venerdì 24 novembre 2017

Non parliamo di cibo – Wolf Bukowski


È il decimo compleanno di Eataly. Per festeggiarlo non parliamo di cibo. Non nominiamo neppure il nuovo Spaghetto Eataly, “cibo del futuro” secondo La Stampa, “servito in tutti i loro ristoranti” a partire dal giorno dell’anniversario. “La ricetta è semplice: pasta con pomodorini datterino condita a crudo con olio extravergine. La novità è non cuocere più la salsa, per assaporare meglio «l’essenza degli ingredienti»” (27/01/2017).  Il motto del piatto, declamato dal menù, avverte: “è difficile essere semplici”; il prezzo è 8 euro e 50 centesimi.
Non parliamo degli spaghetti, prodotti dal pastificio Afeltra (proprietà di Farinetti), né dei datterini di Finagricola, cooperativa che Il Mattino del 20 ottobre 2014 definisce “Fiat del Sud” nonché “impero agricolo a Battipaglia” con numeri “da orgoglio nazionale”. (Com’è pure quella storia del piccolo produttore?) 
Non parliamo del vino, e tantomeno del Vino Libero. La sua (parziale) libertà da solfiti era pubblicizzata da Eataly con tanta… libertà, da averle procurato il fastidio di un provvedimento dell’Antitrust: “l’utilizzo dell’espressione ‘vino libero’ […] in mancanza di ulteriori specificazioni, lascia erroneamente intendere che il vino promosso in vendita sia totalmente libero da sostanze chimiche, inducendo in errore il consumatore circa le effettive caratteristiche del vino e il reale contenuto dei solfiti in esso presenti” (Autorità garante della concorrenza e del mercato, provvedimento n. 25980 del 13 aprile 2016). 
Solfiti o meno, il Vino Libero di cui non parliamo è commercializzato da Fontanafredda srl, azienda che Farinetti ha comprato dalla Fondazione Monte Paschi di Siena in due diverse tranches, nel 2008 e nel 2012.  
Nel 2014, dopo alcune domande insistenti di una giornalista televisiva sulle condizioni di lavoro in Eataly, Fontanafredda si mobilita e raccoglie, in difesa del padrone, le firme dei dipendenti. Su www.vinolibero.it si trova il link al video di quella che viene chiamata “aggressione”: l’intervistatrice ripete le proprie domande a un Farinetti che non risponde sul punto, dà sulla voce e si sbraccia con movimenti che trasudano, quelli sì, aggressività trattenuta. 
I sindacati gialli colgono l’occasione per esibire canina fedeltà: “UILA-UIL respinge sindacalmente questi metodi e non può che dire bene di Fontanafredda […] Ogni giorno, nei nostri uffici, affrontiamo situazioni davvero drammatiche e, proprio per questo motivo, riteniamo che quello che è avvenuto sia un fatto gravissimo.” FAI-CISL rilancia, proponendo una campagna aziendalsindacale di promozione: “Episodi come quello verificatosi martedì fanno male all’azienda e, a ricaduta, ai lavoratori. Dobbiamo tutti insieme ribaltare la situazione e dare eco nazionale alla vicenda”. 
Ecco, non parliamo di tutto questo, ma solo di mattoni. Immobili. Real Estate. Soldi con fondamenta. 
È dalla giunta torinese che Eataly ottiene l’immobile per il suo primo store: l’ex stabilimento Carpano, al Lingotto. Sindaco è Chiamparino, e la città si sta preparando alle Olimpiadi invernali – una macchina di distruzione di territorio e denaro pubblico, degno antecedente dell’Expo milanese. Il bando comunale per l’assegnazione dell’immobile vede un solo partecipante: Eataly. Quello che l’azienda vi realizzerà, e che aprirà nel 2007, non sarà solo un ristorante, e neppure un supermercato di lusso, ma un “parco enogastronomico” – qualsiasi cosa ciò voglia, o non voglia, dire. In cambio della ristrutturazione il canone di affitto è zero, e la concessione dura sessant’anni. 
