L’olandese Randstad è una delle principali agenzie al mondo di lavoro
interinale. È finita nel mirino delle proteste studentesche del 13 ottobre 2017 per
un progetto intitolato “Un giorno da Fico”. I ragazzi contestavano una delle
novità più importanti della legge del governo Renzi sulla Buona scuola: il principio dell’alternanza scuola-lavoro,
che prevede l’obbligo per gli studenti dell’ultimo triennio delle superiori di
fare un’esperienza formativa – tra le 200 e le 400 ore a seconda che si tratti
di un istituto tecnico o di un liceo – in un’azienda, un’istituzione,
un’associazione sportiva o di volontariato, perfino in un ordine professionale.
Nell’elenco c’è pure Fico Eataly World, la Fabbrica italiana contadina di
Oscar Farinetti – una società partecipata da Eataly World, Coop Alleanza 3.0 e
Coop Reno – che aprirà il 15 novembre. La Randstad è finita sul banco degli
imputati perché accusata di reclutarle manodopera gratuita.
Per capirne di più chiedo ai diretti interessati. Negli uffici dell’ex
Mercato ortofrutticolo alla periferia di Bologna, negano accuse e sospetti.
Spiegano che il progetto è della Randstad, si svolgerà nelle scuole e alla fine
da loro arriverà solo un pugno di ragazzi, “non più di sette o otto”, e
comunque “non verranno a fare i lavapiatti”.
L’amministratrice delegata Tiziana Primori dice che c’è un protocollo
“sulla tutela dell’occupazione, la qualità del lavoro e la valorizzazione delle
relazioni sindacali” firmato con i sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil e il
comune di Bologna, per “favorire la piena regolarità delle condizioni di
lavoro, l’agibilità sindacale, il diritto d’assemblea e la trasparenza della
filiera delle aziende presenti nel parco”. Fico, spiega, darà lavoro stabile a
settecento persone, mentre altre tremila lavoreranno nell’indotto.
Ne parlo con Marta Fana, ricercatrice all’università Sciences Po di Parigi,
autrice di Non è lavoro, è sfruttamento.
“Bisognerà vedere quante saranno le assunzioni stabili e quanti i contratti di
somministrazione, dunque precari”, dice. Fana contesta a Farinetti la “gestione
politica” della nascita di Fico: “Perché la regione ha speso 400mila euro per
la formazione di persone per le quali non c’è la certezza di assunzione?”. A
suo parere, le istituzioni locali, guidate dal Partito democratico, non
avrebbero dovuto mettersi al servizio di quello che definisce solo “l’ennesimo
centro commerciale”.
Dalla Randstad rendono noti i contenuti dell’accordo con la nuova impresa
di Farinetti: i dipendenti della multinazionale olandese gireranno le scuole di
tutta Italia per “illustrare ai ragazzi i nuovi trend del mercato del lavoro,
guidarli in un tour virtuale di Fico Eataly World e lanciare un project work”
sul tema dell’innovazione nella filiera agroalimentare. Il progetto coinvolgerà
20mila studenti, appunto, e prevede 300mila ore di alternanza scuola-lavoro, ma
a Fico i ragazzi ci passeranno appena una giornata, per assistere a un convegno
sul tema della “Food innovation”, al termine del quale saranno premiate le
scuole vincitrici.
Istituzioni, università, entusiasti
Gli studenti non sono andati molto per il sottile, accomunando Fico ad Autogrill e a McDonald’s. Ma alla Fabbrica contadina bolognese respingono anche questi paralleli. Nello staff di Fico molti hanno lavorato a Slow food o hanno studiato all’università di Scienze gastronomiche fondata da Carlo Petrini a Pollenzo, in Piemonte, molti hanno lavorato a Eataly.
Gli studenti non sono andati molto per il sottile, accomunando Fico ad Autogrill e a McDonald’s. Ma alla Fabbrica contadina bolognese respingono anche questi paralleli. Nello staff di Fico molti hanno lavorato a Slow food o hanno studiato all’università di Scienze gastronomiche fondata da Carlo Petrini a Pollenzo, in Piemonte, molti hanno lavorato a Eataly.
L’amministratrice delegata Tiziana Primori arriva invece da Coop adriatica
ed è l’anello di congiunzione tra Eataly e il mondo cooperativo. Mi riceve nel
suo ufficio, dove campeggia una frase di Italo Calvino: “Se alzi un muro, pensa
a cosa lasci fuori”. Su un grande tavolo di legno apre una mappa del progetto e
spiega: “Questo non è un luogo dove si viene esclusivamente per comprare o per
mangiare, ma per conoscere”.
