mercoledì 12 ottobre 2016

In un secchio bucato non ci si mette acqua - Maurizio Pallante


In Italia noi sprechiamo il 70 per cento dell’energia che utilizziamo. Un sistema che spreca il 70 per cento di energia è come un secchio bucato! Un secchio bucato in cui si mette dentro acqua, ma si mette molta di più di quella che si riesce a utilizzare.
Di fronte a questa situazione in genere gli ambientalisti hanno detto che bisogna sostituire le fonti fossili con le rinnovabili, noi diciamo che la priorità non è questa, ma ridurre il buco nel secchio, cioè gli sprechi di energia! E soltanto se si saranno ridotti questi, primo passaggio, logico e metodologico, si potranno sviluppare in maniera significativa le fonti rinnovabili, perché le fonti rinnovabili sono in grado di soddisfare, non sono in grado di soddisfare gli sprechi che ci hanno consentito di soddisfare le fonti fossili, per cui se non vogliamo che restino in una a percentuale limitata e parziale del fabbisogno, prima bisogna ridurre il fabbisogno riducendo gli sprechi e poi soddisfare il fabbisogno residuo con le fonti rinnovabili.
Ecco, questa politica è una politica in decrescita, perché se noi riduciamo gli sprechi di energia stiamo riducendo il consumo di quello che noi chiamiamo una merce, cioè un qualche cosa che si compra e si paga, che fa crescere il Prodotto interno lordo (leggi anche Possiamo abbandonare il Pil di Paolo Cacciarindr), ma non è un bene, perché non riesce a risolvere nessun problema degli esseri umani, l’energia che si mette in una casa e che si disperde dalle finestre, dal soffitto o le pareti, non ha nessun tipo di utilità.
Ecco, ma se si fa una politica incentrata sulla riduzione degli sprechi, cioè su una decrescita selettiva del Prodotto interno lordo, sulla diminuzione del consumo di una risorsa, che è una merce ma non è un bene (leggi anche Beni e merci: è così difficile da capire?), questi interventi innanzitutto si pagano da se, perché se si riduce lo spreco di una casa in un certo numero di anni la riduzione dei consumi comporta una riduzione dei costi che vanno a ammortizzare gli investimenti che sono stati necessari per ridurre i consumi.
Secondo, oltre a pagarsi da se questa tecnologia crea una occupazione utile, come dicevo prima, ma soprattutto crea tanta occupazione. C’è stato uno studio del Sole 24 Ore (2012), in cui dice queste cose, le leggo così come sono state scritte: per ogni 10 miliardi di Euro investiti nella riduzione degli sprechi, non nelle fonti rinnovabili, si possono ricavare 130 mila nuovi posti di lavoro di buona qualità, mentre investendo la stessa cifra in grandi opere si darebbe lavoro al massimo a 7 mila e 300 persone, cioè la logica della crescita comporterebbe un incremento occupazionale molto inferiore, il rapporto di 7 mila e 300 a 130 mila rispetto a una logica di decrescita selettiva.
Ma come si fa a fare una cosa di questo genere? Per ridurre gli sprechi di un paese come il nostro serve sapere penetrare in tutte le pieghe del sistema, in tutti gli edifici che hanno sprechi, in tutte le abitazioni, in tutti i luoghi di lavoro e così via, cioè quello che serve è avere, valorizzare le professionalità della piccola e media industria dell’artigianato, perché soltanto dei professionisti, delle aziende radicate sul territorio, sono in grado di fare una operazione di questo genere.
Pensate che la rivista ufficiale della confederazione per la piccola e media industria, cioè una organizzazione patronale, ha in un numero della sua rivista ufficiale ha messo come titolo crescita infinita o decrescita felice?
A cosa puntano le grandi opere? L’obiettivo è quello, diciamo irraggiungibile, oltre che non desiderabile di rilanciare l’economia attraverso le grandi opere che non servono, illudendosi di creare posti di lavoro che come abbiamo detto sono molto inferiori dei posti di lavoro che si possono creare in attività che riducono l’impatto ambientale, lo spreco di risorse e che si pagano da se con i risparmi che consentono di ottenere. (fontepagina facebook di Maurizio Pallante)

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