L’interpretazione delle più
importanti ricerche è stata per decenni frutto di errori logici grossolani. Il
grave è che gli errori sono stati ripresi senza spirito critico da moltissime
fonti. Vediamo perché parliamo di errori logici con un esempio molto importante.
Dal sito (in corsivo verde) del Programma
nazionale Linee Guida (Istituto Superiore di Sanità).
Lo studio di Framingham ha
dimostrato che ogni incremento dell’1% della colesterolemia è associato ad un
aumento di incidenza di cardiopatia ischemica del 2-3%.
Cioè, se io passo da 180 mg/dl a 252
mg/dl ho un aumento del 40%. Ammesso (e non concesso) che a 180 mg/dl
l’incidenza sia zero, un aumento del 40% indica un aumento della cardiopatia
del 40*2,5=100% (2,5 è il 2-3%). Cioè sono morto. Come almeno il 30% degli
italiani. Come spiegato nell’articolo sui grassi saturi, il famoso studio
Framingham mostrò che non c’è nessuna significativa differenza nel rischio
cardiovascolare fra individui i cui livelli di colesterolo variano da 204 a 294
mg/dl. Nonostante ciò, il dott. Kennel, direttore dello studio, sentenziò che
il livello di colesterolo totale plasmatico è un potente indicatore del rischio
cardiovascolare. Fu solo dieci anni dopo che i dati dello studio Framingham
furono pubblicati senza enfasi sull’Archives of Internal Medicine.
Purtroppo le parole di Kennel avevano già fatto il giro del mondo. Citiamo
Castelli, autore della pubblicazione dello studio e successore di Kennel: “In
Framingham, Massachusetts, the more saturated fat one ate, the more cholesterol
one ate, the more calories one ate, the lower people’s serum cholesterol. . .
we found that the people who ate the most cholesterol, ate the most saturated
fat, ate the most calories weighed the least and were the most physically
active…”. Molte fonti citano ancora oggi lo studio Framingham con le tesi di
Kennel riportando la bibliografia di Castelli!
Ulteriori evidenze, che nel
dettaglio hanno valutato l’andamento del rischio della colesterolemia in
popolazione, sono emerse dall’analisi osservazionale della coorte di uno degli
studi più grandi, il Multiple Risk Factor Interventional Trial (MRFIT).
L’analisi della mortalità a 6 anni su 361.662 uomini, tra 35 e 57 anni di età,
ha dimostrato una relazione tra colesterolemia e rischio di malattie cardiovascolari
di tipo lineare, vale a dire l’assenza di valori soglia, al di sopra (o al
disotto) dei quali sia possibile rilevare variazioni rilevanti della condizione
di rischio.
Non si citano i dati e cioè che a
200 mg/dl il rischio è lo 0,14% e che a 250 è lo 0,17%!!!! Sempre dallo stesso
articolo sui grassi saturi: l’altro famosissimo studio (Multiple Risk Factor
Intervention Trial, MRFIT) cercò di correlare il rischio cardiovascolare al
livello di colesterolo di 362.000 uomini e trovò che le morti annuali erano
leggermente inferiori allo 0,1% con livelli di colesterolo sotto ai 140 mg/dl e
circa lo 0,2% per livelli sopra i 300 mg/dl. Questo bastò per far dire al dott.
La Rosa dell’American Heart Association che la curva di rischio
inizia a flettersi decisamente a 200 mg/l, mentre in realtà la “curva” è una
retta che non mostra nessun punto critico. Matematicamente ciò significa che
abbassare di 32 mg/dl i livelli di colesterolo (forse il massimo di quello che
si riesce a ottenere con l’alimentazione!) abbassa il rischio di morte dello
0,02%!
Anche uno studio di confronto
cross-culturale, come il Seven Countries Study (condotto su 12.467 uomini, di
età compresa tra 40 e 59 anni, negli USA, in Giappone ed in cinque paesi
europei – Italia, Iugoslavia, Grecia, Finlandia, Olanda) ha confermato che un
incremento della colesterolemia di 20 mg/dL, lungo tutta la sua distribuzione
nella popolazione, corrispondeva ad un aumento del 12% del rischio di mortalità
coronarica. All’interno delle popolazioni dei singoli paesi, la colesterolemia
era correlata in maniera lineare alla mortalità coronarica e l’aumento
dell’incidenza di mortalità coronarica era identico per pari incrementi della
colesterolemia. La minor incidenza di mortalità per cardiopatia ischemica si
osservava in Giappone e nei paesi dell’Europa meridionale, la cui popolazione
presentava valori medi di colesterolemia basale (125-150 mg/dL) corrispondenti
ai quartili inferiori della distribuzione generale dello studio, ma che
comunque mostravano un aumento dell’incidenza di eventi all’aumentare della
colesterolemia.
