Ai
sostenitori “senza se e senza ma” delle Grandi opere, che nel crollo del ponte
Morandi vedono solo l’occasione per recriminare la mancata realizzazione della
Gronda, passaggio complementare e non alternativo al ponte crollato, va
ricordato che anche quel ponte è
(era) una «Grande opera»: dannosa per l’ambiente e per le comunità tra cui
sorge e pericolosa per la vita e la salute di tutti. L’idea di piantare
dei pilastri di 90 metri in mezzo a edifici abitati da centinaia di persone e
di farvi passare sopra milioni di veicoli era e resta demenziale; come lo era e
resta la sopraelevata che ha cancellato e devastato uno dei fronte-mare più
belli e pregiati (forse il più bello e pregiato) del mondo: non a vantaggio di
Genova, ma per fluidificare il traffico del turismo automobilistico della
Riviera di Levante, così come il ponte Morandi serviva a quello della
Riviera di Ponente, negli anni “gloriosi” (?) della moltiplicazione delle
automobili. Con la conseguenza che quei
nastri di asfalto sono stati presi in ostaggio dal trasporto merci su gomma,
per il quale non erano stati pensati, lasciando languire la ferrovia, tanto che la linea
Genova-Ventimiglia (principale collegamento tra Italia e Francia e, se
vogliamo, con Spagna e Portogallo; altro che Torino-Lione!) è ancor oggi a
binario unico. Un’invasione di campo, quella dei Tir,
moltiplicata dalla successiva produzione just-in-time che
li ha trasformati in magazzini semoventi, cosa impossibile se le autostrade non
fossero state messe a loro completa disposizione e la ferrovia avesse mantenuto
il primato che le spetta.
Da almeno 30 anni si sa che il cemento armato,
specie se sottoposto a forti sollecitazioni come il passaggio di milioni di Tir
ed esposto alla pioggia, al gelo, ai veleni delle emissioni, al sale antigelo,
non dura più di cinquant’anni o poco più; e forse anche meno; ma nessuno, e
meno che mai i fautori della Gronda, avevano programmato una data certa per la
demolizione di quel ponte che oggi richiede anche la demolizione delle case
sottostanti. E oggi
si scopre che i ponti autostradali nelle stesse condizioni pre-crollo sono
almeno 10mila in Italia; e altrettanti in Francia, Germania e in qualsiasi
altro paese. Perché la grande
“esplosione” automobilistica del miracolo economico, che doveva aprire le porte
al futuro, al futuro proprio non guardava: né in Italia, paese
orograficamente disadatto a quel mezzo, né in paesi ad esso più consoni.
Chiunque
abbia anche solo ristrutturato il bagno di casa sa che costruire è
(relativamente) facile; demolire è più complicato, rimuovere (le macerie) è
difficilissimo; anche se forse non sa che smaltirle è devastante, soprattutto
in Italia dove scarseggiano gli impianti di recupero e mancano le leggi per
promuovere l’utilizzo dei materiali di risulta. Così, del futuro di tutti quei manufatti
stradali non ci si è mai occupati, nonostante che oggi, “cadendo dalle nuvole”,
si scopra che la loro demolizione e sostituzione rientra nell’ordinaria, perché
necessaria, manutenzione.
No. Il futuro del ponte Morandi non era la
sua demolizione; era la Gronda: 70 e più chilometri di gallerie e
viadotti (in cemento armato) lungo le alture di Genova: un’opera devastante in uno dei territori
più fragili della penisola, come dimostrano gli smottamenti e le
alluvioni sempre più gravi che ormai colpiscono la città quasi ogni anno. E
cinque miliardi, ma probabilmente molti di più, regalati ai Benetton con
l’aumento delle tariffe autostradali in tutta Italia invece di destinare quelle
e altre risorse al risanamento di un territorio ormai vicino al tracollo; il tutto
per liberare il ponte, se fosse rimasto in piedi, da non più del 20 per cento
del suo traffico… Non c’è esempio che
spieghi meglio quanto le risorse destinate alle Grandi opere inutili e dannose
siano sottratte al riassetto idrogeologico del territorio e alla manutenzione
di ciò che già c’è, abbandonandolo a un degrado incontrollato: lo stesso vale
per il Tav(Torino Lione, ma anche Genova-Tortona), il Mose; la
Brebemi (che vuol dire Brescia-Bergamo-Milano, ma che stranamente non passa per
Bergamo) le autostrade in costruzione in Lombardia e Veneto; il ponte sullo
stretto (altro che ponte Morandi!) che ha già divorato più di 500 milioni; un
gasdotto che attraversa territori in preda a eventi sismici quasi permanenti
invece di ricostruire quei paesi crollati per incuria e puntare all’abbandono
dei fossili. E così via. Con altrettante opportunità di creare lavoro
finalmente utile.
E giù a dare del “troglodita”, del nemico del
progresso, dell’oscurantista medioevale a chi, in nome della salvaguardia del
territorio, della convivenza sociale, della necessità di mettere in sicurezza,
e possibilmente di valorizzare, l’esistente, si oppone alle tante Grandi opere
inutili e devastanti promuovendo l’unica vera modernità possibile, che è la
cura e la manutenzione del proprio territorio, che è anche difesa di tutto il paese e dell’intero
pianeta: da restituire alla cura di chi vi abita, vi lavora e lo conosce a
fondo. Si discute di queste cose prigionieri di un eterno presente, senza
passato né futuro, come se tutto dovesse continuare allo stesso modo;
mentre si sa – o si dovrebbe sapere – che tra
non più di due o tre decenni, se vorremo sopravvivere ai cambiamenti climatici
che incombono, saremo costretti, volenti o nolenti, a cambiare radicalmente
stili di vita, modi di coltivare la terra e di nutrirci, uso dei suoli,
modalità di trasporto. Con tanti saluti sia al ponte Morandi, da non
ricostruire, che alla Gronda, da non realizzare.
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