Proprio
sotto la mia finestra, si è insediato da qualche notte Roberto. Milanese, un matrimonio andato a male
alle spalle, ancora abbastanza giovane, sistema i suoi cartoni ogni sera sotto l’arco del Cestello su un marciapiede largo forse cinquanta centimetri,
ci mette il sacco a pelo e si addormenta, con le macchine che gli passano
accanto e sotto un lampione sempre acceso. Stanotte, ha pure piovuto. Di Roberto mi piace il fatto che sa ancora ridere, non
è completamente distrutto dall’alcol: che ha invece minato il fantastico
mimo Passepartout,
che trovarono morto mesi dopo sulle pendici di Fiesole, e di cui vorrei tanto
sentire ancora il vocione; e Mariolino cui volevamo bene tutti e che se ne andò un po’ di
tempo fa; e il polacco che mi raccontava
dell’orgoglio e del senso dell’onore del suo popolo e poi morì congelato una
notta all’Anconella.
Lontanissimo da tutti costoro, c’è Giorgio, che ha
quarant’anni ed è il babbo di una figliola che di anni ne avrà cinque, e che gli corre gelosa in braccio
ogni volta che lui cerca di parlare con me. Giorgio non ha nessun problema di
dipendenza, dorme in un letto e sorride. Oggi lui si è offerto di fare
il volontario per tenere aperto anche lui il giardino, “tanto adesso sono
disoccupato”. Che ci diamo i turni per fare i suricati.
Poi, solo
perché comincio a porgli delle domande, mi dice, “ho lo sfratto esecutivo il
6 novembre”, e vien fuori tutta la storia. Uno che sta bene di salute, è un
bravo babbo, ha fatto cento mestieri diversi, ma
è stato piantato dalla moglie che l’ha cacciato di casa e ha perso pure il
lavoro, e i soldi che non ha, li deve passare alla moglie per mantenere i
figlioli, e se non glieli dà, lei corre subito dall’avvocato (ma lui stesso
dice, “questa è la mia campana“). Da lì si arriva alla polizia che si
presenterà sull’uscio di casa sua tra qualche settimana (e penso anche ai
poliziotti che conosco, e la cosa mi rattrista due volte).
Gli sfigati di Firenze hanno subito, in questo
periodo, un doppio disastro, a causa della morte di Lorenzo Bargellini:
incredibile quanto una sola persona (peraltro di origini aristocratiche, ma
questa è Firenze) abbia potuto migliorare la vita di centinaia di miserabili.
Però Lorenzo non c’è più (e penso alla poesia che scrisse Passepartout in suo
onore quando era ancora vivo). Sono rimasti solo coloro che Robin Hood ha salvato, e che non riescono a fare
quasi niente da soli.
“Avrei
dovuto sentire Lorenzo quando era ancora vivo”, mi confessa Giorgio. E già
questo fa riflettere su un primo punto: davvero i singoli, quando sono grandi,
contano molto più di quanto loro stessi vorrebbero ammettere.
Allora ne
parliamo con la F., che fa parte della confraternita degli incappucciati che da
sette secoli si occupa di disgraziati a Firenze, e insieme capiamo improvvisamente
una cosa. Il sistema non è preparato a occuparsi
delle persone normali che iniziano a cadere.
Giorgio non
può chiedere una casa al Comune, perché ne ha ancora una, e lo sfratto
incombente è irrilevante. Non ha figli a carico, perché glieli ha presi la
moglie. Certo, ogni mercoledì, dalle 12 alle 13, c’è un numero del Comune cui
chi si trova nelle sue condizioni può telefonare, peccato che sia sempre
occupato. Anche gli incappucciati danno case solo ai disgraziati davvero
disgraziati, non certo a quarantenni in buona salute. Perché la
misericordia, l’assistenza, il volontariato sono sempre
verso chi si trova molti piani al di sotto di noi. O sei una persona
normale e paghi settecento euro al mese di affitto, o sei un drogato paralitico
con sette figli tutti con il morbo di Parkinson, e solo allora si commuovono e
ti aiutano dall’alto, ti danno la casa a quaranta euro al mese, che poi non
riesci nemmeno a pagare, per cui ti sfrattano lo stesso.
Eppure
basterebbe che trovassero un tetto a duecento euro al mese, per l’immenso
numero di persone normali che stanno lentamente
scendendo dalla parte sbagliata della curva di Seneca. C’è un’umanità intera che sta scivolando, non di Passepartout clochard, ma di persone come noi.
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