Noi
valutiamo le cose (la loro gravità, la loro importanza, la loro verità) in base
a quello che ne sappiamo. E poi decidiamo di conseguenza.
Negli ultimi
anni, per fortuna, molte persone sono diventate consapevoli di quanto siano
diffuse, pervasive e pericolose le fake news. Di quanto spesso sia difficile
distinguere il falso dal vero (non illudiamoci: con la diffusione dei video
falsi – i deep fake – lo sarà sempre di
più). E di quanto sia faticoso, ma necessario, verificare le fonti e
controllare i dati. Questo aiuta a non farsi manipolare e a decidere a ragion
veduta.
Ma
contrastare le fake news non basta.
Rapporti non lineari
È anche indispensabile fare un esercizio di pensiero critico per quanto riguarda, per esempio, le relazioni di causa-effetto. Per dire: se, un attimo dopo che Tizio ha premuto l’interruttore del soggiorno, si accende il lampadario e contemporaneamente lui riceve una telefonata dal figlio che sta a Detroit, Tizio può ragionevolmente pensare che il suo gesto sia causa del primo effetto, e non del secondo.
È anche indispensabile fare un esercizio di pensiero critico per quanto riguarda, per esempio, le relazioni di causa-effetto. Per dire: se, un attimo dopo che Tizio ha premuto l’interruttore del soggiorno, si accende il lampadario e contemporaneamente lui riceve una telefonata dal figlio che sta a Detroit, Tizio può ragionevolmente pensare che il suo gesto sia causa del primo effetto, e non del secondo.
Purtroppo,
però, i rapporti di causa-effetto non sempre sono così trasparenti e lineari.
D’altra parte la nostra mente ha la tendenza a cercare schemi e correlazioni tra i
fatti. La ricerca ossessiva di schemi, al di là di ogni evidenza o
ragionevolezza ha un nome, patternicity (online lo
trovo tradotto con “schemicità”).
In sostanza,
noi tendiamo a vedere cause anche là dove ci sono
solamente casualità o coincidenze. Se, per puro caso, una seconda volta che
Tizio accende la luce gli ritelefona il figlio da Detroit, Tizio potrebbe
cominciare a pensare che ci sia qualche sorta di legame tra i due eventi. E
potrebbe perfino, il giorno dopo, accendere nuovamente la luce perché così,
vedi mai, magari il figlio gli ritelefona.
Certo,
questo della telefonata è un esempio estremo. Ma sta di fatto che noi cerchiamo
sempre cause per gli eventi virtuosi che vorremmo favorire e per quelli dannosi
che vorremmo sfavorire. E sta di fatto che il fenomeno della ricerca spasmodica
di relazioni di causa-effetto (causal illusion, o illusion of causality) dà luogo a ragionamenti di
carattere superstizioso o pseudoscientifico.
In molti
ambiti, da quello medico a quello economico e sociale, può portarci ad avere
percezioni fallaci e quindi a prendere decisioni sbagliate. Può anche spingerci
a esprimere giudizi avventati o a condividere teorie complottiste. Ad accettare
e promuovere stereotipi perversi , giusto per esorcizzare gli effetti dannosi
che a quello stereotipo abbiamo ingiustamente collegato.
Basti
ricordare, tra i tanti, il feroce stigma di essere madri-frigorifero (nel
senso di gelide e perfezioniste) che per decenni ha ingiustamente perseguitato
le mamme di figli con disturbi dello spettro autistico, accusate di essere
causa primaria della condizione delle loro creature.
Una volta
che ci siamo convinti di qualcosa facciamo fatica a rimetterlo in discussione
Sui falsi
rapporti di causa-effetto c’è un’amplissima letteratura, e qui mi limito solo a
citare un fatto curioso: sembra che pensare in una lingua straniera (non
importa di quale lingua si tratti) aiuti a essere più razionali e meticolosi, a
stabilire in modo meno automatico rapporti di causa-effetto e a esprimere
giudizi più equilibrati.
Tra i possibili
motivi: riduzione dell’impatto emotivo, incremento della capacità di pensiero
astratto, necessità di pensare più lentamente e quindi in modo più accurato. In
ogni caso, questa potrebbe essere una buona strategia per prendere decisioni
migliori. Oltre che un ottimo incentivo per studiare una lingua straniera.
