È difficile far passare la Iarc (International Agency for Research on Cancer)
per un’istituzione discutibile, caratterizzata da un atteggiamento “contrario all’industria”
e contestata all’interno della stessa comunità scientifica.
Per la grande maggioranza degli scienziati, l’agenzia legata all’Oms è un baluardo d’indipendenza e integrità.
“Sinceramente faccio fatica a immaginare un modo più rigoroso e obiettivo di realizzare esperimenti scientifici collettivi”, dice l’epidemiologo Marcel Goldberg, ricercatore dell’Istituto nazionale francese per la salute e la ricerca medica (Inserm), che ha partecipato a diverse monografie della Iarc.
Per ogni monografia la Iarc riunisce una ventina di ricercatori di diversi paesi, selezionati in funzione delle loro esperienze e delle loro competenze scientifiche, ma verifica anche che non ci sia il minimo conflitto d’interessi.
La Iarc, inoltre, fonda i suoi pareri su studi pubblicati su riviste scientifiche ed esclude le ricerche commissionate dalle aziende. Per questo si distingue dalla maggior parte delle agenzie, che accordano invece un’importanza decisiva agli studi realizzati e forniti dalle imprese per valutare i loro prodotti.
È il caso dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa, con sede a Parma). Nell’autunno del 2015 il parere di quest’agenzia dell’Unione europea sul glifosato è molto atteso. In base alle sue conclusioni Bruxelles deve decidere se rinnovare per almeno dieci anni l’autorizzazione a usare il glifosato.
Il parere arriva a novembre, e la Monsanto può rifiatare, perché contraddice quello della Iarc: l’Efsa non considera il glifosato né genotossico né cancerogeno.
Ma la boccata d’ossigeno dura poco.
Per la grande maggioranza degli scienziati, l’agenzia legata all’Oms è un baluardo d’indipendenza e integrità.
“Sinceramente faccio fatica a immaginare un modo più rigoroso e obiettivo di realizzare esperimenti scientifici collettivi”, dice l’epidemiologo Marcel Goldberg, ricercatore dell’Istituto nazionale francese per la salute e la ricerca medica (Inserm), che ha partecipato a diverse monografie della Iarc.
Per ogni monografia la Iarc riunisce una ventina di ricercatori di diversi paesi, selezionati in funzione delle loro esperienze e delle loro competenze scientifiche, ma verifica anche che non ci sia il minimo conflitto d’interessi.
La Iarc, inoltre, fonda i suoi pareri su studi pubblicati su riviste scientifiche ed esclude le ricerche commissionate dalle aziende. Per questo si distingue dalla maggior parte delle agenzie, che accordano invece un’importanza decisiva agli studi realizzati e forniti dalle imprese per valutare i loro prodotti.
È il caso dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa, con sede a Parma). Nell’autunno del 2015 il parere di quest’agenzia dell’Unione europea sul glifosato è molto atteso. In base alle sue conclusioni Bruxelles deve decidere se rinnovare per almeno dieci anni l’autorizzazione a usare il glifosato.
Il parere arriva a novembre, e la Monsanto può rifiatare, perché contraddice quello della Iarc: l’Efsa non considera il glifosato né genotossico né cancerogeno.
Ma la boccata d’ossigeno dura poco.
Qualche settimana dopo, le conclusioni
dell’Efsa sono severamente criticate su una famosa rivista da un centinaio di
scienziati, secondo i quali sono piene di lacune.
La stesura dell’articolo è coordinata da uno scienziato statunitense che ha assistito al lavoro sulla monografia della Iarc in qualità di “specialista invitato”.
Su di lui si concentrano subito le critiche. Si tratta di Chris Portier.
“Ho letto in giro che Portier non sarebbe competente. È la cosa più ridicola che abbia mai sentito”, dice divertita Dana Loomis, la vicedirettrice delle monografie della Iarc. “È lui che ha sviluppato molte delle tecniche d’analisi usate in tutto il mondo per interpretare i risultati degli studi tossicologici”.
Portier è uno di quegli scienziati con un curriculum di oltre trenta pagine.
Autore di più di duecento pubblicazioni scientifiche, è stato responsabile della sanità ambientale dei Centers for disease control and prevention (Cdc statunitensi) e ha diretto i Niehs e il National toxicology program.
“Ha un’esperienza professionale eccezionale”, dice Robert Barouki, direttore di un’unità di ricerca in tossicologia all’Inserm.
