Per l’Europa il glifosato – il noto erbicida della
Monsanto – non è cancerogeno. A leggere i titoli di alcuni “grandi” media non è
neanche dannoso. In realtà, perfino l’Echa, l’Agenzia europea per le sostanze
chimiche (tra i cui dipendenti molti hanno lavorato per l’industria chimica…),
non solo ha riconosciuto che provoca seri “danni agli occhi” ed è “tossico con
effetti duraturi sulla vita in ambienti acquatici”, ma ha comunque fornito un
parere senza considerare l’esposizione alla sostanza. Al momento della sua
immissione sul mercato, ricorda l’ematologa Patrizia Gentilini, il glifosato
era stato propagandato come una molecola assolutamente sicura, nociva solo per
le “erbacce” che disseccava, immediatamente degradabile, che non comportava
rischi di alcun tipo né per l’ambiente né per le persone. Il parere formulato
dall’Echa, per altro, ha considerato anche studi (non pubblicati)
dell’industria produttrice. Come ha prontamente replicato l’Agenzia per la
ricerca sul cancro, questo non inficia la classificazione di “cancerogeno
probabile”. Due cose sono certe. La prima: dietro questa molecola (strategica
anche per la produzione di Ogm) continuano a muoversi interessi enormi (è
l’erbicida più venduto al mondo e in Italia), specie ora che la Monsanto sta
per confluire nella Bayer. La seconda: oggi la battaglia contro il glifosato è
diventata il simbolo di una lotta più ampia contro l’agricoltura industriale di
cui tutti dovremmo occuparci, a cominciare dalla nostra spesa quotidiana
Il 15 marzo
2017 l’Echa, l’Agenzia europea per le sostanze chimiche, ha dichiarato che
il glifosato –
il noto erbicida della Monsanto – non è cancerogeno e non provoca mutazioni genetiche,
riconoscendo tuttavia che provoca seri “danni agli occhi” ed è “tossico con
effetti duraturi sulla vita in ambienti acquatici”.
Conclusioni
quindi abbastanza simili a quelle cui già l’Efsa nel novembre 2015 era
pervenuta dichiarando che “improbabile” che il glifosato fosse cancerogeno. La
decisione dell’Echa era nell’aria e non ha quindi destato troppa sorpresa, ma è
comunque interessante analizzarla in dettaglio. Va ricordato che al momento della sua immissione sul
mercato il glifosato era stato propagandato come una molecola assolutamente
sicura, nociva solo per le “erbacce” che disseccava, immediatamente
degradabile, che non comportava rischi di alcun tipo né per l’ambiente né per
le persone. Già il fatto che ora se ne riconosca una tossicità duratura
per l’ambiente acquatico la dice lunga sulle rassicurazioni a suo tempo
fornite.
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Del resto è
innegabile che glifosato e il suo metabolita Ampa siano le sostanze più
presenti nelle acque superficiali e profonde della Lombardia – l’unica regione
che sistematicamente le ricerca. Le molecole tuttavia sono ampiamente presenti
anche nelle acque di Toscana ed Emilia Romagna dove
solo negli anni più recenti sono state ricercate. In Emilia Romagna su venti
campionamenti esaminati nel 2016 solo tre rientrano nel limite di 0,1µg/l e le
peggiori situazioni si sono riscontrate nel canale Fossatone a Cesenatico
con 1 ,2 µg/l di glifosato e a Ravenna dove l’Ampa raggiunge 6,1
µg/l.
Il recente
parere formulato dall’Echa ancora una volta ha considerato anche
studi non pubblicati, non sottoposti a revisione e condotti dall’industria
produttrice e – comunque come ha prontamente replicato la Iarc (Agenzia
per la Ricerca sul Cancro) questo non inficia la classificazione di “cancerogeno probabile“(2A) del marzo
2016 dalla stessa Iarc.
Inoltre,
come ammette la stessa Echa, il
parere è basato “esclusivamente sulle proprietà dannose della sostanza. Non
tiene conto della possibilità di esposizione alla sostanza e quindi non tratta
dei rischi di esposizione”. Questa affermazione è veramente
paradossale perché non può essere considerato rassicurante il fatto che il
glifosato non induca in modelli sperimentali il cancro o mutazioni genetiche,
senza che sia stata valutata l’esposizione prolungata e “a piccole dose”
quale quella cui sono sottoposti non solo gli agricoltori,
ma anche i consumatori dal
momento che il glifosato si ritrova ormai comunemente anche negli alimenti.
Di fatto
sono proprio queste esposizioni a rappresentare un rischio per la salute
delle persone, specie delle frange più vulnerabili quali donne in gravidanza e bambini,
che quindi non sono stati tenuti in alcun conto. Non va infine dimenticato che alcuni membri della commissione
dell’Echa presentano
potenziali conflitti di interesse avendo lavorato
anche per l’industria chimica.
Comunque, a
parte l’effetto cancerogeno, sono purtroppo molti
altri i rischi per la salute umana correlati alla molecola: in
particolare nella formulazione commerciale agisce anche come interferente endocrino e può
influenzare l’apoptosi in cellule placentari umane. Secondo un altro recente lavoro il glifosato,
rappresenta un fattore di rischio anche per la celiachia e
numerose altre patologie attraverso modificazioni del microbioma intestinale
(in particolare di lactobacilli e bifidobatteri). Si indurrebbero così
infiammazione, malassorbimento, allergie alimentari, intolleranza al glutine,
diminuita sintesi di vitamine e acido folico.
Una vasta opposizione sociale è già da tempo in atto
contro l’uso di questa sostanza: in Italia è presente da oltre un anno una coalizione di
quarantacinque grandi associazioni ambientalisti e anche in Europa l’8
febbraio scorso è sta avviata una Ice (Iniziativa Cittadini Europei) di valore
giuridico con l’obiettivo di spingere la Ue a vietarla definitivamente. È
necessario raggiungere 1.000.000 di firme nei prossimi mesi in tutta Europa e
già oltre 400.000 sono state raccolte. Qui si può sottoscrivere, unitamente
agli estremi di un documento di identità.
Dietro questa molecola si muovono interessi enormi,
specie ora che la Monsanto sta per confluire nella tedesca Bayer e non va dimenticato cheglifosato
è strategico nella produzione di organismi geneticamente
modificati (Ogm) quali mais, soia colza resi resistenti
all’erbicida, che quindi può essere usato in dosi ancora più massicce.
La battaglia contro il glifosato è comunque ormai
chiaramente diventata il simbolo di una guerra più ampia contro l’agricoltura
industriale.
Fortunatamente sta sempre più emergendo, anche nella comunità scientifica, la
necessità di un nuovo concetto di agricoltura in grado di preservare la
qualità dei suoli, la salubrità del cibo e quindi della salute umana.
Anche un
altro recentissimo lavoro non solo rafforza
questo concetto, evidenziando che la sostenibilità ambientale deve
improrogabilmente entrare nel calcolo della sostenibilità delle produzioni
agricole affinché questa possa essere considerata attuabile e realistica, ma
mette anche in seria discussione la necessità, data per scontata dal mondo
scientifico, di dover raddoppiare le quantità di cibo entro il 2050 per
garantire alimenti a tutta la popolazione mondiale e da sempre invocata per
giustificare l’agricoltura industriale.
* Oncoematologa a Forlì, Patrizia
Gentilini fa parte del Comitato Scientifico Isde e di Medicina democratica ed è
tra i primi firmatari di questo appello Siamo angosciati. Il grido dei medici.
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