Petrolio, olio di roccia: per milioni e milioni
di anni si è andato formando nelle viscere della Terra attraverso il
decadimento di residui organici che avevano sottratto all´atmosfera l´eccesso
di anidride carbonica che la rendeva inadatta agli organismi superiori. Per
altre migliaia di anni era rimasto dove si era formato, indisturbato e
inosservato, fino a che, nel 1859,
per sostituire il grasso di balena usato per l´illuminazione, scomparso dal
mercato per uno sciopero dei balenieri, Edwin Drake aprì il primo pozzo da cui
il petrolio cominciò a zampillare rigogliosamente. Presto sostituito, nel
business appena scoperto, da Rockefeller, Drake non immaginava certo che quello
sciopero avrebbe aperto una nuova epoca storica.
A diffondere nel mondo l´uso del petrolio non
sarebbero state comunque le lampade a petrolio, ma la sua
applicazione alla movimentazione delle carrozze (cioè all´automobile) e al volo
umano (cioè all´aereo). Con carbone e macchina a vapore, protagonisti
indiscussi della rivoluzione industriale, non sarebbe stato possibile: ci
voleva un motore molto più leggero (il motore a scoppio) e un combustibile
altrettanto compatto: la benzina. Così, proprio mentre i progressi realizzati
nella produzione dell´energia elettrica facevano sperare agli utopisti
dell´ultimo Ottocento di poter finalmente liberare le città e le fabbriche da
quella coltre di smog – generata da treni, stufe e caldaie industriali a
carbone – che le soffocava, petrolio e motori a scoppio, con le loro emissioni
inquinanti, cominciavano la loro conquista di cielo, terra e mare. La mobilità
del Ventesimo secolo non conoscerà altro nutrimento: dagli alianti di stoffa
dei fratelli Wright ai Jumbo-jet di oggi; dalle prime automobili costruite per
il diletto di pochi miliardari eccentrici ai seicento milioni di veicoli che
oggi congestionano città e strade del pianeta; dai primi piroscafi a olio
combustibile alle petroliere da un milione di tonnellate e al formicaio delle
barche da diporto che infestano i mari. Oltre alla loro versione bellica: jeep e carri
armati; caccia e bombardieri; sottomarini e portaerei. E siccome il petrolio
sgorgava a fiotti e si prestava alle più diverse manipolazioni, il suo uso non
si è fermato all´alimentazione dei motori: i materiali sintetici derivati dal
petrolio, con una gamma infinita di impieghi e gadget usa e getta sono
penetrati fin nei più intimi recessi del nostro corpo: gomma e fibre
sintetiche, lubrificanti e bitumi per asfaltare le strade, cavi elettrici e
tubi di scarico; e barche, e gommoni, e divani, e infissi, e giocattoli, e
detersivi, e protesi, e chi più ne ha più ne metta. E insieme a loro, montagne
di rifiuti, coltri di bitume spiaggiate dai naufragi delle petroliere,
ingolfamento dell´atmosfera terrestre con il CO2 e dell´aria delle città con il
PM10, e il benzene, e i policiclici aromatici, e gli ossidi di azoto.
E per garantire che il petrolio
continuasse a fluire a fiotti, si è spianata la strada ai più grandi macelli
della storia umana: lo smembramento dell´impero ottomano per
impadronirsi dei campi petroliferi del Medio
Oriente(obiettivo non secondario della prima guerra mondiale); l´invasione dell´Unione Sovietica ad
opera delle truppe hitleriane (la cui vera meta erano i pozzi petroliferi del
Caspio); e, a seguire, il conflitto
arabo-israeliano spalleggiato dalle allora contrapposte
superpotenze, le guerre in Afghanistan,
in Cecenia, in Kwait, in Iraq non avevano e non hanno altro scopo
che il controllo dei serbatoi mondiali del petrolio. Per chi ritiene che il
modello di consumo dell´Occidente non sia “negoziabile” non esiste altra
strada.
Ma l´era del petrolio non ha forse i giorni contati?
