«L’alta velocità è imprescindibile, è un patrimonio del nostro Paese»: parola di
“giornalista”. Nel caso, il conduttore della rassegna stampa di Sky
TG24 di venerdì 7 febbraio, a libro paga di uno squalo australiano di
nome Murdoch per il quale è invece “prescindibile” (cioè si può trascurare) il
fatto che meno di un mese fa in un continente agli antipodi del nostro siano
andati per sempre in fumo (e non solo in CO2) 9 milioni di ettari di boschi
(quattro volte la Lombardia) e quasi 490 milioni di animali.
«L’alta velocità ha trasportato 350 milioni di passeggeri in dieci anni»,
continua il tele-imbonitore di turno che, come chi si guadagna da vivere col
gioco delle tre carte nei sottopassi delle stazioni ferroviarie, per
“parametrare” benevolmente l’incidente di Lodi gli anni li fa lievitare,
sottolineando che si tratta del «primo incidente su una linea Alta Velocità in
quindici anni di esercizio», incurante del fatto che in tutte le immagini che
scorrono sotto la sua narrazione risalti la decalcomania (applicata sul treno
deragliato come su tutti i convogli della rete AV) «Dieci anni di Freccia
Rossa»… Già, quanto vale per questi televenditori la vita di un
pendolare di Pioltello, Crevalcore o di chi neanche ci viaggiava su un treno ma
ebbe il torto di abitare vicino ai binari della linea “convenzionale” che passa
da Viareggio (ora non altro non la chiamano più “storica”)? Ma chi non
pesa le vite in base al reddito piange la morte dei due macchinisti
scaraventati fuori dal treno oltre il fabbricato del posto di manutenzione
quanto quella dei trentatré morti di Viareggio, vittime tutti di un unico
serial-killer: la compressione dei costi di manutenzione, a
vantaggio di rendite finanziarie da “usura legalizzata” e “appalti turbati”.
I giornalisti di rango ‒ cui viene conferito il compito di narrare,
intervistare, raccogliere le testimonianze degli inviati davanti al maxischermo
degli studi centrali ‒ abbandonano per qualche minuto al loro destino i
contagiati e i morti da coronavirus (e persino le
ripercussioni dell’epidemia sulle borse orientali e sulle economie occidentali)
per discettare di motrici, scambi, deviatoi, ganasce. Ma, nonostante loro, poco
alla volta si riesce a vedere un po’ più chiaro in quel che è successo all’alba
del 6 febbraio nella pianura lombardo emiliana.
Come quando l’acqua di uno stagno resa torbida dall’avervi gettato un sasso
ritorna lentamente limpida, un dettaglio emerge su tutto. È il fonogramma –
pubblicato in esclusiva dal Fatto Quotidiano ‒ con cui i
responsabili degli interventi di manutenzione comunicano alla centrale
operativa di aver terminato (alle 4 e 45) il lavoro sullo scambio numero 5 del
posto di manutenzione di Livraga (Lodi) e di aver tolto la possibilità di
manovrarlo dopo averlo lasciato “in posizione normale”, vale a dire in
posizione di instradamento dei treni sui binari di corsa: i due centrali (in
quel tratto ve ne sono altri due affiancati per le precedenze o la sosta di
eventuali treni in avaria, o di macchine operatrici per la manutenzione,
normalmente notturna, della massicciata e delle rotaie etc).