Il 12% è un dato risibile che si
spiega con il grande abbaglio del colesterolo. Un conto sarebbe stato dire che
il rischio raddoppiava o triplicava. Il 12% di aumento del rischio vuol dire
che passare da 200 a 240 di colesterolemia può far aumentare un rischio di
morte dell’1% all’1,24%. Notevole!
Nonostante ciò, è corretto ammettere
che esistono studi che correlano un alto livello di colesterolo LDL al rischio
cardiovascolare, anche se le interpretazioni di tali studi hanno amplificato i
risultati. Ma allora perché parlare di abbaglio? Spieghiamolo con un esempio.
C. La Vecchia
(Istituto Mario Negri) e altri ricercatori dell’università di Vaud (Svizzera)
hanno studiato lo stile di vita di 300 pazienti affetti da tumori al colon o al
retto, confrontandolo con un gruppo di controllo di 500 elementi. Si è
scoperto che il rischio per questo tipo di tumori aumenta linearmente con le
calorie assunte, raddoppiando per chi assume troppe calorie. Secondo La
Vecchia, ”questi dati confermano l’importanza della dieta e, in particolare, di
alcuni tipi di grassi, nell’insorgenza dei tumori al colon e al retto. E
mettono in guardia dai pericoli di un’alimentazione che fornisce un’energia
superiore al necessario”.
Peccato poi che molti giornalisti
che hanno ripreso i risultati arrivino a dire che “il capo d’accusa relativo ai
veri nemici del colon è da restringere dunque ai grassi saturi che aumentano la
probabilità di questi tumori del 40%. Gli studiosi italo-svizzeri sembrano
dunque puntare il dito, ad esempio, sui tanti alimenti preconfezionati
contenenti grassi vegetali idrogenati”.
Possibile che non si riesca a
interpretare correttamente la ricerca?
1. Un conto è parlare di sovrappeso e
alimentazione ipercalorica e un conto è parlare di grassi saturi!
2. Un conto è parlare di grassi saturi
e un conto di grassi trans che sono saturati chimicamente.
Riportiamo uno dei molti studi che
assolvono il colesterolo:
C. Römer-Lüthi, Dr. Phil. nat.
d’après S.C. Renaud, D. Lanzmann-Petithory dans “Fatty acids and lipids-new
findings”. World Rev. nutr. diet. Bâle, Karger 2001, vol. 88
Lo studio condotto in doppio cieco
nel Minnesota ha dimostrato che il tasso di colesterolo può essere abbassato
del 15% sostituendo la metà dei grassi saturi con grassi polinsaturi, senza
avere però né una diminuzione delle malattie cardiovascolari, né una
diminuzione del tasso di mortalità. Altri studi dimostrano come gli acidi
grassi essenziali omega-3 possono ridurre il numero di decessi per patologie
cardiovascolari (fino al 30%) senza influenzare il tasso di colesterolo.
L’errore logico del grande abbaglio
consiste nel fatto che tutte le ricerche sul colesterolo non hanno considerato
il vero fattore di rischio primario: il sovrappeso.
L’errore si sviluppa così:
mangio male -> vado in sovrappeso -> il mio
colesterolo sale -> la colpa è del colesterolo!
La causa dell’aumentato rischio
cardiovascolare non è tanto il colesterolo quanto il mangiare male, cioè
l’assumere troppo calorie. Siccome storicamente le troppe calorie venivano
assunte tramite grassi animali (in particolare saturi) e usando alimenti ricchi
in colesterolo, ecco l’errore. Spesso poi l’errore è stato usato da governi, medici,
associazioni per smuovere psicologicamente le persone: anziché dire loro la
verità (mangia meno o sei spacciato!), si è seguita una linea più morbida
(mangia meno grassi ed evita gli alimenti ricchi di colesterolo, sono loro il
pericolo!). La politica è stata ovviamente fallimentare perché la gente si è
buttata sugli zuccheri con eguali risultati!...
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