Fisioterapisti, ostetrici, tecnici della riabilitazione. Si stava per
istituire un albo professionale per queste figure. Ma il ”Governo del
cambiamento” ci ha messo lo zampino. Aprendo a chi non ha svolto i corsi
universitari le porte della professione. Non sapremo sotto le mani di chi
finiremo.
C’è fermento tra chi, in Italia, ha studiato
fisioterapia, ostetricia, tecniche della riabilitazione e altri corsi delle
facoltà sanitarie italiane. Centinaia di migliaia di giovani che hanno
scelto di investire in percorsi universitari, sostenendo decine di esami e
svolgendo tirocini professionalizzanti.
Professioni, per loro natura, molto delicate, visto
l’impatto che hanno sulla salute di pazienti e cittadini. Ebbene queste
professioni, oggi, rischiano di essere letteralmente calpestate da un
emendamento sostenuto dal Governo, che equipara, di fatto, la professione
svolta da chi è abilitato con corsi universitari, a quella di chi, magari, non
ha neanche mai aperto un libro o effettuato un’esercitazione.
Andiamo con ordine: lo scorso anno, su richiesta
delle diverse categorie delle professioni sanitarie, il Ministro Lorenzin aveva
avviato la creazione di specifici albi professionali, con l’obiettivo di
regolarizzare lo svolgimento delle professioni sanitarie I professionisti
(infermieri, fisioterapisti, ostetriche, tecnici riabilitativi ecc..), erano
quindi stati invitati a versare, nell’arco del 2018, un contributo di circa 300
euro, per potersi iscrivere all’albo, la cui entrata in vigore era prevista per
il 2019. Facendo una rapida stima, considerando i circa
250.000 professionisti, un incasso di oltre sette milioni di euro. Non male.
Pochi giorni fa, però, la sorpresa. Viene presentato
un emendamento (il numero 1.6003, modifica alla legge 42/99) che istituisce un
elenco “speciale”, che garantisce la continuità della professione, a chi ha svolto
per trentasei mesi, anche non continuativamente, negli ultimi dieci anni,
l’attività professionale senza averne i titoli.
Una persona che in questi
ultimi dieci anni, ha svolto per almeno 36 mesi, autonomamente o da dipendente,
una professione sanitaria senza titolo di studio, potrà continuare ad
esercitare la stessa professione di chi ha seguito un percorso universitario
Tradotto: una persona che in questi ultimi dieci anni, ha
svolto per almeno 36 mesi, autonomamente o da dipendente, una professione
sanitaria senza titolo di studio, potrà continuare ad esercitare la stessa
professione di chi ha seguito un percorso universitario di tre anni con tirocini,
specializzazioni e quant’altro.
Una persona che ha effettuato un corso professionale
di qualche mese, potrà quindi scrivere sul biglietto da visita la stessa
professione di un professionista che ha conseguito la laurea in un
corso di professioni sanitarie. Non solo, potrà anche scrivere “iscritto
all’albo”, creando ancora più confusione tra i consumatori e i pazienti. Per
questo motivo, le associazioni di categoria hanno diramato diversi comunicati,
tuonando contro il Ministro Grillo complice di aver scelto di sostenere una
politica di “sanatoria tombale”.
Qualcuno riterrà, che dovrebbe essere il mercato a
stabilire chi può o non può svolgere una professione.Vero, ma quando si
tratta di salute è legittimo domandarsi se l'asimmetria
informativa che si verifica tra paziente e professionista, non debba essere compensata,
almeno in parte, dalla trasparenza di accesso ai
titoli di chi esercita la professione poichè effettuare una scelta di consumo che
riguarda la propria salute, non è proprio come scegliere un avvocato, un
tassista, o un notaio.
Il governo riesce magistralmente in due obiettivi: scontentare chi
è a favore degli albi e della regolamentazione delle professioni, e chi è
contrario agli ordini professionali, incassando, al tempo stesso, milioni di
euro.
Infine il paradosso, ed il capolavoro dell’esecutivo: istituendo ben due
albi, il governo creerà nuova spesa pubblica, peggiorerà gli adempimenti
burocratici, e incasserà milioni di euro senza tutelare, alla fine, proprio
nessuno: nè professionisti, nè pazienti.
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