venerdì 6 giugno 2025

due lettere dal Niger - Mauro Armanino

Scampati al deserto, Traoré Ali e Ousmane non rinunciano ai loro sogni e ne hanno fatto una foresta - 

La foresta dei sogni confiscati offre riparo e cittadinanza alle utopie e a quelle che alcuni bollano come ‘illusioni’

Sono entrambi originari della Costa d’Avorio ed è per me come un piacevole ‘giocare in casa’. Non si dimentica mai il primo amore. Sbarcato in questo Paese nel millennio scorso, dal 1976 al ’78, la prima volta nel continente africano. Il ritmo della lingua, i luoghi e lo stile sono riconoscibili ad occhio e orecchio nudo.

Traoré, di mestiere panettiere e pasticciere nella città di Man, nel nord ovest della Costa d’Avorio. Parte l’anno scorso, coi suoi 32 anni e una famiglia lasciata a casa, per inventarsi un futuro diverso e più luminoso di quello che si trova tra le mani che impastano povertà e nulla più. Derubato come tutti i migranti dai gruppi armati nel Mali, raggiunge l’Algeria e lavora prima come panettiere e poi, al solito, in un cantiere edile ‘cinese’ della capitale. Al momento di ritirare il frutto del suo lavoro arriva ‘casualmente’ la polizia che spoglia i migranti di tutti gli averi, li arresta e li deporta a Tamanrasset in un centro di detenzione. Da lì, lui e gli altri saranno condotti al confine col Niger, in un luogo desertico che bisognerà attraversare per raggiungere la prima cittadina abitata, Assamaka.

Ali ha invece 19 anni. Non ha potuto terminare la scuola elementare e fatica a leggere e scrivere in francese. In Costa d’Avorio era apprendista riparatore di frigoriferi e climatizzatori. Vorrebbe imparare meglio il mestiere e mettere da parte il capitale per viaggiare in Europa, dove i sogni si infrangono sulle coste o ancora prima di raggiungere il mare. Per questo passa un paio di settimane in Tunisia. Il tempo di essere deportato in Algeria e da lì, come Traoré suo compatriota, gettato nella fascia di deserto che non separa affatto l’Algeria dal Niger. Lui e Traoré mettono assieme i sogni confiscati dal sistema che stima né utile né sopportabile accettare chi non si adegua alle norme stabilite di sparizione programmata dei giovani per luogo di nascita.

Ali e Traoré sono tra le migliaia di giovani che inventano, tessono, rischiano sogni non esportabili o delegabili ad altri. Assumono il rischio dell’incomprensione, della persecuzione e financo dell’eliminazione dei giovani che osano un futuro fuori dalle regole stabilite dal sistema dominante. Diventano, malgrado loro, rivelatori di violenza. La stessa che accompagna da decenni la Democratica Repubblica del Congo, ex Zaire, di Moboutu Sese Seko, dittatore liquidato poi dai Grandi.

Ousmane di 23 anni, imbianchino senza lavoro. Abbandona la capitale dove ha il dubbio di essere inghiottito dal nulla per la nascita in una famiglia numerosa per andare, con un sogno nascosto negli occhi, a sfidare il Mediterraneo. Sarà invece il mare di sabbia, il Sahara, nome che significa, per l’appunto, mare che pone una barriera invalicabile al suo andare. Passato il deserto algerino sarà catturato, spogliato degli averi e imbarcato, assieme agli altri e come pacchi postali, sul camion fino alla frontiera di sabbia col Niger. Ousmane e i due avoriani passano qualche giorno ad Assamaka, saturata con migliaia di migranti espulsi dall’ Algeria, la Tunisia, la Libia e il Marocco. L’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, a nome delle Nazioni Unite, è in difficoltà per accogliere, nutrire e ricondurre i migranti ai rispettivi Paesi di origine. Questa è la ragione per la quale i tre amici hanno raggiunto fortunosamente la capitale Niamey. Scampati al deserto, Traoré, Ali e Ousmane non vogliono chiudere i loro giorni in un labirinto umanitario che assomiglia fin troppo all’anticamera dell’inferno.