Ormai in pensione, oggi Portier lavora come esperto e consulente di diverse organizzazioni internazionali, tra cui l’ong statunitense Environmental defense fund.
Il 18 aprile 2016 l’agenzia di stampa Reuters pubblica un lungo articolo sulla Iarc, presentato come un’agenzia “semi-autonoma” dell’Oms colpevole di creare “confusione tra i consumatori”.
L’articolo evoca “la preoccupazione per i potenziali conflitti d’interesse che coinvolgerebbero un consulente dell’agenzia strettamente legato all’Environmental defense fund, un gruppo di pressione statunitense contrario ai pesticidi”.
Alcuni “critici”, scrive la Reuters, “sostengono che la Iarc non avrebbe dovuto autorizzarlo a partecipare alla valutazione del glifosato”.
L’agenzia di stampa – che non ha voluto rispondere alle domande di Le Monde – dà la parola a tre scienziati che attaccano la Iarc, senza mai dire che tutti e tre sono consulenti delle aziende coinvolte.
L’articolo cita l’oscuro blog di David Zaruk, un ex lobbista dell’industria chimica che ha lavorato per l’agenzia di relazioni pubbliche Burson-Marsteller.
A Bruxelles, dove vive, Zaruk è conosciuto per la sua aggressività e le sue frequenti invettive (anche gli autori di questo articolo ne sono stati l’oggetto in più di un’occasione). È stato lui il primo a protestare per il conflitto d’interessi di Portier, e ancora oggi continua a perseguitare lo scienziato statunitense.
In totale Zaruk ha pubblicato una ventina di lunghi articoli sul glifosato, senza contare i tweet. Ha definito Portier “militante”, “topo”, “demone”, “erbaccia”, “mercenario” e anche “una merda” e uno che si è “introdotto come un verme” nel frutto rappresentato dalla Iarc. Ha paragonato la Iarc a una “crosta” da cui si può vedere uscire il “pus” quando si “gratta” tanto è “infettato dalla sua arroganza”, dalla “sua scienza militante politicizzata” o dalla “sua posizione contraria all’industria”.
Zaruk ha detto di aver avuto “tre contatti” con la Monsanto, ma smentisce formalmente di essere stato pagato per scrivere. “Non ho ricevuto un centesimo per i miei articoli sul glifosato”, ha assicurato in una email a Le Monde.
Ad aprile del 2017 Zaruk pubblica ancora un articolo contro le ong, Portier e diversi giornalisti, illustrandolo con una foto dei nazisti che bruciano i libri sull’Opernplatz di Berlino nel 1933.
I vaneggiamenti di Zaruk potrebbero essere facilmente sconfessati, ma la citazione da parte di un’agenzia di stampa autorevole come la Reuters dà il via libera alla loro difusione.
In poche settimane le sue accuse sono riprese dal Times di Londra, dal quotidiano The Australian e negli Stati Uniti dalla National Review.
Su The Hill lo fa Bruce Chassy, un professore emerito dell’università dell’Illinois finanziato dalla Monsanto, come mostrano i documenti ottenuti nel settembre del 2015 dall’organizzazione non profit Us right to know.
Il “lavoro” di Zaruk è anche citato sulla rivista Forbes da un biologo della Hoover institution, un centro studi vicino al Partito repubblicano e di cui si trova traccia negli archivi delle aziende del tabacco.
All’epoca il biologo proponeva di far pubblicare degli articoli o di sfruttare le sue iniziative sui mezzi d’informazione per “parlare dei rischi della scienza”, pagando tariffe comprese fra cinque e quindicimila dollari.
Gli attacchi di Zaruk sono ripresi anche da siti di propaganda come l’American council on science and health e il Genetic literacy project, animati da persone molto vicine alle aziende di pesticidi e biotecnologie.
Un articolo che attacca Portier e la Iarc è firmato da Andrew Porterield, che si definisce un “esperto di comunicazione dell’industria delle biotecnologie”.
Ma quale sarebbero esattamente i conflitti d’interessi di Portier?
Secondo i suoi avversari, attraverso di lui l’Environmental defense fund avrebbe influito sulla decisione della Iarc di classificare il glifosato come probabilmente cancerogeno.
“Ma Portier aveva lo status di ‘specialista invitato’ proprio perché era legato a quest’associazione”, spiega Kathryn Guyton, la scienziata della Iarc responsabile della Monografia 112.
