“The fire
will likely burn for weeks and weeks”
Chad
Morrison, Alberta Wildfire
Fort Mc Murray, Canada. L’epicentro delle estrazioni di
bitume del paese. La capitale delle Tar Sands dello stato dell’Alberta. La località con maggiore concentrazione di
raffinerie e di impianti emissivi di CO2. Fort Mc Murray è vittima del suo stesso
trivellare. La città è
infatti sommersa da fiamme devastanti che hanno lasciato dietro ceneri,
devastazione e paura, dovute principalmente ai cambiamenti climatici. È
il cerchio che si chiude. In questo inizio di maggio 2016 a Fort Mc Murray le temperature sono più elevate del
normale, la vegetazione è secca, non piove da tanto, e così il numero di
incendi aumenta a dismisura. Sono 330 per quest’anno, il doppio del normale. In
più, la stagione calda in cui aspettarsi incendi si è allungata di molto, dal 1
maggio di ogni anno, come era nel 1979, al 1 marzo, come è stato quest’anno.
Già nel 2015
ci fu una lunga e inaspettata siccità. Lo Stato dovette dichiarare lo stato di
“emergenza agricola” perché mancava l’acqua per le irrigazioni. Anchel’inverno in Alberta è stato caldo come non
mai, con basse precipitazioni nevose. Al tutto va ad aggiungersi la
perturbazione El Nino che ha accentuato l’aridità. Ai
primi di maggio la temperatura è
stata anche di 33 gradi centigradi, mentre in media è di 14 gradi centigradi.
Il professor Mike Flannigan, dell’Università dell’Alberta, conferma che in
larga parte gli incendi sono dovuti ai cambiamenti climatici. “This is consistent with what we expect from
human-caused climate change affecting our fire regime” ha detto.
E non sono
falò di poca durata, è una
settimana e più che la situazione è fuori controllo. La città di Fort McMurray ha quasi 90.000 abitanti, una superficie di
circa 850 chilometri quadrati ed è stata interamente evacutata. La maggior parte dei residenti ha trovato
riparo ad Edmonton, la capitale dello stato. Le fiamme si sono propagate in fretta e la gente non ha avuto il tempo di
prepararsi per abbandonare la città. A un certo punto anche l’autostrada era avvolta da fiammate, giunte anche
ad ottanta metri di altezza. Alcune persone sono state portate via in
elicottero. Si teme adesso che le fiamme possano anche arrivare
all’infrastruttura petrolifera alla periferita della città. Intanto sono andate
distrutte 1.600 case. Interi
quartieri sono stati rasi al suolo. La foresta arde. Il cielo è arancione, nero, grigio. Non più
azzurro. L’aeroporto è stato messo in salvo solo grazie a una massiccia
presenza di vigili del fuoco. Il fuoco ha divorato più di mille chilometri
quadrati.
I residenti parlano di scene di guerra. Le autorità sanno però che senza l’aiuto di madre
natura, le fiamme saranno inarrestabili: semplicemente l’estensione
territoriale dell’incendio è troppo grande e i venti troppo forti. Le fiamme
continuano a mangiare tutto ciò che trovano, anzi sono riuscite a saltare fiumi,
strade e altre barriere. Se non
arriva la pioggia ci sarà ben poco da fare: i centocinquanta elicotteri
e velivoli usati finora sono assolutamente insufficienti. Non piove da due mesi
a Fort Mc Murray. Secondo le autorità ci vorranno mesi per completamente
estinguere il fuoco. Intanto la
Nasa parla di un marzo 2016 di caldo record, dopo un 2014, un 2015 e un
gennaio e febbraio 2016 da caldo record.
Che dire. È
evidente che è tutto parte della stessa narrativa. Quello che succede a Fort Mc
Murray è soltanto l’antipasto di
quello che ci aspetta: eventi
naturali che diventano estremi a causa dei cambiamenti climatici dovuti
principalmente all’uso di fonti fossili. In questo caso sono incendi, ma
sono stati e saranno uragani, allagamenti, piogge torrenziali, scioglimenti di
ghiacciai. È la natura che segue le sue leggi. Noi le diamo le condizioni
iniziali, lei fa quello che deve fare. È solo che qui è ironico perché questa
devastazione accade proprio nel cuore del problema: nella culla del petrolio
canadese.
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