I visitatori, dice, potranno seguire l’intera filiera del prodotto. Prima
di sedersi a tavola per mangiare un piatto di pasta, per esempio, saranno
condotti da un “ambasciatore del gusto” a vedere un campo di grano, la
macinazione in uno dei due mulini a pietra e la nascita di una tagliatella di
Campofilone in uno dei tre pastifici. A supervisionare il tutto saranno le
facoltà di veterinaria e agraria dell’università di Bologna.
A Bologna tutti i poteri cittadini, istituzionali e privati, sono in
qualche misura coinvolti. Il comune ci ha messo la struttura, che varrebbe 55 milioni di euro. Per la
ristrutturazione sono stati raccolti 75 milioni di euro di fondi privati: 15
milioni sono arrivati dal sistema cooperativo, dieci da imprenditori locali e
altri 50 da casse previdenziali professionali.
Al progetto partecipano centocinquanta imprenditori grandi e piccoli (da
piccoli artigiani a grandi consorzi come quello del Parmigiano reggiano), i
ministeri dell’ambiente e dell’agricoltura, l’associazione dei borghi più belli
d’Italia e l’Ente nazionale italiano per il turismo (Enit), Slow food, le
università di Bologna e quella di Napoli, la Suor Orsola Benincasa .
Nelle ambizioni dei fondatori, la “Disneyland del cibo”, com’è stata
soprannominata, dovrebbe attirare quattro milioni di visitatori il primo anno e
arrivare a sei milioni nel giro di tre. Il sindaco Virginio Merola è così
entusiasta che è andato a Manhattan per presentarla alla stampa americana sulla
terrazza del Flatiron building, il grattacielo all’incrocio tra Broadway e la
Fifth avenue che oggi ospita Eataly New York. Per portare i turisti che
immagina diretti a frotte verso la periferia bolognese, ha annunciato un
servizio di bus elettrici.
Dentro il parco
Mi portano a visitare la struttura: centomila metri quadrati, di cui 80mila coperti, percorribile a piedi o su piste ciclabili con l’immancabile carrello della spesa. Ci sono due ettari di campi e stalle con più di duecento animali, dal maiale calabrese alla pecora di Altamura, e duemila cultivar. Solo un piccolo agrumeto è coperto, per ragioni climatiche.
Mi portano a visitare la struttura: centomila metri quadrati, di cui 80mila coperti, percorribile a piedi o su piste ciclabili con l’immancabile carrello della spesa. Ci sono due ettari di campi e stalle con più di duecento animali, dal maiale calabrese alla pecora di Altamura, e duemila cultivar. Solo un piccolo agrumeto è coperto, per ragioni climatiche.
All’interno, 40 fabbriche contadine producono carni, pesce, pasta, formaggi
e dolci. C’è anche una torrefazione del caffè. A ricordare che siamo a Bologna
ci pensano una fabbrica di Grana Padano e un intero padiglione dedicato alla
mortadella. Al centro ci sono un auditorium, un teatro e un cinema che sarà
gestito dalla Cineteca di Bologna.
Qui, fino all’altro ieri, sorgeva il Centro agroalimentare di Bologna
(Caab), nato negli anni novanta ma progettato nei settanta. Il presidente era
Andrea Segré, ex professore di politica agraria all’università di Bologna e
ideatore del Last minute market, un mercato nato per recuperare e riciclare i
prodotti invenduti. A quattro mesi dalla nomina, capito che il Caab languiva e
non avrebbe avuto futuro, Segré aveva contattato Farinetti “per sviluppare
l’idea del parco agroalimentare che da anni mi frullava nella testa”.
Era il novembre del 2012 e, ora che tutto si è realizzato, sarà lui a
presiedere la fondazione Fico, che dovrà promuovere programmi di “cultura della
sostenibilità economica, sociale, ambientale ed alimentare”.
Il comitato scientifico, presieduto dall’europarlamentare Paolo De Castro,
ex ministro delle politiche agricole nei governi D’Alema e Prodi, ha già messo
in cantiere le prime iniziative: una giornata sulla dieta mediterranea e la
creazione di un frutteto della biodiversità.
L’architetto ferrarese Thomas Bartoli ha rimesso a nuovo la struttura,
salvando pure un pezzo del vecchio mercato, che non chiuderà del tutto. Bartoli
è un fedelissimo del fondatore di Eataly. Mi spiega di aver mantenuto la
vecchia architettura industriale, ma con l’obiettivo di creare una “sensazione
contadina”, creando un continuum tra l’interno e i campi, e che il suo progetto
è a “cemento zero”, anzi ha recuperato due ettari “per aumentare la superficie
verde”. Ma, si schernisce, “l’idea di Fico è talmente forte che la
realizzazione architettonica è passata in secondo piano”.
