Ogni anno, in Italia, il valore
dello spreco alimentare è di «12 miliardi di euro che, se
sommiamo tutti gli altri anelli della filiera agroalimentare, arrivano a 15 miliardi, quasi un punto di Pil. Considerando
tutta la filiera campo-tavola, nei nostri piatti lo spreco rappresenta la metà
di quello che produciamo. A questo valore economico bisogna aggiungere il costo
di smaltire rifiuti, e risorse naturali utilizzate per produrre cibo». A dare i
numeri è l’agroeconomista Andrea
Segrè, fondatore di Last
Minute Market, citando i nuovi dati del report Waste Watcher e Fusions (Last
Minute Market / Swg / UnIbo). L’occasione per incontrarlo è
l’happening “In the name of Africa”, copromosso da Cefa Onlus e dalla campagna “Spreco Zero” di Last Minute Market, che ha riempito
Piazza Duomo con 10mila piatti vuoti, bianchi e blu, e palloncini gialli, in
attesa del World Food Day, la Giornata
Mondiale dell’Alimentazione (domenica
16 ottobre, giornata in cui ad essere “invasa” sarà Piazza Maggiore a Bologna), per
sensibilizzare sul tema del recupero degli sprechi alimentari e della fame, in
particolare in Mozambico.
«La questione dello spreco
alimentare è strettamente connessa alla malnutrizione e alla fame nel mondo»,
sottolinea Segrè,
confrontando i dati nazionali con quelli mondiali: «Il valore economico del
cibo sprecato a livello globale si aggira intorno ai mille miliardi di dollari
all’anno, ma sale a circa 2600
miliardi di dollari se
si considerano i costi “nascosti” legati all’acqua e all’impatto ambientale. I
Paesi membri dell’Unione Europea, invece, sprecano ogni anno 143 miliardi di euro:
vuol dire che ciascun cittadino europeo butta via 173 chilogrammi di cibo».
Anche i nuovi dati sulla fame
nel mondo confermano un
pianeta diviso a metà, in cui una parte di popolazione butta ciò che mangia, e
l’altra muore di fame o soffre di malnutrizione. Una persona su nove, sul
nostro pianeta, non ha abbastanza cibo: parliamo di 795 milioni di individui. La regione con la più alta incidenza
(percentuale della popolazione) della fame è l’Africa Sub-sahariana, dove ad
essere sottoalimentata è una
persona su 4. Quasi un
milione di bambini in Africa soffre di malnutrizione grave.
Cosa possiamo fare, nel nostro
piccolo, per ridurre
gli sprechi? Segrè consiglia di «riprendere i consigli delle nonne:
fare la lista della spesa, imparare ad usare il frigorifero, riutilizzare ciò
che non mangiamo, in modo che, oltre a dimagrire un po’ noi, dimagrisca anche
il secchio della spazzatura». In questo la Lombardia risulta particolarmente virtuosa:
secondo il report, sei lombardi su 10 predispongono sistematicamente una lista
della spesa per evitare acquisti inconsulti (il 59%, a fronte del dato
nazionale del 50%), il 62% dichiara di non gettare ‘quasi mai’ il cibo ancora
buono (il dato nazionale è del 50%) e il 9% di farlo una o due volte alla settimana
(in linea con il resto d’Italia). Sulle cause
dello spreco alimentare, il 52% dei lombardi dichiara di aver
acquistato troppo cibo (contro il 48% dato nazionale) e il 25% di non averlo
conservato adeguatamente.
Durante tutta la giornata “In the name of Africa” ogni spettatore può riempire un piatto
vuoto con spighe e palloncini gialli fino a comporre il disegno di un campo di
grano, con papaveri e fili d’erba, simbolo della vittoria sulla fame. Per farlo
dovrà dare un contributo di 7 euro, il cui ricavato sosterrà il progetto AfricHandProject,
una filiera lattiero-casearia, in grado di generare cibo e lavoro per le
comunità rurali nel distretto di Beira, in Mozambico.
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