Filiera
corta: nel nostro Paese ha quasi assunto una connotazione modaiola, ma è una
modalità di produzione e consumo prevalentemente
alimentare che ancora sfama fino all’80% delle persone nei Paesi più poveri. Anche in Europa un cittadino su 5, secondo un
sondaggio promosso da Eurobarometro nel 2016, sosteneva che bisognasse
rafforzare la posizione degli agricoltori nella filiera[i] e secondo uno studio condotto dal
European Parliamentary Research Service (EPRS) il 15% dei contadini europei già allora vendeva ben la
metà del suo raccolto molto vicino a dove lo produceva[ii].Una
necessità legata alla sopravvivenza dell’azienda, nel caso dell’agricoltura di
piccola e media dimensione, la taglia d’azienda prevalente a livello globale,
contrariamente a quanto comunemente si pensi. Secondo il Copa-Cogeca,
l’associazione mainstream delle aziende agricole europee, gli agricoltori ricevono in media il 21%
della quota del valore del prodotto agricolo mentre il 28% va ai trasformatori
e fino al 51% ai dettaglianti.E’ stato il precedente programma europeo
di finanziamento della Politica agricola comune (2014-2020) che per la prima
volta ha introdotto tra i fondi Pac degli strumenti specifici, e nel suo
rinnovo attualmente in corso c’è una forte opposizione da parte dell’industria
agroalimentare nel rifinanziamento di queste opportunità. La Commissione
europea, secondo quanto ha spiegato di recente Euractiv[iii], ha in mente di lasciare agli Stati
membri la possibilità di progettare
programmi su misura con un 15% delle loro dotazioni PAC tra pagamenti diretti e
sviluppo rurale, scaricando in qualche misura ad essi la responsabilità di
decidere se scommettere o meno sulla piccola dimensione. [iv]Una delle esperienze a livello europeo che potrebbe fare la
differenza nella scelta degli Stati a favore di questo tipo di modelli è quella
delle Csa: Comunità che Supportano l’Agricoltura
che hanno superato in Europa un milione tra produttori e consumatori
organizzati, in Francia le 2mila esperienze,
stando ai dati più recenti raccolti dal loro network internazionale Urgency[v], in Italia come in altri Paesi europei
come Belgio, Germania e Spagna sono intorno a 100 [vi]. La CSA crea un rapporto diretto tra chi
produce e chi consuma, dove i soci – spesso organizzati in Gruppi d’acquisto
solidale -prefinanziano e/o partecipano ai lavori agricoli e quindi fruiscono
dei prodotti della terra. La
CSA fa sì che produttore e consumatore condividano, così, i rischi di chi
coltiva la terra, sottraendo completamente la produzione dalle logiche e dalle
strettoie della grande distribuzione e del mercato convenzionale.Una
delle esperienze-pilota in Italia di questa modalità di vivere la produzione
agricola all’interno della comunità locale si chiama Arvaia, cooperativa
agricola biologica nata nel 2013 a Bologna e strutturata come CSA[vii]. 40 ettari di terreno alle porte della
città il cui raccolto di verdura, frutta, tuberi, legumi, cereali, oltre 75
varietà di ortaggi viene suddiviso tra i soci che hanno finanziato l’anno
agricolo in corso.
Nel fine
settimana del 23-24 giugno molte diverse CSA italiane, formate o in via di
formazione, si sono incontrate presso gli spazi di Villa Bernaroli, adiacenti
ai terreni di Arvaia, per confrontare le tante diverse sfaccettature in cui
l’acronimo CSA ha preso corpo nei diversi territori, con lo scopo finale di
creare una rete nazionale che si connetta a quella mondiale di Urgenci[viii].
E nella
settimana intorno al 16 ottobre, quando la Fao celebra la Giornata mondiale
dell’alimentazione, Urgenci chiamerà a raccolta molte
di queste esperienze da tutta Europa per lanciare un messaggio chiaro: già oggi
metà degli abitanti della terra vivono nelle città, e potrebbero arrivare al 66% entro il 2050. Se
pensiamo che sarà l’industria agroalimentare a sfamarli, guardiamo a un modello
che tra sprechi, impatto ambientale, impatto sociale potrebbe contribuire in
modo determinante al collasso del pianeta.
Fairwatch,
come coordinatore di uno dei progetti della Rete dell’economia solidale
italiana, sosterrà la partecipazione di alcuni rappresentanti
delle Csa italiane agli eventi di Urgency a Roma e al percorso di formazione[ix] che permetterà a queste esperienze
italiane di essere sempre più integrate nella rete europea. Una forza
necessaria per orientare la nuova Politica agricola comune, e i piani che ne
discenderanno a livello nazionale e regionale, verso una prospettiva più
sostenibile e lungimirante della produzione e del consumo di cibo.
*vicepresidente
dell’Associazione Fairwatch
[i]http://ec.europa.eu/COMMFrontOffice/publicopinion/index.cfm/Survey/getSurveyDetail/instruments/SPECIAL/surveyKy/2087[ii]http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/BRIE/2016/586650/EPRS_BRI%282016%29586650_EN.pdf[iii] https://www.euractiv.com/section/agriculture-food/special_report/short-food-supply-chains-in-europes-north/[iv] https://ec.europa.eu/commission/news/tackling-unfair-trading-practices-food-supply-chain-2018-apr-12-0_en[v] https://urgenci.net/[vi] https://urgenci.net/community-supported-agriculture-as-a-model-for-a-new-common-food-and-agriculture-policy/[vii] http://www.arvaia.it/[viii] https://comune-info.net/2018/06/agricoltura-di-comunita-csa/[ix] https://urgenci.net/happy-trainers-new-perspectives/
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