Una Disneyland del cibo
Tutto bene, dunque? Fico sarà un esempio dell’Italia che riparte da cibo e turismo, cioè due dei suoi punti di forza? O, come sostengono i critici, è solo un modo furbo per capitalizzare la tendenza a mangiar bene, pulito e sano, come sostiene un fortunato slogan coniato dal fondatore di Slow food, Carlo Petrini?
Tutto bene, dunque? Fico sarà un esempio dell’Italia che riparte da cibo e turismo, cioè due dei suoi punti di forza? O, come sostengono i critici, è solo un modo furbo per capitalizzare la tendenza a mangiar bene, pulito e sano, come sostiene un fortunato slogan coniato dal fondatore di Slow food, Carlo Petrini?
In un libro intitolato La danza delle mozzarelle, lo
scrittore Wolf Bukowski prende di mira il modello di narrazione del cibo che
parte da Slow food, e prima ancora dal Gambero rosso, per finire a Coop, a
Eataly e alla sua ultima evoluzione: la Fabbrica contadina di Bologna, appunto.
“Fico non è solo un parco giochi per rudi cooperatori e costruttori edili, ma è
proprio una Disneyland, un mondo dove fantasia e realtà del capitale si
rispecchiano reciprocamente”, scrive Bukowski, che attacca frontalmente
l’ideologia di Renzi e Farinetti, improntata al marketing e all’ottimismo, in
politica come al supermercato, in cui il conflitto è visto come qualcosa di
anormale.
Bukowski vede in Fico la saldatura tra il pensiero di Farinetti e il
capitalismo emiliano di derivazione postcomunista: una sorta di
socialdemocrazia economica in una regione dove il pubblico governa e le
cooperative rosse prosperano. Definisce Bologna “la città coop”, portando come
esempio il fatto che nel giro di poche centinaia di metri, in pieno centro
cittadino, sono nati negli ultimi anni il Mercato di mezzo, che è stato voluto
dall’amministratrice delegata di Fico, Primori, e può essere considerato un
prototipo del Parco, e una libreria Coop con annesso punto vendita Eataly.
Tutto attorno, una teoria di super e ipermercati Coop.
I due alleati
Oscar Farinetti ci scherza, ma si intuisce che non gli va di essere contestato sia da destra sia da sinistra, di essere dipinto come un compagno e allo stesso tempo come una specie di Berlusconi nei cui negozi il quarto stato marcia con i sacchetti della spesa, come mostrava qualche tempo fa una parodia del celebre dipinto di Pellizza da Volpedo esposta all’interno di Eataly Roma. Al contrario, ci tiene a mostrare di conoscere i suoi dipendenti uno per uno. All’ingresso dell’ex Air terminal vicino alla stazione Ostiense, a Roma, si compiace dei clienti che lo avvicinano e della sua popolarità. Stringe mani e parla della qualità dei prodotti e di come diffonderli ancora di più.
Oscar Farinetti ci scherza, ma si intuisce che non gli va di essere contestato sia da destra sia da sinistra, di essere dipinto come un compagno e allo stesso tempo come una specie di Berlusconi nei cui negozi il quarto stato marcia con i sacchetti della spesa, come mostrava qualche tempo fa una parodia del celebre dipinto di Pellizza da Volpedo esposta all’interno di Eataly Roma. Al contrario, ci tiene a mostrare di conoscere i suoi dipendenti uno per uno. All’ingresso dell’ex Air terminal vicino alla stazione Ostiense, a Roma, si compiace dei clienti che lo avvicinano e della sua popolarità. Stringe mani e parla della qualità dei prodotti e di come diffonderli ancora di più.
Da quando quelli con il marchio Slow food sono finiti sugli scaffali di
Eataly, la loro diffusione è decuplicata. La richiesta di collaborazione è
arrivata pure per Fico, e dall’associazione di Petrini hanno risposto sì, pur
mantenendo uno sguardo critico.
Ne parlo con Carlo Petrini, l’uomo incoronato da Time tra gli “eroi
del nostro tempo”, in quanto guru di una filosofia e di un movimento nel
frattempo divenuti globali. A suo avviso il problema, a questo punto, è di
“governare il limite”. Spiega che qualsiasi produzione, se supera una certa
soglia, diventa “invasiva”, pur se buona, pulita e giusta. Il fondatore di Slow
food ritiene invece che si debba evitare il “rivendicazionismo sui prezzi”,
altra critica frequente. A suo parere va bene che un alimento di qualità costi
di più se tutti sono pagati meglio, dal contadino al trasportatore.
