È il decimo compleanno di
Eataly. Per festeggiarlo non parliamo di cibo. Non nominiamo neppure il nuovo
Spaghetto Eataly, “cibo del futuro” secondo La Stampa, “servito in tutti i loro
ristoranti” a partire dal giorno dell’anniversario. “La ricetta è semplice:
pasta con pomodorini datterino condita a crudo con olio extravergine. La novità
è non cuocere più la salsa, per assaporare meglio «l’essenza degli
ingredienti»” (27/01/2017). Il motto del piatto, declamato dal menù,
avverte: “è difficile essere semplici”; il prezzo è 8 euro e 50 centesimi.
Non parliamo degli spaghetti,
prodotti dal pastificio Afeltra (proprietà di Farinetti), né dei datterini di
Finagricola, cooperativa che Il Mattino del 20 ottobre 2014 definisce “Fiat del
Sud” nonché “impero agricolo a Battipaglia” con numeri “da orgoglio nazionale”.
(Com’è pure quella storia del piccolo produttore?)
Non parliamo del vino, e tantomeno
del Vino Libero. La sua (parziale) libertà da solfiti era pubblicizzata da
Eataly con tanta… libertà, da averle procurato il fastidio di un provvedimento
dell’Antitrust: “l’utilizzo dell’espressione ‘vino libero’ […] in mancanza di
ulteriori specificazioni, lascia erroneamente intendere che il vino promosso in
vendita sia totalmente libero da sostanze chimiche, inducendo in errore il
consumatore circa le effettive caratteristiche del vino e il reale contenuto
dei solfiti in esso presenti” (Autorità garante della concorrenza e del
mercato, provvedimento n. 25980 del 13 aprile 2016).
Solfiti o meno, il Vino Libero di
cui non parliamo è commercializzato da Fontanafredda srl, azienda che Farinetti
ha comprato dalla Fondazione Monte Paschi di Siena in due diverse tranches, nel
2008 e nel 2012.
Nel 2014, dopo alcune domande
insistenti di una giornalista televisiva sulle condizioni di lavoro in Eataly,
Fontanafredda si mobilita e raccoglie, in difesa del padrone, le firme dei
dipendenti. Su www.vinolibero.it si trova il link al video di quella che viene
chiamata “aggressione”: l’intervistatrice ripete le proprie domande a un
Farinetti che non risponde sul punto, dà sulla voce e si sbraccia con movimenti
che trasudano, quelli sì, aggressività trattenuta.
I sindacati gialli colgono
l’occasione per esibire canina fedeltà: “UILA-UIL respinge sindacalmente questi
metodi e non può che dire bene di Fontanafredda […] Ogni giorno, nei nostri
uffici, affrontiamo situazioni davvero drammatiche e, proprio per questo
motivo, riteniamo che quello che è avvenuto sia un fatto gravissimo.” FAI-CISL
rilancia, proponendo una campagna aziendalsindacale di promozione: “Episodi
come quello verificatosi martedì fanno male all’azienda e, a ricaduta, ai
lavoratori. Dobbiamo tutti insieme ribaltare la situazione e dare eco nazionale
alla vicenda”.
Ecco, non parliamo di tutto questo,
ma solo di mattoni. Immobili. Real Estate. Soldi con fondamenta.
È dalla giunta torinese che Eataly
ottiene l’immobile per il suo primo store: l’ex stabilimento Carpano, al
Lingotto. Sindaco è Chiamparino, e la città si sta preparando alle Olimpiadi
invernali – una macchina di distruzione di territorio e denaro pubblico, degno
antecedente dell’Expo milanese. Il bando comunale per l’assegnazione
dell’immobile vede un solo partecipante: Eataly. Quello che l’azienda vi
realizzerà, e che aprirà nel 2007, non sarà solo un ristorante, e neppure un
supermercato di lusso, ma un “parco enogastronomico” – qualsiasi cosa ciò
voglia, o non voglia, dire. In cambio della ristrutturazione il canone di
affitto è zero, e la concessione dura sessant’anni.
