(di Francesca Mulas)
“Clandestini”, “Rispediteli a casa”, “Non li vogliamo”, “Prima i
sardi, prima gli italiani”, “Non scappano da nessuna guerra, mandateli
indietro”: è bastato un commento del sindaco di
Cagliari Zedda, seguito poche ore dopo da quello del presidente della
Regione Francesco Pigliaru, a proposito del viaggio nave Aquarius con 629
migranti a bordo, per scatenare sui social network una marea di commenti
d’odio. Molti utenti hanno riversato simili reazioni anche sulla pagina Facebook di Sardinia Post con
frasi feroci contro i migranti (tra cui ci sono 134 bambini e alcune donne
incinte) e contro Zedda e Pigliaru. Per diverse ore abbiamo dovuto monitorare i
post, cancellare le scritte più offensive e bannare gli autori dalla nostra pagina.
Un’onda di odio che non si è ancora fermata. E che lascia una certezza: se per
lungo tempo abbiamo coltivato l’illusione che la Sardegna fosse immune dal
razzismo oggi sappiamo che non è così. Lo conferma anche Francesco Bachis, antropologo
delle Università di Cagliari e Sassari, che per lungo tempo si è occupato di
islamofobia e razzismo. La sua ricerca più recente è “Sull’orlo del
pregiudizio”, un saggio appena uscito per Aipsa edizioni.
“Le dichiarazioni di Massimo
Zedda e Francesco Pigliaru, al di là del significato politico, sono di semplice
umanità – ci ha detto a proposito dei commenti d’odio registrati ieri sui
social network – e le reazioni così scomposte ci dicono due cose: intanto che
la Sardegna non è immune dal razzismo dilagante, e in secondo luogo che la
chiusura delle frontiere, il no alle navi dei migranti intercettano parte del
sentire comune. Che poi è quello che emerge da tv e social network, mentre le
opinioni più umane e di apertura verso l’altro stentano ad alzare la voce”.
Che pericolo c’è che il razzismo virtuale si trasformi in reale?
Quasi nessuno, neanche tra gli
odiatori più invasati, direbbe in faccia a un migrante ciò che scrive su
Facebook. Ma è anche vero che passiamo sempre più tempo sui social e lì
costruiamo e coltiviamo relazioni e i casi di atti concreti di violenza più
recenti non promettono nulla di buono. La cosa che mi colpisce sempre, e che
avvicina pericolosamente la parola scritta sul social alla realtà, è che questi
insulti vengono ‘firmati’ con la propria faccia. Chi scrive che occorrerebbe
‘buttare i migranti nei forni’ lo fa con il proprio volto, da profili dove
condivide le fotografie dei figli, le sue passioni, rappresenta la sua vita.
Fortunatamente son più quelli che scrivono di quelli che fanno.
Ci troviamo davanti a nuove forme di razzismo o c’è una continuità
con il razzismo nazifascista?
Interrogarsi sulle continuità
e discontinuità tra il razzismo nazionalsocialista (o quello di matrice classica
coloniale) e il razzismo attuale significa chiedersi quali sono le continuità
ideali e quelle pratiche. Se la parola ‘razzismo’ è sempre più diventata nel
corso del tempo una parola quasi ‘indicibile’, le forme di misconoscimento
dell’altro hanno assunto nuove forme, in parte parenti dirette del razzismo
classico, in parte nuove. Se la cultura, la religione sembrano aver sostituito
parzialmente la parola ‘razza’ nell’identificazione dell’altro, nel neorazzismo
o nel fondamentalismo culturale permangono forme di naturalizzazione che sono
dirette parenti di quell’universo ideologico. Anche gli stereotipi ritornano
costantemente, magari spostati su altri bersagli: si pensi alle continuità tra
antisemitismo e islamofobia. La ‘razza’, purtroppo, funziona ancora e non per
una sua supposta efficacia ‘naturale’ nell’identificare la diversità ma perché
non si è disimparato a sufficienza il razzismo.
Tra le giustificazioni più frequenti dei nuovi razzismi: “Non ero
razzista, mi hanno fatto diventare. Ci obbligano a esserlo. Sono loro razzisti
nei confronti degli italiani”. Cosa significano?
‘Razzismo’ e ‘razzista’ hanno
ormai largamente un uso contrastivo: razzisti sono sempre gli altri e pochi si
proclamano esplicitamente razzisti. Tuttavia la permanenza atteggiamenti,
discorsi e pratiche ascrivibili a forme di neorazzismo permangono: non sono
semplicemente retaggi del passato ma forme ideologiche di interpretazione dei
rapporti sociali, scorciatoie buone per spiegare le proprie condizioni di
disagio o semplicemente per giustificare il proprio odio per l’altro. C’è una
presa di distanza dovuta alla connotazione negativa che la parola ‘razzista’ ha
assunto in larga parte della società occidentale ma le parole che seguono quel
‘ma’ sono spesso esplicite forme di misconoscimento dell’altro la cui matrice
nei vari razzismi è facilmente riscontrabile. Basta, appunto, farsi un giro sui
social network…
Torniamo alla Sardegna. Com’è successo che la Lega (Nord) oggi sia
uno dei partiti più votati, dopo anni di discorsi contro i meridionali e il sud
nullafacente?
Il discorso anti-immigrati ha
fatto presa spesso tra strati sociali con esperienze di emigrazione, perché gli
ultimi, verso i quali rivolgere discorsi di esclusione, oggi sono ancora più in
basso di noi, e dunque facile bersaglio per scaricare le tensioni della crisi.
Dal Veneto agli Stati Uniti non siamo i primi e, temo, non saremo gli ultimi.
Certo qui pesa anche una incapacità di fare i conti con il non detto e il
rimosso di ogni orgoglio nazionale. Non ci basta Lussu e la tradizione
democratica e progressista della maggioranza della nostra tradizione
autonomista e indipendentista. Il fatto è che si può essere orgogliosi di
essere sardi ‘con’ qualcuno o ‘contro’ qualcuno. E in questo secondo caso non è
detto che sempre questo qualcuno sia ‘su mere coloniale’, il dominatore o lo
sfruttatore; talvolta capita che possa essere anche un dannato della terra che
sta peggio di noi e che in Sardegna arriva, sempre più spesso per caso e non
volontariamente, per cercare di migliorare le proprie condizioni di esistenza o
per la curiosità e il sogno di una vita diversa. Qui come altrove, comunque, il
punto fondamentale sta nel non cedere alla tentazione di considerare odio e
paura come forme ‘naturali’ di rapporto con l’altro, magari da tenere a bada
con la ‘tolleranza’. No, non lo sono, se non quanto l’empatia e la
cooperazione. Quel tipo particolare di odio e misconoscimento dell’altro che
chiamiamo razzismo non è eterno: ha origini storiche, ha avuto un inizio e
dunque può avere una fine.
anche Emiliano Deiana bersaglio dei poveri di spirito
RispondiEliminahttp://www.sardiniapost.it/cronaca/aquarius-emiliano-deiana-dalla-parte-dei-migranti-centinaia-insulti/