Farinetti concorda su quest’ultimo punto. Spiega che “il 15 per cento di
quello che vendiamo lo produciamo noi, il resto arriva da piccoli, medi e
grandi produttori”, selezionati da un gruppo di giovani provenienti
dall’università di Pollenzo e spediti in giro per l’Italia. Accorciando la
filiera, dice, “riusciamo a pagare la carne il 31 per cento in più e a venderla
a un prezzo decente”.
Sulla questione della produzione ritiene invece che ci siano margini
ulteriori di crescita. “In Italia ci sono 14 milioni di ettari di terreni
coltivati, negli anni ottanta erano 19, anche se oggi si produce di più”, dice.
Vuol dire che l’agricoltura di qualità (convenzionale a residuo zero,
biologica, biodinamica, simbiotica) può svilupparsi ancora molto e puntare al
mercato italiano (tuttora gastronomicamente poco educato a dispetto delle
apparenze) e soprattutto a quello estero.
È su quest’ultimo punto che il patròn di Eataly ha trovato l’intesa con
Coop Alleanza 3.0. Sebastiano Sardo, che ha selezionato i produttori del
neonato Parco agroalimentare, dice che l’obiettivo è “creare una piattaforma
dei prodotti italiani da esportare” per contrastare i cosiddetti italian sounding, il mercato dei prodotti venduti come
italiani ma che non lo sono. Secondo i dati dell’Assocamerestero,
l’associazione che raggruppa le 78 camere di commercio italiane all’estero, l’italian sounding ha un giro d’affari di 54
miliardi di euro, mentre l’ industria alimentare italiana si aggira sui 132.
L’accusa di monopolio
A opporsi a questo clima di consenso generale ed entusiasmo diffuso sono stati gli anarchici e gli antagonisti che il 12 dicembre 2016, mentre nell’aula magna dell’università di Bologna si presentava il progetto, hanno lanciato letame e caramelle a forma di vermi contro una coop e una pizzeria biologica di Alce Nero. Quel che contestavano era la grande illusione denunciata da Wolf Bukowski: pensare che si possa trasformare la società educandola a fare la spesa e a cucinare in maniera corretta.
A opporsi a questo clima di consenso generale ed entusiasmo diffuso sono stati gli anarchici e gli antagonisti che il 12 dicembre 2016, mentre nell’aula magna dell’università di Bologna si presentava il progetto, hanno lanciato letame e caramelle a forma di vermi contro una coop e una pizzeria biologica di Alce Nero. Quel che contestavano era la grande illusione denunciata da Wolf Bukowski: pensare che si possa trasformare la società educandola a fare la spesa e a cucinare in maniera corretta.
I contestatori ritengono che nei padiglioni dell’ex mercato ortofrutticolo
il renzismo di Farinetti si saldi con gli affari delle coop, creando un
monopolio di fatto nella distribuzione e nel consumo di cibo.
Gli anelli istituzionali di congiunzione sarebbero il sindaco di Bologna
Virginio Merola, già nel mirino per gli sgomberi di spazi occupati e centri
sociali, e il ministro del lavoro Giuliano Poletti, ex presidente di Legacoop e
ideatore insieme al governo di Matteo Renzi del Jobs act. Questo contribuisce a
spiegare le proteste studentesche e lo scetticismo di un pezzo di sinistra
radicale.
Al fondatore di Eataly si imputa di essere diventato il “braccio
imprenditoriale di Slow food” e non gli si perdona l’infatuazione per Matteo
Renzi, culminata nella partecipazione alle manifestazioni organizzate dal
segretario del Pd all’ex stazione ferroviaria fiorentina della Leopolda.
La prima volta è stata nel 2012, quando ha detto che “la politica è come la
maionese impazzita e Renzi vuole rifarla da zero”. Nel 2013 l’allora sindaco di
Firenze ha tagliato il nastro di Eataly Firenze e nel 2014 l’ha accolto come
“l’amico Oscar”. Lui ha ricambiato dimostrando sintonia con lo spirito della
Leopolda. “Questo è un posto dove ci si lamenta poco, mentre ciascuno esprime
con sintesi le proprie idee di soluzione”, ha dichiarato a La Stampa.
Un anno fa, alla vigilia del referendum costituzionale del 4 dicembre che è
costato le dimissioni a Renzi, fiutando il clima sfavorevole ha affermato:
“Dobbiamo tornare a essere simpatici”. Un anno dopo, appare più disincantato ma
non ha cambiato opinione. “Renzi è stato tradito dal suo carattere, però è
onesto”, dice. Nel frattempo, a inaugurare Fico è stato invitato il più mite
Paolo Gentiloni.
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