In Ecuador e in Bolivia si stanno mettendo in evidenza i peggiori comportamenti delle sinistre e dei progressismi. In ambedue i casi si tratta di una deriva pragmatica che sostituisce l’etica per ambizione di potere e di lusso, mettendo da parte qualsiasi proposta programmatica, trasformando la politica in un mero esercizio di convenienze personali per ottenere vantaggi. Non è nuovo, certamente, ma nei due paesi menzionati tutto già passa senza il minimo tentativo di dissimularlo.
In Ecuador, i nove membri dell’assemblea del Pachakutik, partito di
sinistra legato al movimento indigeno, hanno firmato un accordo con il governo
di Daniel Noboa (giudicato da queste correnti come di ultradestra), per
permettergli di governare dato che non ha una maggioranza parlamentare. Hanno
dichiarato che lo hanno fatto per “amore del paese”, ma nascondono i benefici
che ottengono con un tale atteggiamento che apre le porte ad un governo
antipopolare, privatizzatore e fortemente repressivo.
Il partito di Rafael Correa non è rimasto indietro. Dopo aver firmato un
accordo con la sinistra indigena e con il Pachakutik per il sostegno a Luisa
González al secondo turno delle recenti elezioni, la candidata ha proposto
niente di meno che Jan Topic (un altro di ultradestra) come futuro ministro
dell’Interno nel caso avesse vinto le elezioni. Tranelli su tranelli, sgambetti
da tutti i lati, che non fanno altro che screditare le forze che si dicono di
sinistra.
In Bolivia c’è poco da aggiungere al teatro dell’assurdo di cui sono
protagonisti Evo Morales e il presidente Luis Arce, ambedue dello stesso
partito. Rafael Bautista lo ha detto in modo chiaro in un recente articolo:
“Dietro tutte le offerte di «salvare la Bolivia», non c’è nessuna salvezza ma
il vantaggio che dà una situazione generata per dare una continuità illegittima
al medesimo circolo vizioso di un sistema e una cultura politica esaurita (che
intendono ancora preservare coloro che a malapena vedono il potere politico
come un pulsante patrimoniale)”.
Il pensatore boliviano aggiunge che “nei 14 anni del «governo del
cambiamento», ugualmente si è continuato con il sistema delle prebende e il
corporativismo dei dirigenti per dare potere a dei settori per pura convenienza
politica”. Senza differenze programmatiche, il contrasto tra Morales e Arce
rimane una semplice e brutale lotta per il potere personale, dove i caudillios
sostituiscono le proposte politiche per ambizioni personali.
A questo si è ridotta la sinistra nel continente: ambizioni di caudillos e
di piccoli gruppi per impadronirsi delle briciole che cadono dal tavolo del
banchetto neoliberale. I popoli rimangono fuori da questa speculazione di élite
progressiste e appaiono solo come risorse per vincere l’avversario. Perché non
riescono più a dissimulare con le parole la crisi etica che li sta screditando
senza rimedio.
La cosa più triste è che non c’è il minimo sintomo di autocritica, che i
dirigenti persistono nell’inganno, a continuare un cammino che conduce al
disastro senza consultare nessuno, oltre che la propria ombra. Aver separato
l’etica dalla politica è stato come consegnarsi al più crudo pragmatismo, nel
quale risaltano le ambizioni personali. Poco più.
Dobbiamo comprendere che la sinistra è una cosa del passato. Non possiamo
continuare ad essere abbindolati dall’assurda idea, smentita mille volte dai
fatti, che esista una contraddizione destra-sinistra, perché sono esattamente
la stessa cosa. Le presunte differenze sono appena un teatro, uno show, per
mantenere la popolazione e i movimenti sospesi in un inesistente dilemma.
La fine delle sinistre va di pari passo con la crisi dell’Occidente, nel
cui seno sono nate, e con i cambiamenti sismici e traumatici del sistema-mondo,
che non presuppongono nessun miglioramento per i popoli ma per le élite che già
si sono sistemate di fronte ai cambiamenti futuri.
Ma, soprattutto, dobbiamo comprendere che i politici di sinistra fanno
parte delle élite, di quelli che stanno in alto, che hanno appreso a maneggiare
i modi di coloro che stanno in basso per ingannarli meglio. Gli inganni
impiegheranno un po’ di tempo ad essere scoperti dalla popolazione che li
sostiene, ma non saranno eterni per quanto dannosi possono essere.
Un’ultima questione: il capitalismo non potrebbe reggersi se non esistesse
tale “sinistra”. Il sistema ne ha bisogno, come sono necessarie le droghe per
facilitare il dominio perché in questo modo controllano i desideri popolari e
le sue organizzazioni. Insomma, la sinistra è una droga sistemica.
7 maggio 2025
Desinformémonos
Traduzione
del Comitato Carlos Fonseca: |
Raúl
Zibechi, “La
izquierda es una droga sistémica”, pubblicato il 07-05-2025
in Desinformémonos, su [https://desinformemonos.org/la-izquierda-es-una-droga-sistemica/] |
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