Terza puntata di un’inchiesta in tre parti sulla
grande distribuzione organizzata. Prima puntata, seconda puntata.
“Vedete, è come giocare alla slot machine”. Seduto di fronte al suo
computer, Francesco Franzese digita freneticamente sui tasti simulando il gioco
al quale si è trovato suo malgrado a partecipare in un giorno non troppo
lontano. Questo manager di 37 anni, amministratore delegato del gruppo che
produce i pelati e la passata La Fiammante, ha il dente avvelenato contro una
prassi che si sta sempre più affermando tra gli operatori della grande
distribuzione organizzata (gdo): quella delle aste online al doppio ribasso.
“Funziona così: ti arriva una email in cui ti si chiede a quale prezzo sei
disposto a vendere una partita di un tuo prodotto, per esempio un milione di
scatole di passata. Tu fai un’offerta. Il committente raccoglie le offerte e
poi convoca un nuovo tender. L’offerta
più bassa diventa la base d’asta”. Nella sua fabbrica di Buccino, in provincia
di Salerno, dove produce pelati, passate e peperoni arrosto, Franzese non
risparmia i dettagli di quella che definisce “la pratica più scorretta in
assoluto della grande distribuzione”.
Una pratica che lui paragona né più né meno al gioco d’azzardo. “Ci mettono
intorno a una piattaforma e dobbiamo rilanciare sull’offerta. Ma è la prima
asta che ho visto in vita mia in cui i rilanci sono dei ribassi!”. Franzese
racconta come alcuni altri imprenditori abbiano abbassato l’offerta al di sotto
di ogni limite accettabile pur di aggiudicarsi la commessa. “Si sono fatti
prendere dalla febbre del gioco e si sono fatti davvero male”.
Venditori senza tutele
Il meccanismo delle aste inverse, o al doppio ribasso, si sta diffondendo sempre di più come pratica di acquisto da parte di grandi gruppi – e anche della pubblica amministrazione – per diversi tipi merceologici. Sui prodotti alimentari, è molto in voga in vari paesi europei e in Nordamerica. Con un po’ di ritardo, sta sfondando anche in Italia. Oggi si svolge per parecchi prodotti confezionati: oltre al pomodoro, l’olio, il caffè, i legumi e le conserve di verdura. Portato inizialmente dai grandi gruppi esteri del discount, in primis Lidl, e dagli operatori francesi (Carrefour e Auchan), è oggi pratica comune di tutte le catene distributive, con poche eccezioni.
Il meccanismo delle aste inverse, o al doppio ribasso, si sta diffondendo sempre di più come pratica di acquisto da parte di grandi gruppi – e anche della pubblica amministrazione – per diversi tipi merceologici. Sui prodotti alimentari, è molto in voga in vari paesi europei e in Nordamerica. Con un po’ di ritardo, sta sfondando anche in Italia. Oggi si svolge per parecchi prodotti confezionati: oltre al pomodoro, l’olio, il caffè, i legumi e le conserve di verdura. Portato inizialmente dai grandi gruppi esteri del discount, in primis Lidl, e dagli operatori francesi (Carrefour e Auchan), è oggi pratica comune di tutte le catene distributive, con poche eccezioni.
“Tu ti trovi di fronte a una piattaforma digitale insieme ad altri
fornitori. Entri con un tuo user name e una password e hai pochi minuti per
aggiudicarti la partita. Non sai chi sono gli altri partecipanti. Sei solo
davanti al tuo computer, costretto ad abbassare di volta in volta la tua
offerta”. Nessun meccanismo legislativo regola questo strumento di vendita:
essendo un passaggio business-to-business e non business-to-consumer, le tutele
sono quasi inesistenti per il venditore.
L’unico vincolo che quest’ultimo ha è che non può vendere al di sotto del
prezzo di produzione, indicato in una colonnina all’inizio del foglio excel
all’interno del quale si fanno le quotazioni. “Ma spesso accade che gli acquirenti
ci chiedono semplicemente di modificare al ribasso quel numeretto in modo che
tutto sia perfettamente legale”, continua Franzese. “Così in diversi casi miei
colleghi hanno venduto la merce al di sotto del costo di produzione”.