“Questo significa che il gruppo di lavoro l’ha consultato, ma Portier non ha contribuito alla decisione di classificare la sostanza in questa o quella categoria”.
La stesura dell’articolo è coordinata da uno scienziato statunitense che ha assistito al lavoro sulla monografia della Iarc in qualità di “specialista invitato”.
Su di lui si concentrano subito le critiche. Si tratta di Chris Portier.
“Ho letto in giro che Portier non sarebbe competente. È la cosa più ridicola che abbia mai sentito”, dice divertita Dana Loomis, la vicedirettrice delle monografie della Iarc. “È lui che ha sviluppato molte delle tecniche d’analisi usate in tutto il mondo per interpretare i risultati degli studi tossicologici”.
Portier è uno di quegli scienziati con un curriculum di oltre trenta pagine.
Autore di più di duecento pubblicazioni scientifiche, è stato responsabile della sanità ambientale dei Centers for disease control and prevention (Cdc statunitensi) e ha diretto i Niehs e il National toxicology program.
“Ha un’esperienza professionale eccezionale”, dice Robert Barouki, direttore di un’unità di ricerca in tossicologia all’Inserm.
Ormai in pensione, oggi Portier lavora come esperto e consulente di diverse organizzazioni internazionali, tra cui l’ong statunitense Environmental defense fund.
Il 18 aprile 2016 l’agenzia di stampa Reuters pubblica un lungo articolo sulla Iarc, presentato come un’agenzia “semi-autonoma” dell’Oms colpevole di creare “confusione tra i consumatori”.
L’articolo evoca “la preoccupazione per i potenziali conflitti d’interesse che coinvolgerebbero un consulente dell’agenzia strettamente legato all’Environmental defense fund, un gruppo di pressione statunitense contrario ai pesticidi”.
Alcuni “critici”, scrive la Reuters, “sostengono che la Iarc non avrebbe dovuto autorizzarlo a partecipare alla valutazione del glifosato”.
L’agenzia di stampa – che non ha voluto rispondere alle domande di Le Monde – dà la parola a tre scienziati che attaccano la Iarc, senza mai dire che tutti e tre sono consulenti delle aziende coinvolte.
L’articolo cita l’oscuro blog di David Zaruk, un ex lobbista dell’industria chimica che ha lavorato per l’agenzia di relazioni pubbliche Burson-Marsteller.
A Bruxelles, dove vive, Zaruk è conosciuto per la sua aggressività e le sue frequenti invettive (anche gli autori di questo articolo ne sono stati l’oggetto in più di un’occasione). È stato lui il primo a protestare per il conflitto d’interessi di Portier, e ancora oggi continua a perseguitare lo scienziato statunitense.
In totale Zaruk ha pubblicato una ventina di lunghi articoli sul glifosato, senza contare i tweet. Ha definito Portier “militante”, “topo”, “demone”, “erbaccia”, “mercenario” e anche “una merda” e uno che si è “introdotto come un verme” nel frutto rappresentato dalla Iarc. Ha paragonato la Iarc a una “crosta” da cui si può vedere uscire il “pus” quando si “gratta” tanto è “infettato dalla sua arroganza”, dalla “sua scienza militante politicizzata” o dalla “sua posizione contraria all’industria”.
Zaruk ha detto di aver avuto “tre contatti” con la Monsanto, ma smentisce formalmente di essere stato pagato per scrivere. “Non ho ricevuto un centesimo per i miei articoli sul glifosato”, ha assicurato in una email a Le Monde.
Ad aprile del 2017 Zaruk pubblica ancora un articolo contro le ong, Portier e diversi giornalisti, illustrandolo con una foto dei nazisti che bruciano i libri sull’Opernplatz di Berlino nel 1933.
I vaneggiamenti di Zaruk potrebbero essere facilmente sconfessati, ma la citazione da parte di un’agenzia di stampa autorevole come la Reuters dà il via libera alla loro difusione.
In poche settimane le sue accuse sono riprese dal Times di Londra, dal quotidiano The Australian e negli Stati Uniti dalla National Review.
Su The Hill lo fa Bruce Chassy, un professore emerito dell’università dell’Illinois finanziato dalla Monsanto, come mostrano i documenti ottenuti nel settembre del 2015 dall’organizzazione non profit Us right to know.