I sogni confiscati dal sistema non vanno affatto perduti perché sono come semi che seppelliti nel letame dei potenti, a loro insaputa, crescono e prosperano. Senza darlo a vedere e ispirati da innumerevoli poeti scomparsi, si sono messi assieme. Stagione dopo stagione e albero dopo albero si è andata formando una foresta che nessuna cartina o rilevamento dall’alto potrà identificare. La foresta dei sogni confiscati offre riparo e cittadinanza alle utopie e a quelle che alcuni bollano come ‘illusioni’. Dentro la foresta si trovano gruppi di bambini che giocano con gli animali e inseguono farfalle di ogni tipo. Al centro del bosco c’è una sorgente d’acqua perenne che disseta i sogni e li affida, come preziosa eredità, al vento cha passa ogni mattina di buonora.

da qui


L’isola dei bambini mai arrivati – La lettera di P. Mauro

Molti di loro sono certamente passati dal Niger, Terra di Mezzo. Li abbiamo incontrati e poi dimenticati . Erano accompagnati da uno o entrambi i genitori oppure confusi tra fratelli, amici e conoscenti d’occasione. Hanno attraversato non si sa come il deserto e, per gli strani sentieri del destino, sono riusciti ad imbarcarsi e tentare il Mare di Mezzo, il Mediterraneo. Secondo l’ultimo rapporto dell’agenzia ONU per la protezione dell’infanzia, l’UNICEF, in dieci anni, circa 3500 bambini hanno perso la vita nel mare, sulla rotta del Mediterraneo centrale.

Questa porzione di mare è riconosciuta come la frontiera più mortale del mondo.

Ciò significa, sempre per il rapporto citato, che in questi ultimi 10 anni ogni giorno un bambino è scomparso nel mare. Mancava perfino la mano di uno dei genitori a dare l’ultimo aiuto.

Sette bambini su dieci che hanno effettuato la traversata viaggiavano soli.

Quanti sono giunti sull’altra riva e interrogati hanno confessato che, durante il viaggio, molti di loro hanno sofferto violenze fisiche e altri sono stati arbitrariamente detenuti. Sono fuggiti da guerre, conflitti, violenze, miseria e soprattutto l’abbandono di una parte d’Africa che ha tradito e venduto il loro futuro ai commercianti di vite umane.

I bambini fanno parte delle oltre 20mila persone morte o disperse nel corso egli ultimi dieci anni nello stesso Mare.

L’isola dei bambini si è creata da sé, come per caso, un giorno feriale di un anno che nessuno ricorda.

Il numero degli piccoli migranti mai arrivati aumentava al quotidiano e si rese necessario, col tempo, organizzare la vita della colonia e far sentire i nuovi arrivati come a casa loro. All’inizio non è stato facile perchè i bambini cercavano di imitare quello che ricordavano della società dei grandi. Armi, guerre, muri come frontiere e parole armate generatrici di violenza e divisione. Si organizzò dunque una prima assemblea consultativa aperta a tutti i residenti senza distinzione. Si decise all’unanimità che l’isola sarebbe stata guidata senza più tener conto del sistema creato dai grandi.

Inventarono strade, cortili, piazze, giochi e feste. Alcuni dei più grandi che già avevano imparato un mestiere si industriarono a trasmettere ad altri il loro sapere. Le bambine più grandi organizzavano la cucina, la cura dei più piccoli e rallegravano la vita dell’isola con canti e danze improvvisate. L’isola dei bambini mai arrivati era anch’essa migrante e, in realtà, non andava da nessuna parte. Si muoveva, invisibile o visibile secondo le stagioni e, come esse, mutevole nei colori e nella forma. Quando, da lontano, spuntava un’imbarcazione i bambini migranti innalzavano una bandiera inesistente e accendevano fuochi sperando che il fumo avrebbe segnalato la loro presenza.

L’isola è ben là fino a tutt’oggi e continua a ricevere nuovi ospiti ai quali viene chiesto il nome, l’età e il Paese di origine. Nel caso di neonati i nomi sono scelti a seconda dei giorni di sole, di pioggia e di vento. Non c’è una rotta prestabilita perché l’isola inventa ogni giorno nuovi orizzonti e c’è chi giura d’averla vista passare ma c’era nebbia quel giorno. Alcuni dei primi residenti immaginano che un giorno l’isola dei bambini si trasformerà in un continente che avrà dimenticato per sempre l’arte della guerra.

da qui

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