giovedì 13 febbraio 2020

L’alta velocità è imprescindibile - Claudio Giorno


«L’alta velocità è imprescindibile, è un patrimonio del nostro Paese»: parola di “giornalista”. Nel caso, il conduttore della rassegna stampa di Sky TG24 di venerdì 7 febbraio, a libro paga di uno squalo australiano di nome Murdoch per il quale è invece “prescindibile” (cioè si può trascurare) il fatto che meno di un mese fa in un continente agli antipodi del nostro siano andati per sempre in fumo (e non solo in CO2) 9 milioni di ettari di boschi (quattro volte la Lombardia) e quasi 490 milioni di animali.
«L’alta velocità ha trasportato 350 milioni di passeggeri in dieci anni», continua il tele-imbonitore di turno che, come chi si guadagna da vivere col gioco delle tre carte nei sottopassi delle stazioni ferroviarie, per “parametrare” benevolmente l’incidente di Lodi gli anni li fa lievitare, sottolineando che si tratta del «primo incidente su una linea Alta Velocità in quindici anni di esercizio», incurante del fatto che in tutte le immagini che scorrono sotto la sua narrazione risalti la decalcomania (applicata sul treno deragliato come su tutti i convogli della rete AV) «Dieci anni di Freccia Rossa»… Già, quanto vale per questi televenditori la vita di un pendolare di Pioltello, Crevalcore o di chi neanche ci viaggiava su un treno ma ebbe il torto di abitare vicino ai binari della linea “convenzionale” che passa da Viareggio (ora non altro non la chiamano più “storica”)? Ma chi non pesa le vite in base al reddito piange la morte dei due macchinisti scaraventati fuori dal treno oltre il fabbricato del posto di manutenzione quanto quella dei trentatré morti di Viareggio, vittime tutti di un unico serial-killer: la compressione dei costi di manutenzione, a vantaggio di rendite finanziarie da “usura legalizzata” e “appalti turbati”.
I giornalisti di rango ‒ cui viene conferito il compito di narrare, intervistare, raccogliere le testimonianze degli inviati davanti al maxischermo degli studi centrali ‒ abbandonano per qualche minuto al loro destino i contagiati e i morti da coronavirus (e persino le ripercussioni dell’epidemia sulle borse orientali e sulle economie occidentali) per discettare di motrici, scambi, deviatoi, ganasce. Ma, nonostante loro, poco alla volta si riesce a vedere un po’ più chiaro in quel che è successo all’alba del 6 febbraio nella pianura lombardo emiliana.
Come quando l’acqua di uno stagno resa torbida dall’avervi gettato un sasso ritorna lentamente limpida, un dettaglio emerge su tutto. È il fonogramma – pubblicato in esclusiva dal Fatto Quotidiano ‒ con cui i responsabili degli interventi di manutenzione comunicano alla centrale operativa di aver terminato (alle 4 e 45) il lavoro sullo scambio numero 5 del posto di manutenzione di Livraga (Lodi) e di aver tolto la possibilità di manovrarlo dopo averlo lasciato “in posizione normale”, vale a dire in posizione di instradamento dei treni sui binari di corsa: i due centrali (in quel tratto ve ne sono altri due affiancati per le precedenze o la sosta di eventuali treni in avaria, o di macchine operatrici per la manutenzione, normalmente notturna, della massicciata e delle rotaie etc).
Non sono un esperto di manutenzione ferroviaria ma chiunque è in grado di leggere in italiano corretto il linguaggio (peraltro semplificato) di una direttiva tecnica, dovrebbe quantomeno incuriosirsi sul termine «disalimentato» che precede l’impegnativa affermazione «confermato in posizione normale come da fonogramma n. 78/81 fino a nuovo avviso». Per quel che è dato sapere sul funzionamento del decantato Sistema di Controllo Marcia Treni (SCMT) ‒ che RFI sostiene essere il più avanzato al mondo e che prevede la “ripetizione in cabina” (sul cruscotto sotto gli occhi del macchinista) di tutte le informazioni che consentono di viaggiare a 300 chilometri orari anche nella nebbia più fitta ‒ si sarebbe interrotta la segnalazione automatica della posizione proprio dello scambio oggetto dei lavori notturni. Cioè della segnalazione che normalmente agisce sulla marcia del treno persino se il macchinista si distrae o è vittima di un malore (si ricorderanno le polemiche sulla introduzione dell’agente unico, ovvero l’abolizione della figura dell’aiuto-macchinista che i sindacati di categoria sostenevano avrebbe determinato un crollo del livello di sicurezza delle ferrovie italiane cui FS contrapponeva la quasi totale assenza di incidenti gravi sulla “rete AV di riferimento”, cioè quella francese).
Insomma, se il sensore applicato (anche) su quello scambio e destinato a fornire informazioni direttamente al treno in corsa attraverso il SCMT non fosse stato “disalimentato” il Freccia Rossa1000 avrebbe dovuto fermarsi o quantomeno rallentare da solo la velocità evitando “automaticamente” il deragliamento. Qualcosa di più e di ben più inquietante dell’“errore umano” che non solo i giornalisti, per la verità, ma soprattutto le autorità e i politici si sono affannati a invocare sotto i primo raggi di un sole malato, forse per esorcizzare la probabile e ben più grave falla nell’apparato di sicurezza.
A questo inquietante dubbio darà forse una risposta l’inchiesta interna di RFI (come sempre sarà l’oste a certificare se il suo vino è buono o adulterato) ma, al di là del caso specifico e della “giustizia” che ‒ prescrizione permettendo – sarà data a questa vittime (ben sapendo come sia stata data alle precedenti), restano alcune considerazioni di carattere generale, partendo dall’amara coincidenza che proprio a febbraio di tre anni fa ci lasciava l’ingegner Ivan Cicconi che ‒ anche, con l’aiuto di Giorgio Meletti (uno dei pochi giornalisti degni di quel che era questa professione ai tempi eroici di “Quarto Potere”) ‒ più di chiunque altro ha sviscerato l’impalcatura fradicia del “sistema Tav” del nostro Paese.
Si tratta di un sistema nato sotto la cattiva stella di Craxi, De Michelis & Necci, di un’impalcatura traballante fin dal concepimento e che ‒ non si doveva aspettare il 2020 per scoprirlo ‒ poggia oltretutto sulle sabbie mobili degli “interessi intercalari”, vale a dire sui guadagni indecenti del sistema bancario internazionale che ha promosso e continua a promuovere le Grandi Opere a livello europeo (prossimamente anche spacciandole per “green”) indebitando gli Stati (la “via, bancaria, della seta” non l’hanno inventata i cinesi)… Per questo l’«Alta Velocità è imprescindibile», perché i prestiti alle imprese garantiti dallo Stato (se non basta coinvolgendo la Cassa Depositi e Prestiti e mettendo a rischio, a loro insaputa, il risparmio postale degli italiani) devono avere priorità assoluta, mentre devono essere tagliati i costi del personale e possono essere compressi quelli di manutenzione: soprattutto sulle linee ordinarie (vedi Viareggio, Pioltello etc..) ma ora anche sulla rete Alta Velocità. Nella speranza che l’inchiesta appuri se RFI fa la manutenzione in proprio o se – per privilegiare l’appalto di Grandi Opere e magari persino di quelle “convenzionali” ‒ ci troveremo anche qui di fronte alla piaga dei subappalti, vera filiera dell’Italia che va, quale che sia il governo che viene.
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Pubblicato anche su volerelaluna.it


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