Il “lavoro” di Zaruk è anche citato sulla rivista Forbes da un biologo della Hoover institution, un centro studi vicino al Partito repubblicano e di cui si trova traccia negli archivi delle aziende del tabacco.
All’epoca il biologo proponeva di far pubblicare degli articoli o di sfruttare le sue iniziative sui mezzi d’informazione per “parlare dei rischi della scienza”, pagando tariffe comprese fra cinque e quindicimila dollari.
Gli attacchi di Zaruk sono ripresi anche da siti di propaganda come l’American council on science and health e il Genetic literacy project, animati da persone molto vicine alle aziende di pesticidi e biotecnologie.
Un articolo che attacca Portier e la Iarc è firmato da Andrew Porterield, che si definisce un “esperto di comunicazione dell’industria delle biotecnologie”.
Ma quale sarebbero esattamente i conflitti d’interessi di Portier?
Secondo i suoi avversari, attraverso di lui l’Environmental defense fund avrebbe influito sulla decisione della Iarc di classificare il glifosato come probabilmente cancerogeno.
“Ma Portier aveva lo status di ‘specialista invitato’ proprio perché era legato a quest’associazione”, spiega Kathryn Guyton, la scienziata della Iarc responsabile della Monografia 112.
“Questo significa che il gruppo di lavoro l’ha consultato, ma Portier non ha contribuito alla decisione di classificare la sostanza in questa o quella categoria”.
Conflitto d’interessi
In realtà di conflitti d’interessi ce ne sono, ma vanno cercati altrove.
Nel maggio del 2016, mentre la stampa e i vari blog parlano dei dubbi sollevati a proposito della Iarc, un altro gruppo di esperti delle Nazioni Unite dà il suo parere sul glifosato.
Il Joint meeting on pesticides residues (Jmpr), un gruppo congiunto dell’Oms e dell’Organizzazione mondiale per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), che s’interessa solo dei rischi legati all’esposizione alimentare (e non per inalazione, per contatto dermatologico e così via), assolve il glifosato.
Circa un anno prima, però, un gruppo di ong aveva avvertito l’Oms sui conflitti d’interessi del Jmpr.
Tre dei suoi ricercatori, infatti, collaborano con l’International life science institute (Ilsi), una lobby scientifica finanziata dalle grandi industrie del settore agroalimentare, delle biotecnologie e della chimica: dalla Mars alla Bayern, dalla Kellogg alla Monsanto.
Si trattava del tossicologo Alan Boobis, dell’Imperial College, Regno Unito, presidente del consiglio d’amministrazione dell’Ilsi e uno dei presidenti del Jmpr; di Angelo Moretto, dell’università di Milano, relatore del Jmpr, consulente e consigliere d’amministrazione di una struttura creata dall’Ilsi; e infine di Vicki Dellarco, consulente in diversi gruppi di lavoro dell’Ilsi e componente del Jmpr.
In teoria gli esperti del Jmpr sono sottoposti alle stesse regole d’indipendenza della Iarc, cioè quelle dell’Oms, tra le più severe al mondo.
Di fatto un conflitto d’interessi apparente, proprio perché può alterare la credibilità dell’istituzione e delle sue decisioni, è grave quanto un conflitto d’interessi accertato. Tuttavia, interpellata da Le Monde, l’Oms ha assicurato che “nessun esperto era in una situazione di conflitto d’interessi tale da impedirgli di partecipare al Jmpr”.
In realtà di conflitti d’interessi ce ne sono, ma vanno cercati altrove.
Nel maggio del 2016, mentre la stampa e i vari blog parlano dei dubbi sollevati a proposito della Iarc, un altro gruppo di esperti delle Nazioni Unite dà il suo parere sul glifosato.
Il Joint meeting on pesticides residues (Jmpr), un gruppo congiunto dell’Oms e dell’Organizzazione mondiale per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), che s’interessa solo dei rischi legati all’esposizione alimentare (e non per inalazione, per contatto dermatologico e così via), assolve il glifosato.
Circa un anno prima, però, un gruppo di ong aveva avvertito l’Oms sui conflitti d’interessi del Jmpr.
Tre dei suoi ricercatori, infatti, collaborano con l’International life science institute (Ilsi), una lobby scientifica finanziata dalle grandi industrie del settore agroalimentare, delle biotecnologie e della chimica: dalla Mars alla Bayern, dalla Kellogg alla Monsanto.