Non sono un esperto di manutenzione ferroviaria ma chiunque è in grado di
leggere in italiano corretto il linguaggio (peraltro semplificato) di una
direttiva tecnica, dovrebbe quantomeno incuriosirsi sul termine «disalimentato»
che precede l’impegnativa affermazione «confermato in posizione
normale come da fonogramma n. 78/81 fino a nuovo avviso». Per
quel che è dato sapere sul funzionamento del decantato Sistema di Controllo
Marcia Treni (SCMT) ‒ che RFI sostiene essere il più avanzato al mondo e che
prevede la “ripetizione in cabina” (sul cruscotto sotto gli occhi del
macchinista) di tutte le informazioni che consentono di viaggiare a 300
chilometri orari anche nella nebbia più fitta ‒ si sarebbe interrotta
la segnalazione automatica della posizione proprio dello scambio oggetto dei
lavori notturni. Cioè della segnalazione che normalmente agisce sulla marcia
del treno persino se il macchinista si distrae o è vittima di un malore (si
ricorderanno le polemiche sulla introduzione dell’agente unico, ovvero
l’abolizione della figura dell’aiuto-macchinista che i sindacati di categoria
sostenevano avrebbe determinato un crollo del livello di sicurezza delle
ferrovie italiane cui FS contrapponeva la quasi totale assenza di incidenti
gravi sulla “rete AV di riferimento”, cioè quella francese).
Insomma, se il sensore applicato (anche) su quello scambio e destinato a
fornire informazioni direttamente al treno in corsa attraverso il SCMT non
fosse stato “disalimentato” il Freccia Rossa1000 avrebbe dovuto fermarsi o
quantomeno rallentare da solo la velocità evitando “automaticamente” il
deragliamento. Qualcosa di più e di ben più inquietante dell’“errore
umano” che non solo i giornalisti, per la verità, ma soprattutto le
autorità e i politici si sono affannati a invocare sotto i primo raggi di un
sole malato, forse per esorcizzare la probabile e ben più grave falla
nell’apparato di sicurezza.
A questo inquietante dubbio darà forse una risposta l’inchiesta interna di
RFI (come sempre sarà l’oste a certificare se il suo vino è buono o adulterato)
ma, al di là del caso specifico e della “giustizia” che ‒ prescrizione
permettendo – sarà data a questa vittime (ben sapendo come sia stata data alle
precedenti), restano alcune considerazioni di carattere generale, partendo
dall’amara coincidenza che proprio a febbraio di tre anni fa ci lasciava
l’ingegner Ivan Cicconi che ‒ anche, con l’aiuto di Giorgio Meletti (uno dei
pochi giornalisti degni di quel che era questa professione ai tempi eroici di
“Quarto Potere”) ‒ più di chiunque altro ha sviscerato l’impalcatura fradicia
del “sistema Tav” del nostro Paese.
Si tratta di un sistema nato sotto la cattiva stella di Craxi, De Michelis
& Necci, di un’impalcatura traballante fin dal concepimento e che ‒ non si
doveva aspettare il 2020 per scoprirlo ‒ poggia oltretutto sulle sabbie mobili
degli “interessi intercalari”, vale a dire sui guadagni indecenti del
sistema bancario internazionale che ha promosso e continua a promuovere le
Grandi Opere a livello europeo (prossimamente anche spacciandole per
“green”) indebitando gli Stati (la “via, bancaria, della seta” non l’hanno
inventata i cinesi)… Per questo l’«Alta Velocità è imprescindibile»,
perché i prestiti alle imprese garantiti dallo Stato (se non basta coinvolgendo
la Cassa Depositi e Prestiti e mettendo a rischio, a loro insaputa, il
risparmio postale degli italiani) devono avere priorità assoluta, mentre devono
essere tagliati i costi del personale e possono essere compressi quelli di
manutenzione: soprattutto sulle linee ordinarie (vedi Viareggio,
Pioltello etc..) ma ora anche sulla rete Alta Velocità. Nella speranza che
l’inchiesta appuri se RFI fa la manutenzione in proprio o se – per privilegiare
l’appalto di Grandi Opere e magari persino di quelle “convenzionali” ‒ ci
troveremo anche qui di fronte alla piaga dei subappalti, vera filiera
dell’Italia che va, quale che sia il governo che viene.
_________
Pubblicato anche su volerelaluna.it
Nessun commento:
Posta un commento