Dovremmo insegnare ai nostri figli a non avere paura
della solitudine. É uno spazio potente di creatività. Il più grande,
forse.
Non dobbiamo spaventarli se si sentono soli, ma
spiegar loro che è una condizione della vita, un bisogno e una necessità per
l’uomo. Invece raccontiamo storie spaventose in cui i bambini si perdono e
rimangono da soli, in cui la salvezza arriva sempre dall’altro.
I bambini imparano a muovere i primi passi, ad afferrare oggetti,
a pronunciare parole dentro a esercizi continui di solitudine.
Si concentrano per ore in atti silenziosi.
Dovremmo sollecitare questi momenti invece di
richiamarli continuamente a noi, e non dovremmo
preoccuparci se ogni tanto si appartano.
In quello spazio immaginano, si ricaricano, progettano, imparano a esserci
e non avere bisogno di altro.
Così come insegniamo ai nostri figli a socializzare,
dovremmo insegnargli a stare da soli. A perdersi in un mondo in cui si è capaci
di bastarsi.
La solitudine non é fuga, ma il tempo della pausa, del
silenzio, della contemplazione, del riparo.
E allora quando li vediamo assorti o decisi a starsene da soli, abbiamo il
dovere di non richiamarli a noi e lasciarli stare.
Esiste una solitudine buona che serve agli adulti
tanto quanto i bambini. Uno spazio in cui immaginare mondi, in cui staccare la
spina e fare silenzio.
Quando cerchiamo spasmodicamente l’amore è quella solitudine che non
vogliamo affrontare. Il vuoto che ci attraversa e la paura del bosco che ci
hanno raccontato. I nostri figli hanno diritto alla solitudine. É attraverso
l’esperienza della solitudine che sapranno costruire legami fecondi, e sapranno
amare.
E se la solitudine busserà alla loro porta sapranno che uso farne. Forse, meglio di noi.
da qui
E se la solitudine busserà alla loro porta sapranno che uso farne. Forse, meglio di noi.
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