Si trattava del tossicologo Alan Boobis, dell’Imperial College, Regno Unito, presidente del consiglio d’amministrazione dell’Ilsi e uno dei presidenti del Jmpr; di Angelo Moretto, dell’università di Milano, relatore del Jmpr, consulente e consigliere d’amministrazione di una struttura creata dall’Ilsi; e infine di Vicki Dellarco, consulente in diversi gruppi di lavoro dell’Ilsi e componente del Jmpr.
In teoria gli esperti del Jmpr sono sottoposti alle stesse regole d’indipendenza della Iarc, cioè quelle dell’Oms, tra le più severe al mondo.
Di fatto un conflitto d’interessi apparente, proprio perché può alterare la credibilità dell’istituzione e delle sue decisioni, è grave quanto un conflitto d’interessi accertato. Tuttavia, interpellata da Le Monde, l’Oms ha assicurato che “nessun esperto era in una situazione di conflitto d’interessi tale da impedirgli di partecipare al Jmpr”.
Diritto all’alimentazione
Questa risposta lascia insoddisfatti Hilal Elver e Baskut Tuncak, rispettivamente relatrice speciale sul diritto all’alimentazione e relatore speciale sui prodotti e i rifiuti pericolosi delle Nazioni Unite.
“Chiediamo rispettosamente all’Oms di spiegare come, in base alle sue regole, è arrivata alla conclusione che i rapporti degli esperti con l’industria non rappresentassero alcun
conlitto d’interessi, apparente o potenziale”, hanno detto i due esperti a Le Monde.
“Processi di veriica adeguati, chiari e trasparenti sui conflitti d’interessi sono fondamentali per l’integrità del sistema”, precisano prima di “incoraggiare” le organizzazioni delle Nazioni Unite a “rivederli”.
“Gravi sospetti” esistono sul “fatto che le aziende ‘comprerebbero’ degli scienziati per spingerli a confermare le loro posizioni”, hanno scritto i due esperti nel loro rapporto sul diritto all’alimentazione.
“Gli sforzi fatti dall’industria dei pesticidi”, si legge in questo testo consegnato al consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite lo scorso marzo, “hanno ostacolato le riforme e bloccato le iniziative dirette a ridurre l’uso dei pesticidi su scala mondiale”.
Gli “sforzi” a cui si riferiscono sono quelli fatti dalla Monsanto per screditare la Iarc, gli esperti del suo gruppo di lavoro e la qualità del suo lavoro scientiico.
Per il colosso dell’industria chimica è una questione di sopravvivenza.
Diversi studi legali statunitensi difendono gli interessi dei malati o dei parenti delle vittime morte per un linfoma non Hodgkin (Lnh), un raro tumore che colpisce i globuli bianchi ed è attribuito all’esposizione al glifosato.
Per loro la Monografia 112 della Iarc è una prova fondamentale. E per la Monsanto rischia di essere un elemento capace di influenzare le sentenze dei giudici.
Secondo i documenti legali, i risarcimenti e gli interessi da versare negli Stati Uniti alle ottocento persone che hanno denunciato la Monsanto potrebbero arrivare a un totale di diversi miliardi di dollari.
Entro la fine del 2017, inoltre, queste denunce dovrebbero diventare duemila, spiega Timothy Litzenburg, un avvocato dello studio Miller.
Appunti confidenziali, tabelle piene di cifre o rapporti interni, in tutto dieci milioni di pagine recuperate dagli archivi e dai computer della Monsanto: sono i documenti che l’azienda è stata costretta a trasmettere finora alla giustizia.
Negli Stati Uniti la cosiddetta procedura di discovery (scoperta) autorizza queste operazioni.
Attraverso questa massa di documenti, i cosiddetti Monsanto papers, è possibile ricostruire il piano di risposta della multinazionale.
Una presentazione PowerPoint dell’11 marzo 2015, per esempio, illustra una strategia per influenzare l’opinione pubblica attraverso “progetti scientiici”.
Viene evocata una “valutazione completa del potenziale cancerogeno” del glifosato da parte di “scienziati attendibili”, “eventualmente attraverso la formula di gruppi di esperti”. Questa strategia è stata effettivamente messa in atto.
Nel settembre del 2016 una serie di sei articoli apparsi sulla rivista scientiica Critical Reviews in Toxicology assolve il glifo sato.
