domenica 3 giugno 2018

Vita da cassiera, vita da calzolaio - Miguel Martinez




L’ultimo calzolaio del rione, tra tasse e costi del cuoio ha perso casa, per molti mesi si è rifugiato dentro la sua minuscola bottega senza acqua corrente (il bagno glielo faceva usare il corniciaio di fronte). Poi alla fine si è arreso e ha abbandonato Firenze, come hanno fatto tanti altri artigiani.
Di solito raccontiamo le disgrazie altrui, come storie individuali che servono per strappare una lacrima, perché viviamo in genere in un mondo virtuale in cui possiamo far finta di essere solidali con tutti, perché non siamo solidali con nessuno. Invece la scomparsa del calzolaio non è una perdita solo per lui. Quando volevi, potevi passare da lui e dal suo cane dagli occhi di due colori – che occupava un bel po’ del marciapiede – e parlavi di scarpe, di industrie, della storia  dei luoghi, del senso della vita e delle mani. Gli artigiani sono inseparabili dal paesaggio, dalla rete infinitamente complessa di relazioni tra sassi, persone, generazioni, arrivi, partenze, feste e funerali che crea un rione.
Anche quando chiude un supermercato, ci sono le cassiere e i facchini che si trovano anche loro senza reddito. Ma non è esattamente la stessa cosa, per due motivi. Uno, non siamo noi luddisti rionali a far perdere il posto alle cassiere, sono i loro stessi proprietari che non vedono l’ora di dare loro una pedata nel sedere:
“Amazon sta sviluppando piani per la creazione di negozi in cui le casse vengono totalmente eliminate. La videosorveglianza e l’intelligenza artificiale saranno allineate per seguire gli articoli nel carrello del cliente, permettendo loro di uscire dal negozio senza alcuna interazione umana, poi manderanno loro una fattura per email da addebitare sul loro conto in banca.”
Ma il riferimento ai luddisti ci ricorda una cosa importante, che si capisce solo quando si vive da vicino il mondo delle botteghe e degli artigiani.
Se il calzolaio chiude, ci dispiace perché ha perso una fonte di reddito; ma ci dispiace anche perché ha perso un lavoroSe il supermercato chiude, ci dispiace perché la cassiera ha perso una fonte di reddito; ma un po’ facciamo anche festa, ché almeno si è liberata da un lavoro. È un’affermazione che potrebbe sconvolgere, ma solo perché quando diciamo “posto di lavoro”, pensiamo, non al lavoro, ma solo al reddito indispensabile per vivere.
Di Marx si può pensare quello che si vuole; ma certamente qualunque artigiano che aveva perso il lavoro davanti alle macchine ed era stato ridotto a lavorare in fabbrica, poteva capire questa descrizione del lavoro salariato:
“il lavoro resta esterno all’operaio, cioè non appartiene al suo essere, e l’o­peraio quindi non si afferma nel suo lavoro, bensì si nega, non si sente appagato ma infelice, non svolge alcuna libera energia fisica e spirituale, bensì mor­tifica il suo corpo e rovina il suo spiritoL’operaio si sente quindi con se stesso soltanto fuori del lavoro, e fuori di sé nel lavoro. A casa sua egli è quando non lavora e quando lavora non lo è. Il suo lavoro non è volontario, bensì forzato, è lavoro costrittivo. Il la­voro non è quindi la soddisfazione di un bisogno, bensì è soltanto un mezzo per soddi­sfare dei bisogni esterni a esso. La sua estraneità risalta nel fatto che, appena cessa di esistere una costrizione fisica o d’altro genere, “il lavoro è fuggito co­me la peste”.
Immagino che gli artigiani che ascoltavano Marx non sognassero come alternativa la catena di montaggio in un’acciaieria sovietica, però capivano perfettamente contro cosa si ribellavano.
Per fortuna oggi esiste ancora una straordinaria rete di protezione, che rende asettico il lavoro: non dura troppe ore, non stanca  troppo, non ci devono essere troppi pericoli, se ci si fa male c’è l’ospedale e si può fare ricorso se qualcuno prova a frustarti.
Ma resta il fatto che la maggior parte di noi perde le otto ore migliori della nostra giornata, a fare cose che non ci riguardano e non ci interessano, con l’unico scopo di uscirne al più presto possibile, con in mano il redditoÈ vita da cassiere, non da calzolaio.  Il che non è certo colpa dei cassieri, ma di chi non si batte per un mondo con più calzolai.

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