Analoghe sintonie col potere politico, negli anni successivi, si concretizzano a Bologna in due diversi edifici di proprietà pubblica (un ex cinema e un ex mercato alimentare, entrambi in pieno centro), e a Firenze. Dove, a fronte di promesse occupazionali subito disattese, Farinetti ottiene dal comune il cambio di destinazione d’uso dell’immobile. Sindaco, allora, è Matteo Renzi. 
A Bari, nel 2013, la “licenza di commercio più veloce del mondo” viene rilasciata a Eataly dal sindaco Emiliano, oggi sfidante di Renzi e leader di piddini che fingono di essere un po’ meno di destra degli altri. Forse è in quel momento, diciamo attorno alla metà dei dieci anni che festeggiamo, che matura il salto di qualità. Eataly è risultata utile agli amministratori per valorizzare un edificio, o una zona cittadina, contribuendo così alla speculazione immobiliare, vera tipicità italiana (altro che spaghetti col pomodorino). Perché, allora, non coinvolgerla direttamente in trasformazioni urbane in grande stile?
La prima è Expo 2015, grande eventopera che sblocca la costruzione di autostrade inutili e apre alla cementificazione di terreni non ancora impermeabilizzati, consegnando le scelte urbanistiche ai privati – dopo aver drenato soldi pubblici in quantità impressionante. La seconda è quella che cresce a Bologna attorno a Fico (Fabbrica italiana contadina), expo eterno che aprirà il 4 ottobre 2017 in immobili del valore di 55 milioni di euro, concessi dal Comune per 40 anni a Farinetti, Coop e soci. Abbiamo promesso di non parlare di cibo, quindi non evochiamo neppure la prospettiva che le classi delle elementari, invece di andare in una fattoria, in una cantina o in laboratorio di pasta fresca… siano educate all’alimentazione nella Disneyland del cibo (così chiamavano il parco i promotori stessi, prima di avvedersi del ridicolo). Prospettiva orribile ma vera e incombente: Fico non è ancora aperto, e già gli istituti di due regioni (Emilia Romagna e Campania) possono partecipare ai concorsi “Aspettando FICO… nella scuole”. 
No, non diciamo altro: accenniamo piuttosto ai terreni che aumentano il proprio valore per la prossimità al Fico, alla contemporanea riduzione dello stock di edilizia residenziale pubblica nel quartiere popolare lì accanto, a progetti che si alternano veloci come i frutti sulla bobina di una slot machine ma che sono tutti, uniformemente, grigio cemento. 
Cemento che cala su terreni liberi, in alcuni casi ancora coltivati. Un quartierino nuovo di zecca; no, piuttosto un centro commerciale, un parco divertimenti (sì, un altro!); oppure un hotel. 
E ancora: ogni allargamento di strada, autostrada, tangenziale ormai da anni, a Bologna, è motivata dal Fico. E mentre tutto precipita in un (in)gorgo di mobilità tossica e di malta cementizia, i ragazzi delle scuole cosa impareranno al Fico? La “sostenibilità”. Già, certo. Avevate dubbi? 
Il feticcio, il pretesto del cibo trasforma edifici, poi città, e Farinetti è il suo frontman e ideologo. Ma non basta. Il recente accordo tra Fico e l’Enit, ente governativo di promozione del turismo, consentirà “il consolidamento del Brand Italia”, la diffusione del “modello di lifestyle italiano” e la promozione dell'”italianità nel mondo”. (Comunicato stampa ENIT del 15/2/2017). 
Tradotto dal fuffese, significa che la prospettiva dei farinettiani è di porre il paese intero a servizio del turismo incoming e dell’export agroalimentare. E questo implica: salari bassi, città che espellono gli  abitanti incompatibili con l’arredo dei migliori caffè, cemento quale conseguenza inevitabile, infrastrutture a misura di ricchi turisti e non di pendolari modesti, imposizione del decoro tramite l’uso reiterato e generoso del manganello. Ecco dunque il menù di compleanno di Eataly, e dell’Eatalya intera. I festeggiamenti si profilano eterni. A meno che non vi si ponga termine, per dare inizio a una miglior festa.

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