Ma la pubblicazione è apertamente “finanziata e sostenuta dalla Monsanto”.
Gli autori degli articoli sono i sedici ricercatori del “gruppo di esperti di glifosato” a cui la Monsanto ha affidato la missione di “riesaminare la monografia della Iarc”.
La loro selezione è stata aidata all’Intertek, uno studio specializzato nella produzione di materiale scientiico per le imprese che hanno delle diicoltà legali per i loro prodotti.
La Monsanto e i suoi alleati si rivolgono anche a Exponent e Gradient, altri due studi specializzati nella cosiddetta “difesa dei prodotti”.
Questa risposta lascia insoddisfatti Hilal Elver e Baskut Tuncak, rispettivamente relatrice speciale sul diritto all’alimentazione e relatore speciale sui prodotti e i rifiuti pericolosi delle Nazioni Unite.
“Chiediamo rispettosamente all’Oms di spiegare come, in base alle sue regole, è arrivata alla conclusione che i rapporti degli esperti con l’industria non rappresentassero alcun
conlitto d’interessi, apparente o potenziale”, hanno detto i due esperti a Le Monde.
“Processi di veriica adeguati, chiari e trasparenti sui conflitti d’interessi sono fondamentali per l’integrità del sistema”, precisano prima di “incoraggiare” le organizzazioni delle Nazioni Unite a “rivederli”.
“Gravi sospetti” esistono sul “fatto che le aziende ‘comprerebbero’ degli scienziati per spingerli a confermare le loro posizioni”, hanno scritto i due esperti nel loro rapporto sul diritto all’alimentazione.
“Gli sforzi fatti dall’industria dei pesticidi”, si legge in questo testo consegnato al consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite lo scorso marzo, “hanno ostacolato le riforme e bloccato le iniziative dirette a ridurre l’uso dei pesticidi su scala mondiale”.
Gli “sforzi” a cui si riferiscono sono quelli fatti dalla Monsanto per screditare la Iarc, gli esperti del suo gruppo di lavoro e la qualità del suo lavoro scientiico.
Per il colosso dell’industria chimica è una questione di sopravvivenza.
Diversi studi legali statunitensi difendono gli interessi dei malati o dei parenti delle vittime morte per un linfoma non Hodgkin (Lnh), un raro tumore che colpisce i globuli bianchi ed è attribuito all’esposizione al glifosato.
Per loro la Monografia 112 della Iarc è una prova fondamentale. E per la Monsanto rischia di essere un elemento capace di influenzare le sentenze dei giudici.
Secondo i documenti legali, i risarcimenti e gli interessi da versare negli Stati Uniti alle ottocento persone che hanno denunciato la Monsanto potrebbero arrivare a un totale di diversi miliardi di dollari.
Entro la fine del 2017, inoltre, queste denunce dovrebbero diventare duemila, spiega Timothy Litzenburg, un avvocato dello studio Miller.
Appunti confidenziali, tabelle piene di cifre o rapporti interni, in tutto dieci milioni di pagine recuperate dagli archivi e dai computer della Monsanto: sono i documenti che l’azienda è stata costretta a trasmettere finora alla giustizia.
Negli Stati Uniti la cosiddetta procedura di discovery (scoperta) autorizza queste operazioni.
Attraverso questa massa di documenti, i cosiddetti Monsanto papers, è possibile ricostruire il piano di risposta della multinazionale.
Una presentazione PowerPoint dell’11 marzo 2015, per esempio, illustra una strategia per influenzare l’opinione pubblica attraverso “progetti scientiici”.
Viene evocata una “valutazione completa del potenziale cancerogeno” del glifosato da parte di “scienziati attendibili”, “eventualmente attraverso la formula di gruppi di esperti”. Questa strategia è stata effettivamente messa in atto.
Nel settembre del 2016 una serie di sei articoli apparsi sulla rivista scientiica Critical Reviews in Toxicology assolve il glifo sato.
Ma la pubblicazione è apertamente “finanziata e sostenuta dalla Monsanto”.
Gli autori degli articoli sono i sedici ricercatori del “gruppo di esperti di glifosato” a cui la Monsanto ha affidato la missione di “riesaminare la monografia della Iarc”.
La loro selezione è stata aidata all’Intertek, uno studio specializzato nella produzione di materiale scientiico per le imprese che hanno delle diicoltà legali per i loro prodotti.