L’imprenditore confessa di aver partecipato più per capire come funziona
che per reale volontà di vendere il prodotto. “La mia è un’azienda piccola, che
non ha l’economia di scala per aggiudicarsi un’asta di questo tipo”. Ma non si
stanca di denunciare la pratica, nonostante il suo uscire allo scoperto possa
creargli qualche problema con gli operatori della grande distribuzione
organizzata (gdo), che controllano il canale di vendita dei suoi prodotti. “È
importante gettare luce su questo meccanismo perverso perché schiaccia tutta la
filiera”.
Sì, perché l’industriale che vende sotto costo dovrà poi rivalersi
sull’agricoltore che gli fornisce la materia prima. Nel caso specifico del
pomodoro, le aste si fanno in primavera, prima cioè che ci sia il prodotto e
soprattutto prima che i rappresentanti dell’industria di trasformazione e
quelli degli operatori agricoli abbiano chiuso il contratto che stabilisce il
prezzo di vendita.
Così, l’industriale vende al buio un prodotto che non ha e che non sa
ancora quanto pagherà. A quel punto, cercherà di chiudere il contratto al
prezzo che la gdo ha già stabilito in anticipo con le aste, senza tenere in
alcun conto la situazione reale sul terreno. “In un certo senso con le aste
online, l’industriale vende la pelle del contadino”.
“Siamo alla guerra tra poveri”
A circa 200 chilometri di distanza da Buccino, nelle campagne del Tavoliere della Puglia che d’estate si colorano di rosso del pomodoro da industria, Raffaele Ferrara ha parole altrettanto dure: “Vent’anni fa, quando c’era la lira, noi agricoltori ricevevamo 200 lire al chilo per il pomodoro. Oggi lo dobbiamo vendere all’equivalente di circa 150 lire. Perché la grande distribuzione vuole spuntare prezzi sempre più bassi”.
A circa 200 chilometri di distanza da Buccino, nelle campagne del Tavoliere della Puglia che d’estate si colorano di rosso del pomodoro da industria, Raffaele Ferrara ha parole altrettanto dure: “Vent’anni fa, quando c’era la lira, noi agricoltori ricevevamo 200 lire al chilo per il pomodoro. Oggi lo dobbiamo vendere all’equivalente di circa 150 lire. Perché la grande distribuzione vuole spuntare prezzi sempre più bassi”.
Direttore dell’azienda agricola La Palma, che ha diverse decine di ettari
coltivati a pomodoro a Lesina, nel basso Gargano, Ferrara è nel settore da
almeno trent’anni. Ha visto l’evoluzione dei prezzi, il crollo del valore e,
sia pure da un anello più a valle della filiera, lo sviluppo delle nuove
pratiche d’acquisto della grande distribuzione. “Fanno delle aste su internet,
in cui abbassano il prezzo a livelli insostenibili. Così, poi, gli industriali
si rifanno su di noi”. Ferrara è sconsolato. Si dice pronto a smettere. “Ma che
ne sarà di questa terra?”, si domanda. “La gdo fa questo per vendere una
scatola di pelati a 70 centesimi invece che a 90. Intanto distrugge un’intera
economia. Qui siamo alla guerra tra poveri”.
Molto diffuso in altri paesi, il meccanismo delle aste è ormai prassi
comune anche in Italia. Secondo uno studio presentato alla fiera Marca di Bologna nel
gennaio scorso, il nostro paese si sta allineando alla media estera:
in Italia si ha un’incidenza delle aste di circa il 50 per cento sui discount e
poco meno sulle catene classiche della grande distribuzione.
“La diffusione delle aste è uno
strumento utilizzato da alcune catene per velocizzare le transazioni e che
parte da un dato oggettivo: la grande distribuzione ha maggiore forza negoziale
dei fornitori. Questi si devono adeguare”, sostiene un ex operatore che ha
lavorato per diversi gruppi e che non vuole essere citato per nome. “In
generale”, continua, “è una prassi non molto equa, in cui la grande
distribuzione organizzata esercita in modo eccessivo il suo potere”.
Ma chi convoca queste aste? Spesso sono le cosiddette supercentrali
europee, mega-alleanze tra grandi catene distributive di vari paesi, a guidare
il negoziato. È il caso per esempio di Coopernic, la grande centrale con sede a
Bruxelles di cui fa parte anche il gruppo Coop Italia. Il capitolato d’asta è
molto complicato. “Si impiegano due o tre giorni a riempire tutte le carte”,
racconta Franzese. Ma il principio è semplice: ci sono le diverse quantità di
prodotti e il prezzo unitario a cui si devono vendere. Chi fa l’offerta più
bassa, vince. “Ma spesso è una vittoria di Pirro. Perché subito dopo comincia
la parte difficile: riuscire a garantire la consegna del prodotto a quei prezzi
irrisori”.
