (27%) nell’area letteraria-artistica e giuridica (15%), agro-alimentare (12%), scienze, tecnologie, ingegneria, matematica (8%), storico-filosofica (8%), psico-pedagogica (7%), economica (6%), medico-sanitaria (2%).

Ecco, dentro questi numeri si è mosso Tazio Brusasco nella sua esperienza d’insegnante nel carcere della Vallette a Torino, fin dalla prima impressione: «Da quanto inizio a vedere, qui come fuori, oltre a erogare una formazione culturale, la scuola concede tempo alla persona. È il fondamentale tempo della crescita, non segnato da esigenze di performance o frenesie produttive. È libertà, tempo balsamico e fecondo: se non hai capito, mi fermo, anzi ci fermiamo, e ripetiamo. Così si impara ad avere diritto di sbagliare e a essere solidali con chi fatica, una lezione civile. Anche in carcere il vero punto di forza della scuola è il tempo. Di qualità, riflessivo, introspettivo. E gratuito». Attraverso le parole il lettore di Voci lontane potrà scoprire il carcere, l’edilizia, i controlli, il colore dei muri di cinta, gli otto padiglioni, l’ICAM (Istituto a Custodia Attenuata per detenute Madri, con figli fino ai sei anni), il bar, i circa duecento gatti della colonia che animano corridoi e cortili.

Ogni giorno è un’avventura, un resoconto veloce, come in vignette di fumetto, scene da un Candido opposto dove sembra d’esser precipitati nel peggior mondo possibile: il furto di un televisore, il racconto dello spaccio in strada, le confessioni, i collaboratori di giustizia, affettività e sessualità proibite, la persona detenuta con la mamma morente fuori, l’isolamento più forte durante le feste, i tanti suicidi, gli psicofarmaci per non sentire le angosce, per inebetirsi: per sopravvivere e non pensare. C’è la paura di uscire dal carcere per tornare in libertà, senza la forza, le certezze, gli appoggi per poterla affrontare.

Ma nel libro c’è anche ironia, episodi che sembrano di quotidianità per ciascuno di noi, nei corridoi anziché nelle vie, nei cortili anziché nelle piazze, nelle celle anziché nelle case. Perché il carcere è una piccola cittadina, un quartiere a sé, relegato ai margini dalla società, spesso nelle periferie cittadine (com’è appunto a Torino): il torneo di calcio, la preghiera dei detenuti musulmani e i sacerdoti cristiani, la gestione dei soldi con un conto corrente interno per ogni detenuto.

Quanto ancora dovrò stare qui?” è la domanda con cui ci si sveglia al mattino, che rimbomba ad alte frequenze in testa per tutto il giorno, per tutti i giorni di reclusione. Anche l’autore, nel suo ruolo di professore, ascoltando simili confessioni apporta riflessioni a impreziosire la sua esperienza. Si collega all’evoluzione storica della pena, dalla testimonianza di Calpurnio Flacco nel II secolo d.C., a Cesare Beccaria e al suo Dei delitti e delle pene nel 1766, ai pensieri di Michel Foucault sulla nascita di nuovi penitenziari nei tempi della rivoluzione industriale, fino alla sentenza Torreggiani del nostro millennio europeo. Si parla di recidiva, modelli alternativi di scontare la pena; di giustizia riparativa, per far incontrare chi ha compiuto un reato con chi ne ha subito le conseguenze, in un percorso di mediazione progressivo e faticoso; di vittime di reati, e sul ruolo degli agenti carcerari, che sono reclusi come gli stessi reclusi che controllano, condividendo i medesimi spazi e in simbiotiche segregazioni.

Le riflessioni più ampie sono intorno alla scuola: l’utilità del voto, se espresso in numero nudo per la singola prova, oppure in forma di commento che prenda in esame molteplici fattori per prepararsi alla prova; si ragiona sulla necessità per un allievo di sapersi autovalutare, che sia dentro oppure fuori. E intanto si racconta l’organizzazione delle biblioteche nei padiglioni, coi meccanismi di autorizzazioni che spostano libri sui carrelli, in un sistema “porta a porta” (alle Vallette ci sono cinque biblioteche, in un catalogo di circa 25.000 libri e 1.500 audiolibri, nel circuito torinese del prestito interbibliotecario). Alcuni detenuti poi si stanno impegnando per ottenere la laurea, poiché alle Vallette c’è un Polo universitario, dove si studia prevalente scienze politiche e giurisprudenza, con spazi aperti di discussione, e aule per seguire lezioni da docenti e collaboratori dai vari dipartimenti.

L’autore avanza nella scoperta della nuova realtà con spirito prudente, esplorativo, ma con le orecchie tese, la vista aguzza, i sensi pronti, per assorbire quanto più possibile da rielaborare alla ricerca di una qualche saggezza. Nella prefazione lo riconosce anche Elena Lombardi Vallauri, la Direttrice del carcere di Torino: «quella voglia di essere una persona intensamente presente a sé stessa, alla vita, al mondo, alla società, di svolgere il proprio compito con serietà e serena consapevolezza di quanto sia complicato ma non per questo, anzi, non meritevole di tutta la sua buona volontà».

Di solito si recensisce un libro parlando del testo e dell’autore. Per Voci lontane, recensendo il libro, s’ha l’impressione di recensire l’intera popolazione a cui si riferisce, di attingere alle parole, ai pensieri e ai sentimenti delle persone detenute che l’autore ha incontrato, o forse soltanto immaginato. Il libro stesso è la recensione di una condizione di vita, fra mura che staccano dalla società una fetta d’umanità, relegandola in un modellino distorto di vita. Voci lontane non si esaurisce negli aneddoti che riporta, ma lascia intravvedere tutto ciò che intorno a tali eventi aleggia, il diverso tipo d’ossigeno che fa respirare i reclusi. Il titolo poi allude alle “voci”, che arrivano da lontano: che sono lontane, per quanto echi delle nostre stesse voci. Ma sono anche le nostre voci, e in questo libro possiamo ascoltarle.

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