La Monsanto e i suoi alleati si rivolgono anche a Exponent e Gradient, altri due studi specializzati nella cosiddetta “difesa dei prodotti”.
Nessuna risposta
Nella presentazione PowerPoint del marzo 2015 si parla anche di pubblicare un articolo
sulla Iarc: “Com’è stato formato, come funziona e la sua scarsa evoluzione nel corso del tempo. È un’istituzione arcaica e ormai inutile”.
Ma poi lo scienziato che dovrebbe scriverlo non pubblica niente sull’argomento.
In compenso un articolo che corrisponde perfettamente a questi requisiti appare nell’ottobre del 2016 su una rivista minore.
Il sistema di classiicazione della Iarc, “diventato obsoleto”, “non serve gli interessi né della scienza né della società”, scrivono i dieci autori dell’articolo: “Così la carne lavorata finisce per ritrovarsi nella stessa categoria del gas mostarda”.
L’approccio della Iarc, affermano gli autori, provoca “timori sanitari, inutili costi economici, la perdita di prodotti salutari, l’adozione di strategie più costose per la sanità, il dirottamento di finanziamenti pubblici verso la ricerca inutile”.
Il tono è piuttosto insolito per una rivista scientiica, ma questo forse si spiega con il carattere un po’ particolare della pubblicazione, la Regulatory Toxicology and Pharmacology.
Infatti nel suo comitato editoriale ci sono molte aziende e consulenti aziendali, mentre il direttore, Gio Gori, è una figura storica dell’industria del tabacco.
Di proprietà del potente gruppo editoriale scientifico Elsevier, è la rivista ufficiale di una “società” che si dice scientifica, l’International society of regulatory toxicology & pharmacology (Isrtp).
Nessuna informazione è disponibile sul suo sito e né Gori né l’Isrtp né Elsevier hanno risposto alle domande di Le Monde.
Di conseguenza non è stato possibile identiicare i responsabili né tanto meno le sue fonti di finanziamento.
Tuttavia, l’ultima volta che l’Isrtp ha pubblicato l’elenco dei suoi finanziatori, nel 2008, compariva anche la Monsanto.
Per quanto riguarda i dieci autori dell’articolo, alcuni hanno lavorato o lavorano ancora per il gruppo svizzero Syngenta, che fa parte della “glyphosate task force”, l’organizzazione delle aziende che vendono prodotti a base di glifosato.
Altri invece sono consulenti privati, per lo più scienziati legati all’Ilsi, la lobby scientifica.
Tra questi ci sono Samuel Cohen, professore di oncologia all’università del Nebraska, Alan Boobis e Angelo Moretto.
Cohen, Boobis e Moretto non si limitano a questo articolo.
Qualche mese dopo pubblicano su Genetic Literacy Project un testo in cui si chiede “l’abolizione” della Iarc.
L’agenzia è accusata di diffondere la “chemiofobia” nell’opinione pubblica.
Se non fosse possibile riformarla, si legge nell’articolo, “dovrebbe comunque essere relegata in un museo, come la Ford modello T, l’aereo biplano e il telefono a disco”.
Nell’ambiente scientifico, di solito, l’autore che ha scritto la prima versione di un testo si fa carico anche delle modifiche fino alle ultime correzioni.
Chi dei tre ha scritto questi due testi, quello pubblicato sulla Regulatory Toxicology and Pharmacology e quello pubblicato sul sito Genetic Literacy Project?
“Non ricordo”, risponde Boobis, che a Le Monde ha parlato di un “lungo processo” di redazione e di “revisione nel corso dell’anno”.
Le idee sostenute nel secondo articolo rappresentano di fatto “una sorta di terapia d’urto”, riconosce Boobis.
Perché l’articolo è stato pubblicato su Genetic Literacy Project?
Boobis ammette che il sito non è molto noto per il suo rigore, ma spiega che il testo era stato rifiutato da una rivista scientifica.
Curiosamente gli argomenti degli autori sono identici a quelli della Monsanto e dei suoi alleati.
“Ci troviamo ormai in una situazione singolare, in cui ogni legame con l’industria è immediatamente considerato un indice di parzialità, di corruzione, di confusione, di distorsione e di non so cos’altro ancora”, ribatte Boobis.
L’obiettivo della Monsanto è “l’abolizione” pura e semplice della Iarc?
