sabato 16 giugno 2018

intervista a Francesco Bachis


(di Francesca Mulas)

“Clandestini”, “Rispediteli a casa”, “Non li vogliamo”, “Prima i sardi, prima gli italiani”, “Non scappano da nessuna guerra, mandateli indietro”: è bastato un commento del sindaco di Cagliari Zedda, seguito poche ore dopo da quello del presidente della Regione Francesco Pigliaru, a proposito del viaggio nave Aquarius con 629 migranti a bordo, per scatenare sui social network una marea di commenti d’odio. Molti utenti hanno riversato simili reazioni anche sulla pagina Facebook di Sardinia Post con frasi feroci contro i migranti (tra cui ci sono 134 bambini e alcune donne incinte) e contro Zedda e Pigliaru. Per diverse ore abbiamo dovuto monitorare i post, cancellare le scritte più offensive e bannare gli autori dalla nostra pagina. Un’onda di odio che non si è ancora fermata. E che lascia una certezza: se per lungo tempo abbiamo coltivato l’illusione che la Sardegna fosse immune dal razzismo oggi sappiamo che non è così. Lo conferma anche Francesco Bachis, antropologo delle Università di Cagliari e Sassari, che per lungo tempo si è occupato di islamofobia e razzismo. La sua ricerca più recente è “Sull’orlo del pregiudizio”, un saggio appena uscito per Aipsa edizioni.
“Le dichiarazioni di Massimo Zedda e Francesco Pigliaru, al di là del significato politico, sono di semplice umanità – ci ha detto a proposito dei commenti d’odio registrati ieri sui social network – e le reazioni così scomposte ci dicono due cose: intanto che la Sardegna non è immune dal razzismo dilagante, e in secondo luogo che la chiusura delle frontiere, il no alle navi dei migranti intercettano parte del sentire comune. Che poi è quello che emerge da tv e social network, mentre le opinioni più umane e di apertura verso l’altro stentano ad alzare la voce”.
Che pericolo c’è che il razzismo virtuale si trasformi in reale?
Quasi nessuno, neanche tra gli odiatori più invasati, direbbe in faccia a un migrante ciò che scrive su Facebook.  Ma è anche vero che passiamo sempre più tempo sui social e lì costruiamo e coltiviamo relazioni e i casi di atti concreti di violenza più recenti non promettono nulla di buono. La cosa che mi colpisce sempre, e che avvicina pericolosamente la parola scritta sul social alla realtà, è che questi insulti vengono ‘firmati’ con la propria faccia. Chi scrive che occorrerebbe ‘buttare i migranti nei forni’ lo fa con il proprio volto, da profili dove condivide le fotografie dei figli, le sue passioni, rappresenta la sua vita. Fortunatamente son più quelli che scrivono di quelli che fanno.
Ci troviamo davanti a nuove forme di razzismo o c’è una continuità con il razzismo nazifascista?
Interrogarsi sulle continuità e discontinuità tra il razzismo nazionalsocialista (o quello di matrice classica coloniale) e il razzismo attuale significa chiedersi quali sono le continuità ideali e quelle pratiche. Se la parola ‘razzismo’ è sempre più diventata nel corso del tempo una parola quasi ‘indicibile’, le forme di misconoscimento dell’altro hanno assunto nuove forme, in parte parenti dirette del razzismo classico, in parte nuove. Se la cultura, la religione sembrano aver sostituito parzialmente la parola ‘razza’ nell’identificazione dell’altro, nel neorazzismo o nel fondamentalismo culturale permangono forme di naturalizzazione che sono dirette parenti di quell’universo ideologico. Anche gli stereotipi ritornano costantemente, magari spostati su altri bersagli: si pensi alle continuità tra antisemitismo e islamofobia. La ‘razza’, purtroppo, funziona ancora e non per una sua supposta efficacia ‘naturale’ nell’identificare la diversità ma perché non si è disimparato a sufficienza il razzismo.
Tra le giustificazioni più frequenti dei nuovi razzismi: “Non ero razzista, mi hanno fatto diventare. Ci obbligano a esserlo. Sono loro razzisti nei confronti degli italiani”. Cosa significano?
‘Razzismo’ e ‘razzista’ hanno ormai largamente un uso contrastivo: razzisti sono sempre gli altri e pochi si proclamano esplicitamente razzisti. Tuttavia la permanenza atteggiamenti, discorsi e pratiche ascrivibili a forme di neorazzismo permangono: non sono semplicemente retaggi del passato ma forme ideologiche di interpretazione dei rapporti sociali, scorciatoie buone per spiegare le proprie condizioni di disagio o semplicemente per giustificare il proprio odio per l’altro. C’è una presa di distanza dovuta alla connotazione negativa che la parola ‘razzista’ ha assunto in larga parte della società occidentale ma le parole che seguono quel ‘ma’ sono spesso esplicite forme di misconoscimento dell’altro la cui matrice nei vari razzismi è facilmente riscontrabile. Basta, appunto, farsi un giro sui social network…
Torniamo alla Sardegna. Com’è successo che la Lega (Nord) oggi sia uno dei partiti più votati, dopo anni di discorsi contro i meridionali e il sud nullafacente?
Il discorso anti-immigrati ha fatto presa spesso tra strati sociali con esperienze di emigrazione, perché gli ultimi, verso i quali rivolgere discorsi di esclusione, oggi sono ancora più in basso di noi, e dunque facile bersaglio per scaricare le tensioni della crisi. Dal Veneto agli Stati Uniti non siamo i primi e, temo, non saremo gli ultimi. Certo qui pesa anche una incapacità di fare i conti con il non detto e il rimosso di ogni orgoglio nazionale. Non ci basta Lussu e la tradizione democratica e progressista della maggioranza della nostra tradizione autonomista e indipendentista. Il fatto è che si può essere orgogliosi di essere sardi ‘con’ qualcuno o ‘contro’ qualcuno. E in questo secondo caso non è detto che sempre questo qualcuno sia ‘su mere coloniale’, il dominatore o lo sfruttatore; talvolta capita che possa essere anche un dannato della terra che sta peggio di noi e che in Sardegna arriva, sempre più spesso per caso e non volontariamente, per cercare di migliorare le proprie condizioni di esistenza o per la curiosità e il sogno di una vita diversa. Qui come altrove, comunque, il punto fondamentale sta nel non cedere alla tentazione di considerare odio e paura come forme ‘naturali’ di rapporto con l’altro, magari da tenere a bada con la ‘tolleranza’. No, non lo sono, se non quanto l’empatia e la cooperazione. Quel tipo particolare di odio e misconoscimento dell’altro che chiamiamo razzismo non è eterno: ha origini storiche, ha avuto un inizio e dunque può avere una fine.

1 commento:

  1. anche Emiliano Deiana bersaglio dei poveri di spirito

    http://www.sardiniapost.it/cronaca/aquarius-emiliano-deiana-dalla-parte-dei-migranti-centinaia-insulti/

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