E che cosa ci si può aspettare in un mondo senza petrolio? Molto dipende da
come si arriverà a quel punto: se in modo graduale e guidato, o in forma
improvvisa e traumatica. Potremmo superare – o aver già superato, senza accorgercene – l´apice
della curva di Hubber: quel punto al di là del quale l´estrazione del petrolio
residuo si farà sempre più ardua e costosa. Oppure vedere governi e imprese,
convertite improvvisamente all´ambientalismo, imporre limitazioni improvvisate
e inefficaci all´utilizzo dei combustibili fossili, nel tardivo tentativo di
contenere le devastazioni provocate dall´effetto serra: che anni fa aspettavamo
come un graduale innalzamento del livello dei mari e un altrettanto graduale
spostamento verso i poli dei climi tropicali e temperati, mentre ormai si
manifesta con cataclismi metereologici imprevedibili. Ma potremmo anche
trovarci di fronte a una diffusione incontenibile di Ogm, capaci di
metabolizzare il petrolio e i suoi derivati; quelli che oggi si utilizzano in
ambienti confinati per bonificare le aree inquinate (bioremediation) e che
domani – liberati dall´incuria dei tecnologi o da nuove forme di terrorismo –
potrebbero attraversare il mondo nutrendosi dei residui petroliferi che
ricoprono la superficie dei mari, dei fiumi e delle strade, fino a incontrare –
divorandoli – gli scafi in resina delle imbarcazioni, il rivestimento dei cavi
elettrici, i tubi del sistema fognario, i polimeri dei nostri elettrodomestici,
dei nostri computer, dei nostri telefoni, del nostro arredamento, dei nostri
abiti: con le conseguenze che tutti possiamo immaginare.
Tuttavia, la cosa più probabile è che la guerra “preventiva” e “infinita”
contro un terrorismo che di essa si alimenta renda rapidamente impraticabili i
campi petroliferi e costringa le economie che di petrolio si nutrono a farne
improvvisamente a meno. Certo resta sempre – cioè per qualche secolo – il buon vecchio carbone, molto
più inquinante, anche se più abbondante e più ubiquo; oppure il metano: ma non basta; e viene quasi
tutto dai campi petroliferi; oppure il nucleare (con la prospettiva di
trasformare il pianeta in un´unica grande Cernobyl); ma se il problema di oggi
è il terrorismo – scorie e incuria tecnologica a parte – moltiplicare le
centrali nucleari sarà come buttarsi in bocca al lupo; oppure le energie
rinnovabili: ma l´idea di far marciare con l´idrogeno prodotto con il vento o
con il sole una flotta di seicento milioni di veicoli (o di un miliardo e mezzo
come dovrebbe essere, secondo le previsioni correnti, il parco macchine di qui
a dieci anni) è un puro non senso.
È molto più probabile che ci ritroveremo costretti a
lasciare arrugginire la nostra auto là dove l´avremo posteggiata per l´ultima
volta; a rinunciare per sempre ai viaggi aerei, accalcandoci come sardine su
autobus sgangherati e treni sempre in ritardo per la scarsa cura che abbiamo
loro dedicato negli anni delle vacche grasse; o a traversare gli oceani in nave
come gli emigranti all´inizio del secolo scorso. E poi? E poi, magari, passeremo
inverni al freddo, tutti riuniti nella stessa stanza come nel medioevo, per non
esagerare con il consumo di carbone e non turbare ulteriormente un´atmosfera
già satura; e giornate intere a rimestare nelle discariche per recuperare tutta
quella plastica che con tanta leggerezza avevamo gettato nella pattumiera per
anni. E magari si tornerà anche a rivestire i cavi elettrici con il lattice che
oggi si usa quasi solo più per produrre diaframmi e profilattici; e a vestirci
solo più di fibre naturali o al massimo di viscosa; e a costruire giocattoli e
involucri di telefoni, computer e televisori con la bakelite – qualcuno sa
ancora che cos´è? – o con la più italica galalite – una plastica ricavata dal
latte; risolvendo così una volta per sempre il problema eminentemente padano
delle quote latte – e a far giocare i bambini con bambole di gesso e pupazzi di
stoffa. Naturalmente, niente di tutto questo
potrebbe succedere – è solo un incubo. Ma nondimeno il petrolio potrebbe finire
da un giorno all´altro. C´è qualcuno che sta veramente pensando al da farsi?
Pubblicato su Repubblica il 13 ottobre 2004
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