Alle domande di Le Monde l’azienda non ha voluto rispondere.
Nella presentazione PowerPoint del marzo 2015 si parla anche di pubblicare un articolo
sulla Iarc: “Com’è stato formato, come funziona e la sua scarsa evoluzione nel corso del tempo. È un’istituzione arcaica e ormai inutile”.
Ma poi lo scienziato che dovrebbe scriverlo non pubblica niente sull’argomento.
In compenso un articolo che corrisponde perfettamente a questi requisiti appare nell’ottobre del 2016 su una rivista minore.
Il sistema di classiicazione della Iarc, “diventato obsoleto”, “non serve gli interessi né della scienza né della società”, scrivono i dieci autori dell’articolo: “Così la carne lavorata finisce per ritrovarsi nella stessa categoria del gas mostarda”.
L’approccio della Iarc, affermano gli autori, provoca “timori sanitari, inutili costi economici, la perdita di prodotti salutari, l’adozione di strategie più costose per la sanità, il dirottamento di finanziamenti pubblici verso la ricerca inutile”.
Il tono è piuttosto insolito per una rivista scientiica, ma questo forse si spiega con il carattere un po’ particolare della pubblicazione, la Regulatory Toxicology and Pharmacology.
Infatti nel suo comitato editoriale ci sono molte aziende e consulenti aziendali, mentre il direttore, Gio Gori, è una figura storica dell’industria del tabacco.
Di proprietà del potente gruppo editoriale scientifico Elsevier, è la rivista ufficiale di una “società” che si dice scientifica, l’International society of regulatory toxicology & pharmacology (Isrtp).
Nessuna informazione è disponibile sul suo sito e né Gori né l’Isrtp né Elsevier hanno risposto alle domande di Le Monde.
Di conseguenza non è stato possibile identiicare i responsabili né tanto meno le sue fonti di finanziamento.
Tuttavia, l’ultima volta che l’Isrtp ha pubblicato l’elenco dei suoi finanziatori, nel 2008, compariva anche la Monsanto.
Per quanto riguarda i dieci autori dell’articolo, alcuni hanno lavorato o lavorano ancora per il gruppo svizzero Syngenta, che fa parte della “glyphosate task force”, l’organizzazione delle aziende che vendono prodotti a base di glifosato.
Altri invece sono consulenti privati, per lo più scienziati legati all’Ilsi, la lobby scientifica.
Tra questi ci sono Samuel Cohen, professore di oncologia all’università del Nebraska, Alan Boobis e Angelo Moretto.
Cohen, Boobis e Moretto non si limitano a questo articolo.
Qualche mese dopo pubblicano su Genetic Literacy Project un testo in cui si chiede “l’abolizione” della Iarc.
L’agenzia è accusata di diffondere la “chemiofobia” nell’opinione pubblica.
Se non fosse possibile riformarla, si legge nell’articolo, “dovrebbe comunque essere relegata in un museo, come la Ford modello T, l’aereo biplano e il telefono a disco”.
Nell’ambiente scientifico, di solito, l’autore che ha scritto la prima versione di un testo si fa carico anche delle modifiche fino alle ultime correzioni.
Chi dei tre ha scritto questi due testi, quello pubblicato sulla Regulatory Toxicology and Pharmacology e quello pubblicato sul sito Genetic Literacy Project?
“Non ricordo”, risponde Boobis, che a Le Monde ha parlato di un “lungo processo” di redazione e di “revisione nel corso dell’anno”.
Le idee sostenute nel secondo articolo rappresentano di fatto “una sorta di terapia d’urto”, riconosce Boobis.
Perché l’articolo è stato pubblicato su Genetic Literacy Project?
Boobis ammette che il sito non è molto noto per il suo rigore, ma spiega che il testo era stato rifiutato da una rivista scientifica.
Curiosamente gli argomenti degli autori sono identici a quelli della Monsanto e dei suoi alleati.
“Ci troviamo ormai in una situazione singolare, in cui ogni legame con l’industria è immediatamente considerato un indice di parzialità, di corruzione, di confusione, di distorsione e di non so cos’altro ancora”, ribatte Boobis.
L’obiettivo della Monsanto è “l’abolizione” pura e semplice della Iarc?
Alle domande di Le Monde l’azienda non ha voluto rispondere.
(*) Tratto da Le Monde. Tradotto e pubblicato
da Internazionale.
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