Analoghe sintonie col potere
politico, negli anni successivi, si concretizzano a Bologna in due diversi
edifici di proprietà pubblica (un ex cinema e un ex mercato alimentare,
entrambi in pieno centro), e a Firenze. Dove, a fronte di promesse
occupazionali subito disattese, Farinetti ottiene dal comune il cambio di
destinazione d’uso dell’immobile. Sindaco, allora, è Matteo Renzi.
A Bari, nel 2013, la “licenza di
commercio più veloce del mondo” viene rilasciata a Eataly dal sindaco Emiliano,
oggi sfidante di Renzi e leader di piddini che fingono di essere un po’ meno di
destra degli altri. Forse è in quel momento, diciamo attorno alla metà dei
dieci anni che festeggiamo, che matura il salto di qualità. Eataly è risultata
utile agli amministratori per valorizzare un edificio, o una zona cittadina,
contribuendo così alla speculazione immobiliare, vera tipicità italiana (altro
che spaghetti col pomodorino). Perché, allora, non coinvolgerla direttamente in
trasformazioni urbane in grande stile?
La prima è Expo 2015, grande
eventopera che sblocca la costruzione di autostrade inutili e apre alla
cementificazione di terreni non ancora impermeabilizzati, consegnando le scelte
urbanistiche ai privati – dopo aver drenato soldi pubblici in quantità
impressionante. La seconda è quella che cresce a Bologna attorno a Fico
(Fabbrica italiana contadina), expo eterno che aprirà il 4 ottobre 2017 in
immobili del valore di 55 milioni di euro, concessi dal Comune per 40 anni a
Farinetti, Coop e soci. Abbiamo promesso di non parlare di cibo, quindi non
evochiamo neppure la prospettiva che le classi delle elementari, invece di
andare in una fattoria, in una cantina o in laboratorio di pasta fresca… siano
educate all’alimentazione nella Disneyland del cibo (così chiamavano il parco i
promotori stessi, prima di avvedersi del ridicolo). Prospettiva orribile ma
vera e incombente: Fico non è ancora aperto, e già gli istituti di due regioni
(Emilia Romagna e Campania) possono partecipare ai concorsi “Aspettando FICO…
nella scuole”.
No, non diciamo altro: accenniamo
piuttosto ai terreni che aumentano il proprio valore per la prossimità al Fico,
alla contemporanea riduzione dello stock di edilizia residenziale pubblica nel
quartiere popolare lì accanto, a progetti che si alternano veloci come i frutti
sulla bobina di una slot machine ma che sono tutti, uniformemente, grigio
cemento.
Cemento che cala su terreni liberi,
in alcuni casi ancora coltivati. Un quartierino nuovo di zecca; no, piuttosto
un centro commerciale, un parco divertimenti (sì, un altro!); oppure un
hotel.
E ancora: ogni allargamento di
strada, autostrada, tangenziale ormai da anni, a Bologna, è motivata dal Fico.
E mentre tutto precipita in un (in)gorgo di mobilità tossica e di malta
cementizia, i ragazzi delle scuole cosa impareranno al Fico? La
“sostenibilità”. Già, certo. Avevate dubbi?
Il feticcio, il pretesto del cibo
trasforma edifici, poi città, e Farinetti è il suo frontman e ideologo. Ma non
basta. Il recente accordo tra Fico e l’Enit, ente governativo di promozione del
turismo, consentirà “il consolidamento del Brand Italia”, la diffusione del
“modello di lifestyle italiano” e la promozione dell'”italianità nel mondo”.
(Comunicato stampa ENIT del 15/2/2017).
Tradotto dal fuffese, significa che
la prospettiva dei farinettiani è di porre il paese intero a servizio del
turismo incoming e dell’export agroalimentare. E questo implica: salari bassi,
città che espellono gli abitanti incompatibili con l’arredo dei migliori
caffè, cemento quale conseguenza inevitabile, infrastrutture a misura di ricchi
turisti e non di pendolari modesti, imposizione del decoro tramite l’uso
reiterato e generoso del manganello. Ecco dunque il menù di compleanno di Eataly,
e dell’Eatalya intera. I festeggiamenti si profilano eterni. A meno che non vi
si ponga termine, per dare inizio a una miglior festa.
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