In Italia noi sprechiamo il 70 per cento dell’energia che utilizziamo. Un sistema che spreca
il 70 per cento di energia è come un secchio bucato! Un secchio bucato in cui si mette dentro
acqua, ma si mette molta di più di quella che si riesce a utilizzare.
Di fronte a questa situazione in genere gli ambientalisti hanno detto che
bisogna sostituire le fonti fossili con le rinnovabili, noi diciamo che la
priorità non è questa, ma ridurre il buco nel secchio, cioè gli sprechi di
energia! E soltanto se si saranno ridotti questi, primo passaggio, logico e
metodologico, si potranno sviluppare in maniera significativa le fonti
rinnovabili, perché le fonti rinnovabili sono in grado di soddisfare, non sono
in grado di soddisfare gli sprechi che ci hanno consentito di soddisfare le
fonti fossili, per cui se non vogliamo che restino in una a percentuale limitata
e parziale del fabbisogno, prima bisogna ridurre il fabbisogno
riducendo gli sprechi e poi soddisfare il fabbisogno residuo con le fonti
rinnovabili.
Ecco, questa
politica è una politica in decrescita, perché se noi riduciamo gli sprechi di
energia stiamo riducendo il consumo di quello che noi chiamiamo una merce, cioè
un qualche cosa che si compra e si paga, che fa crescere il Prodotto interno
lordo (leggi anche Possiamo abbandonare il Pil di Paolo Cacciari, ndr),
ma non è un bene, perché non riesce a risolvere nessun problema degli esseri
umani, l’energia che si mette in una casa e che si disperde dalle finestre, dal
soffitto o le pareti, non ha nessun tipo di utilità.
Ecco, ma se si fa una politica incentrata sulla riduzione degli sprechi,
cioè su una decrescita selettiva del Prodotto interno lordo, sulla diminuzione del
consumo di una risorsa, che è una merce ma non è un bene (leggi anche Beni e merci: è così difficile da
capire?), questi interventi
innanzitutto si pagano da se, perché se si riduce lo spreco di una casa in un
certo numero di anni la riduzione dei consumi comporta una riduzione dei costi
che vanno a ammortizzare gli investimenti che sono stati necessari per ridurre
i consumi.
Secondo, oltre a pagarsi da se questa tecnologia crea una occupazione
utile, come dicevo prima, ma soprattutto crea tanta occupazione. C’è stato uno
studio del Sole 24 Ore (2012), in cui dice queste cose, le leggo così come sono
state scritte: per ogni 10 miliardi di Euro investiti nella riduzione degli
sprechi, non nelle fonti rinnovabili, si possono ricavare 130 mila nuovi posti
di lavoro di buona qualità, mentre investendo la stessa cifra in grandi opere
si darebbe lavoro al massimo a 7 mila e 300 persone, cioè la logica della
crescita comporterebbe un incremento occupazionale molto inferiore, il rapporto
di 7 mila e 300 a 130 mila rispetto a una logica di decrescita selettiva.
Ma come si fa a fare una cosa di questo genere? Per ridurre gli
sprechi di un paese come il nostro serve sapere penetrare in tutte le pieghe
del sistema, in tutti gli edifici che hanno sprechi, in tutte le abitazioni, in
tutti i luoghi di lavoro e così via, cioè quello che serve è avere,
valorizzare le professionalità della piccola e media industria
dell’artigianato, perché soltanto dei professionisti, delle aziende radicate sul
territorio, sono in grado di fare una operazione di questo genere.
Pensate che la rivista ufficiale della confederazione per la piccola e
media industria, cioè una organizzazione patronale, ha in un numero della sua
rivista ufficiale ha messo come titolo crescita infinita o decrescita felice?
A cosa puntano le grandi opere? L’obiettivo è
quello, diciamo irraggiungibile, oltre che non desiderabile di rilanciare
l’economia attraverso le grandi opere che non servono, illudendosi di creare
posti di lavoro che come abbiamo detto sono molto inferiori dei posti di lavoro
che si possono creare in attività che riducono l’impatto ambientale, lo spreco
di risorse e che si pagano da se con i risparmi che consentono di ottenere.
(fonte: pagina facebook di
Maurizio Pallante)
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