È andata così: in classe è arrivata un circolare
urgente firmata dalla preside che diceva: «A partire da oggi con effetto
immediato, gli alunni con entrambi o anche solo un genitore di origine non
italiana seguiranno le lezioni scolastiche in un’aula diversa rispetto a
quella del resto della classe». In fondo c’era anche la firma, il timbro, i
numeri incomprensibili del protocollo e tutte quelle altre cose che rendono
terribilmente serie le comunicazioni a scuola.
È successo a Vercelli, ieri, con la complicità di genitori e insegnanti:
alla scuola media Pertini di Vercelli è andata in scena una finta
operazione razzista per vedere la reazione degli studenti di fronte a un ordine
ingiusto. La decisione non è stata accettata: gli studenti hanno alzato la
voce, alcuni hanno impedito fisicamente che i compagni stranieri venissero
portati fuori dalla classe e alcuni si sono organizzati per stendere una
protesta formale al ministero.
Le insegnanti
si dichiarano «confortate dal risultato dell’esperimento». I ragazzi hanno
affidato le proprie riflessioni ad alcuni post-it pubblicati su Facebook: c’è
chi scrive di «agitazione, tristezza, paura, incredulità», chi racconta di
avere proposto di spostarsi tutti insieme perché «siamo tutti studenti, non
esistono stranieri» e chi (tra gli stranieri) si è sentito rassicurato perché
sa che «c’è qualcuno che tiene a me».
Cosa hanno di straordinario questi studenti? Nulla: sono puliti,
naturali, umani. O
forse, meglio, sono straordinariamente non intaccati dalla rabbia, dalla
disperazione, dalla paura e dalla bava che c’è qui fuori, tra gli adulti. E il
punto di rottura, quel dirupo in cui la naturale solidarietà si schianta, il
momento della vita che convince ad avere il diritto di essere feroci, quel
secondo in cui scatta nella testa il bullone per cui l’autodifesa è possibile
solo con la strage dei bisogni degli altri, quel punto lì è il nodo che ci interessa
trovare, analizzare e estirpare. È un compito da esploratori degli umani
bisogni e del comune sentire. Sarebbe la politica, anche. Quella maiuscola.
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