In Francia è stato regolamentato
Tra i grandi gruppi presenti nel mercato della grande distribuzione organizzata in Italia, sono in molti a usare le aste. Ci sono i discount come Eurospin e Lidl, oltre ai gruppi francesi (Carrefour e Auchan) e, tra gli italiani, Coop Italia. Conad, Esselunga e Unes la ritengono una prassi non in linea con i loro princìpi.
Tra i grandi gruppi presenti nel mercato della grande distribuzione organizzata in Italia, sono in molti a usare le aste. Ci sono i discount come Eurospin e Lidl, oltre ai gruppi francesi (Carrefour e Auchan) e, tra gli italiani, Coop Italia. Conad, Esselunga e Unes la ritengono una prassi non in linea con i loro princìpi.
Abbiamo chiesto a tutti dettagli sulla pratica delle aste ma avere una
risposta non è stato semplice. Molti hanno preferito non rispondere. Eurospin
si è limitata a un laconico “non siamo interessati ad aderire all’iniziativa”.
Lidl e Carrefour hanno lasciato inevase le domande dopo un primo contatto
telefonico e diverse sollecitazioni.
Unica eccezione in questo mare di silenzio, Coop Italia. Nella sua
risposta, il primo gruppo italiano della gdo puntualizza che “l’asta online non
è una pratica diffusa in Coop, è adottata in casi eccezionali, opportunamente
selezionati, e solo per le forniture di prodotto da primo prezzo”, ovvero quei
prodotti con il prezzo più basso di quella categoria. Tale pratica, sempre
secondo Coop, permette “di avere uno stato delle quotazioni del mercato in
breve tempo, grazie alla velocità di raccolta delle informazioni necessarie
alla valutazione dell’offerta di prodotto, in termini qualitativi e di prezzo”.
In conclusione, il gruppo ammette alcune criticità dello strumento e si impegna
“a condividere tale tematica con altri partner europei della grande
distribuzione”.
Quali siano le dimensioni del fenomeno è difficile da dire, vista la totale
assenza di trasparenza da parte della gdo a voler fornire risposte su questo.
Per gli addetti del settore è una pratica in crescita che presenta notevoli
criticità. Si tratta di “una modalità di approvvigionamento considerata molto negativamente
non solo per il suo impatto sui margini, ma per le implicazioni che può avere
quando i capitolati, mal definiti, lasciano aperte aree grigie in merito alla
qualità dei prodotti”, analizza lo studio presentato a Marca.
Ma è possibile porre un argine legale a questa pratica? In quanto
meccanismo di scambio business-to-business, la regolamentazione è meno
stringente di quella che riguarda i rapporti con i consumatori. Molti operatori
del settore, anche quelli che più risentono di questo tipo di contrattazioni
elettroniche, ritengono che una regolamentazione sarebbe bocciata
dall’antitrust perché violerebbe le regole del libero mercato.
Eppure, in Francia è stato fatto. In seguito a un dibattito che ha
attraversato l’opinione pubblica subito dopo la comparsa di questo strumento,
nell’agosto del 2005 l’assemblea nazionale ha approvato una legge (la legge
Jacob) tesa a inquadrare le “enchères électroniques inversées” (aste
elettroniche inverse).
Nel testo si stabiliscono alcune norme che aumentano la trasparenza nelle
contrattazioni, sanzionano la possibilità di introdurre partecipanti falsi per
far abbassare i prezzi. E, soprattutto, stabiliscono che le aste online non
possono essere uno strumento per trovare prezzi più concorrenziali rispetto ai
fornitori storici, a cui deve essere dato un congruo preavviso per la rottura
della relazione.
Dopo questo intervento, l’incidenza delle aste nel settore alimentare è
sensibilmente calata, insieme alle lamentele dei fornitori che avevano
sollevato il caso. Visto lo sconforto dei fornitori, e gli stessi dubbi di
grandi operatori della gdo, forse un intervento legislativo in questo senso
sarebbe utile anche in Italia. In modo da restituire valore a una filiera e
respiro a un’economia agricola che appare sempre più in affanno.
da qui
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