Ma anche
stare attenti ai falsi rapporti di causa-effetto non basta.
Distorsione percettiva
Una volta che ci siamo convinti di qualcosa, e perfino se molte evidenze ci dicono che si tratta di un convincimento discutibile o del tutto infondato, facciamo fatica a rimetterlo in discussione. Da una parte, tendiamo a cercare conferme di ciò di cui siamo convinti. Dall’altra, tendiamo a sottovalutare o a ignorare tutto ciò che contraddice la nostra convinzione.
Una volta che ci siamo convinti di qualcosa, e perfino se molte evidenze ci dicono che si tratta di un convincimento discutibile o del tutto infondato, facciamo fatica a rimetterlo in discussione. Da una parte, tendiamo a cercare conferme di ciò di cui siamo convinti. Dall’altra, tendiamo a sottovalutare o a ignorare tutto ciò che contraddice la nostra convinzione.
È il bias di conferma (confirmation
bias) che, per esempio, quando siamo in rete ci porta a
isolarci in una echo
chamber: una camera dell’eco in cui
risuonano solo notizie che sono conformi alla nostre attese, opinioni che sono
simili alle nostre e che noi siamo felici di condividere, commenti che
risuonano con le nostre posizioni. E che proprio in quanto tali ci appaiono ragionevoli,
apprezzabili, logici e perfino più simpatici.
C’è un
ulteriore elemento fuorviante a cui stare attenti.
Ed è forse
il più insidioso.
Noi tendiamo
a sovrastimare in termini di importanza e di rilevanza i fatti e i dati a cui
siamo esposti più di frequente o con maggior enfasi e intensità.
In sostanza,
tendiamo a farci condizionare, nei nostri giudizi, dalle ultime notizie (sono
quelle di cui abbiamo una memoria più fresca e dettagliata), o dalle notizie
che vengono date con maggior rilievo, o da quelle a cui siamo esposti più
spesso. Così può succedere che (ne ha parlato ampiamente il premio Nobel Daniel
Kahneman) tendiamo a giudicare la probabilità di un evento in base a quanti
esempi di quell’evento ci vengono in mente. È il bias della disponibilità.
Per esempio:
i disastri aerei sono ampiamente ripresi e narrati dai mass media proprio
perché sono molto rari e molto drammatici. Gli incidenti stradali, molto più
frequenti e con meno vittime, di solito suscitano un’attenzione assai più
limitata e meno prolungata nel tempo.
Il risultato
è però una distorsione percettiva, che porta molte persone a essere
terrorizzate dai viaggi in aereo. Eppure, il rischio di morire in un incidente
aereo è enormemente inferiore a quello di
morire guidando un’auto, e anche a quello di essere travolti da un’auto come
pedoni.
Confrontare le opinioni
Può anche succedere che giudichiamo la gravità di una situazione in base al tono allarmato e drammatico e alla frequenza con cui i mezzi d’informazione ci parlano di quella situazione.
Può anche succedere che giudichiamo la gravità di una situazione in base al tono allarmato e drammatico e alla frequenza con cui i mezzi d’informazione ci parlano di quella situazione.
È
esattamente quanto può avvenire con la percezione della criminalità. Come
ricorda Milena Gabanelli, “nel 2017 il tema ‘criminalità’
è comparso nel 17,2 per cento dei programmi della principale tv francese, nel
26,3 per cento di quella britannica, nel 18,2 per cento di quella tedesca e nel
36,4 per cento dei cinque principali telegiornali italiani”.
Risultato:
“Il 78 per cento degli intervistati in un’indagine degli stessi mesi ritiene
che la criminalità in Italia sia cresciuta rispetto a cinque anni prima”.
Naturalmente
non è vero, e di fatto l’Italia continua a essere uno dei paesi più sicuri
dell’Unione europea.
In sintesi:
va bene se stiamo attenti alle fake news. Va meglio se stiamo anche attenti al
falsi rapporti causa-effetto, specie quando si tratta di dar la colpa di
qualcosa a qualcuno.
Va meglio
ancora se ci ricordiamo che le prime cose che ci vengono in mente perché continuano
a girare sui mass media non sono necessariamente le più drammatiche o le più
importanti. E va benissimo se ci manteniamo disposti a confrontare le nostre
opinioni, e non pretendiamo di aver ragione a ogni costo, e contro ogni
evidenza.
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